Mi ha sempre sorpreso trovare questo testo in due momenti chiave dell'anno liturgico.
Nella prima domenica di Avvento e per l'ingresso nella Settimana Santa.
Questo testo interroga la nostra rappresentazione di Dio. Quale Dio stiamo aspettando?
Lo aspettiamo grandioso, arriva bambino, disteso sulla paglia. Lo aspettiamo trionfante, arriva a dorso d'asino, in viaggio verso il dono di se.
Quando gridiamo a Dio, generalmente è un Dio forte e liberatore quello che noi aspettiamo. In realtà lo confondiamo con Zorro. E se si comportasse come tale, se tutti gli episodi della nostra vita si sono concludessero con un lieto fine di giustizia ripristinata, sicuramente lui sarebbe stato il re di tutti e tutte. Ma il nostro Dio non è Zorro, e questa è la grande delusione! Non sorge nel cuore della notte, non è mascherato, non rende giustizia come sogniamo.
Il Messia, il Cristo, termini, l'ebraico e il greco, che designano l'unto, colui che è scelto da Dio, non sono per Dio un sinonimo di eroe. È scelto per l'infinità del suo amore che ci raggiunge in tutti gli angoli, in tutti gli abissi la nostra esistenza umana. Non è lui la stella portata dall'idolatria e il cotone di una vita privilegiata a chi saranno risparmiate le avversità.
Gli ucraini aspettano colui che fermerà questa guerra che divora i loro figli, i loro soldati, la loro sicurezza e il loro Paese. I palestinesi si aspettano di non essere più massacrati, espropriati, cittadini di second'ordine. Gli ebrei di tutto il mondo aspettano la fine dell’odio che sperimentano regolarmente. Tutti coloro che soffrono attendono un salvatore, nel campo del diritto, della medicina, della politica, della religione. Un salvatore non per l'aldilà ma per quaggiù, affinché la sofferenza cessi qui e ora.
La folla è venuta ad acclamare questo Gesù di cui tanto si parla, che guariva i malati, risuscitava i morti, accoglieva gli stranieri, le donne, i bambini... Ma cosa dà a vedere Dio in colui che manda a questa immensa attesa dell’umanità sofferente? Il figlio di un falegname, che venne nella capitale con un gruppo di pescatori con la barba lunga e scarsamente istruiti. Appollaiato su un asino, non fa né discorsi né miracoli. Peggio ancora, lui mostra la sua debolezza, la sua vulnerabilità. Mostra la sua sconfitta.
Il messaggio della croce è davvero? udibile a coloro che aspettano di essere salvati? L'Altissimo ci insegna a percepire il Bassissimo. Sperimenta la distruzione, la morte, attraverso il tradimento, l'odio, la gelosia, il potere. Dio lo fa l'esperienza della discesa vertiginosa, quella vissuta da tutti coloro che vengono maltrattati. Da eroe, diventa un bandito. Si unisce ai calpestati dove sono, proprio in basso, proprio al fondo. Li raggiunge nell'inferno in cui abitano. Viene là dove i mali non hanno più parole, per risollevarci, svegliarci, ravvivarci.
Il Vangelo parla delle nostre aspettative e di ciò che può falsamente soddisfarle.
Il Messia è donato, ma la folla alla fine lo disprezza perché non è quello atteso.
Le Palme ci invitano ad aprirci all’inaspettato, a ciò che accade.
È accogliendo e rileggendo ciò che accade che la nostra esistenza prende senso,
non rimuginando su aspettative che non sono state soddisfatte.
No e no, ci dice e dimostra Cristo, solo l'amore, quindi un Altro là per me, ci salva da tutte le nostre catene.
Sabelle Gerber, Pastora e Ispettrice ecclesiastica de L'Union des Églises protestantes d'Alsace et de Lorraine (UEPAL) - Réforme 21 Marzo 2024