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Meditazioni

 

 

 

Domebi 26 Marzo 5a del Tempo di Passione - Judica ( Fammi giustizia, o Dio! - Salmo 43,1)

«Non volete andarvene anche voi?»

Letture


Geremia 2, 11-13

11 C'è forse una nazione che abbia cambiato i suoi dèi, sebbene non siano dèi?
Ma il mio popolo ha cambiato la sua gloria per ciò che non giova a nulla.
12 O cieli, stupite di questo; inorridite e restate attoniti», dice il SIGNORE.
13 «Il mio popolo infatti ha commesso due mali: ha abbandonato me, la sorgente d'acqua viva, e si è scavato delle cisterne, delle cisterne screpolate, che non tengono l'acqua.

 

I Corinzi 1,18-25
18 Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio;
19 infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti».
20 Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza del mondo? 21 Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. 22 I Giudei infatti chiedono segni miracolosi e i Greci cercano sapienza, 23 ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per gli stranieri pazzia; 24 ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; 25 poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Predicazione


Care sorelle e cari fratelli per questa quinta domenica del Tempo di Passione ho scelto come testo per la predicazione il passo dell’Evangelo di Giovanni che si trova alla fine del capitolo 6 dal versetto 60 al 71. Leggiamo ….

Giovanni 6, 60-71

60 Perciò molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: «Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?»
61 Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: «Questo vi scandalizza?
62 E che sarebbe se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima?
63 È lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità; le parole che vi ho dette sono spirito e vita.
64 Ma tra di voi ci sono alcuni che non credono». Gesù sapeva infatti fin dal principio chi erano quelli che non credevano, e chi era colui che lo avrebbe tradito.
65 E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre».
66 Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
67 Perciò Gesù disse ai dodici: «Non volete andarvene anche voi?»
68 Simon Pietro gli rispose: «Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna;
69 e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
70 Gesù rispose loro: «Non ho io scelto voi dodici? Eppure, uno di voi è un diavolo!»
71 Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota, perché questi, uno dei dodici, stava per tradirlo.

Fin qui la Parola del Signore, che il suo Santo Spirito ci accompagni e ci guidi in questo momento di riflessione.

Fin dal prologo il centro dell’Evangelo di Giovanni è la Parola eterna, riposta in Dio, pronunciata e rivelata in Gesù Cristo per tutti gli esseri umani. Gesù è la Parola fatta carne. Gesù è presentato come l’inviato del Padre, colui che rappresenta Dio nel mondo, la cui missione è rivelare agli esseri umani la vita eterna e l’amore di Dio in atto, ma che lo condurrà alla croce, un punto su cui mi soffermerò più avanti: «Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3,16).
Nella persona di Cristo Dio si fa prossimo agli esseri umani e alla creazione, una vicinanza che è basata sull’amore per le proprie creature.

E l’invio di Gesù è la manifestazione unica e decisiva di Dio che implica la scelta di credere o non credere poiché Dio ha mandato il Figlio «perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio» (Giovanni 3,16)

Il passo che abbiamo ascoltato inizia narrando la reazione dei discepoli alle parole pronunciate da Gesù i quali dicono «Questo parlare è duro».
E Gesù replica con una domanda: «Questo vi scandalizza?» e aggiunge un’ulteriore sollecitazione provocatoria: come reagireste se mi vedeste ascendere da dove sono venuto, cioè dal Padre ?
Nei discorsi precedenti il parlare non è “duro” perché complicato da capire, ma perché indica una via troppo impegnativa, esige un cambiamento di mentalità e di atteggiamento così radicale da non poter essere accettato e tollerato dai seguaci di Gesù, ritenuto “duro”, persino scandaloso, perché è contrario agli schemi di riferimento culturale e agli insegnamenti religiosi degli ebrei cui si rivolge Gesù al punto da indurre molti di loro ad abbandonarlo e andarsene. Come mai?

Si può dire che questa reazione riguarda tutta la predicazione e tutto l’insegnamento di Gesù contenuto nell’Evangelo di Giovanni come già brevemente ricordato. Ma il riferimento più immediato è alle parole pronunciate nei passi precedenti, quando Gesù rimprovera alla folla di cercarlo per i miracoli che gli ha visto fare: mi seguite «perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati» (v.26) e poi spiega che non fu Mosè a dare al popolo ebraico il pane che viene dal cielo «ma il Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo. Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo» (vv. 32-33).

Questo riferimento al pane fonte di vita viene poi ripreso più volte da Gesù che precisa di essere lui il vero pane: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (v.35).
E ancora Gesù rimprovera i discepoli di non crederenonostante l’abbiano visto, che lo abbiano lì davanti fisicamente. Infine annuncia la sua morte «il pane che io darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo» (v.51) e«chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (v.58).

La folla spera in unasalvezza futura, attende che scenda dal cielo come la manna e invoca miracoli. Gesù invece:

  • parla del tempo presente, si avvale di atti che chiama segni e non miracoli perché svelano un Dio creatore e donatore di vita in sovrabbondanza, segni perché sono la manifestazione del Regno di Dio che con la sua venuta ha avuto inizio qui sulla terra;

  • richiama, ammonisce, chi lo segue a credere in Lui in quanto inviato da Dio, portatore di un nuovo comandamento, l’amore, «che vi amiate gli uni gli altri» (Cap.13 v.34);

  • si presenta come colui che è stato incaricato dal Padre di una missione che non consiste nell’assumere il ruolo di capo politico, acclamato come il re liberatore del popolo di Israele dall’oppressione dei Romani, ma è quella di rivelare il Padre e il Suo amore per l’umanità intera;

  • parla di mangiare la sua carne e bere il suo sangue riferendosi a quanto farò nell’ultima cena e lasciando intravedere che di lì a poco dovrà affrontare un cammino di sofferenza e di dolore per morire in croce, abbandonato da tutti, tradito dai propri discepoli, ma al tempo stesso elevato alla gloria nel ritornare al Padre.

Ecco il messaggio centrale della rivelazione evangelica nel testo giovanneo: in Cristo Dio è venuto a vivere tra gli umani, l'ha fatto diventando un uomo, rifiutando qualsiasi forma di potere e dominio, soffrendo la fragilità della condizione umana e morendo sulla croce affinché chi crede in lui abbia vita eterna.

Naturalmente Gesù è consapevole che il suo argomentare crea scandalo, ovvero che è una pietra d’inciampo per molti di coloro che l’hanno seguito fino a quel momento perché li costringe a una scelta, a una decisione, abbandonarlo o seguirlo nel suo percorso destinato, dal punto di vista umano, al fallimento e all’ignominia della croce. Ecco perché Gesù ribadisce che «ci sono alcuni che non credono» - l’estensore del testo precisa anche che conosceva colui che l’avrebbe tradito – e prosegue dicendo «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre» (V.65), un’affermazione forte, forse la più dura da accettare peri suoi discepoli: Cristo come unica via che conduce a Dio, unico mediatore tra ciascun essere umano e Dio, pane di vita donato per grazia da Dio, chi mangia di quel pane vivrà in eterno. Afermazioni e concetti che a noi protestanti richiamano i principi di Sola Grazia, Sola Fide e Solus Christus.

La narrazione prosegue dicendo che da quel momento molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e smisero di seguirlo. Come reagisce Gesù, il Figlio inviato da Dio, a questa fase critica della sua missione?
Pone una domanda ai Dodici, cioè alla cerchia ristretta dei suoi discepoli: «Non volete andarvene anche voi?».

Mi voglio soffermare su questa domanda perché l’ho percepita come diretta personalmente a me. Del resto la potenza della Parola di Dio si manifesta proprio quando la avvertiamo come rivolta in modo diretto a ciascuna/o di noi.
Chi nella propria storia di lettura e meditazione della Bibbia, di fede e di rapporto con Dio non ha avuto momenti di crisi e di vero e proprio allontanamento dal Padre? Il momento della confessione di peccato che ripetiamo ogni volta nei nostri culti ci consente proprio di riservare uno spazio silenzioso per ritornare al Padre nonostante i nostri errori, i nostri dubbi e le nostre debolezze.

Vi devo confessare che in questi ultime mesi più volte mi sono posto delle domande a causa degli eventi personali e degli accadimenti intorno a me.
Da un lato, a causa di un problema di salute che mi ha costretto ad un imprevisto intervento e a una delicata convalescenza, che grazie a Dio ormai sono solo un brutto ricordo senza particolari conseguenze, ho potuto constare momento per momento il sostegno e la costante presenza del Signore accanto a me che mi hanno permesso di affrontare con fiducia e serenità ogni fase. Segni che hanno rinforzato la mia fede. Sono consapevole e me ne scuso, di esporvi un ragionamento che rivela una fede molto soggettiva. D’altra parte la fede è prima di tutto un rapporto diretto, personale con Dio, la quale poi si alimenta e viene rinvigorita attraverso la condivisone con le/gli altre/i credenti, prima di tutto con le sorelle e i fratelli della comunità che il Signore ci pone accanto, proprio come in questo momento, grazie allo Spirito Santo vivificatore che è in mezzo a noi.
Dall’altro lato, la violenza fisica e verbale dilagante, le guerre sempre più diffuse e ormai radicalizzate in tante aree del mondo, la disumanità di tanti governanti, compresi quelli che si fanno paladini del proprio credo religioso – cristiano, islamico, induista o altro – per giustificare le proprie ambizioni di potere e i propri interessi economici; le innumerevoi violazioni dei diritti umani; l’impotenza dell’ONU e degli organismi ecumenici; il cinismo degli azionisti delle grandi finanziarie; ma anche le troppe voci “dal sen fuggite” che per affrontare problemi assai complessi propongono slogan semplicistici e soluzioni miracolose; l’arroganza e l’indifferenza – pure da parte di chi non esita a ostentare di essere cristiana/o - di fronte al dolore e alla sofferenza di tanti essere umani – penso al caso del recente disastro di Cutro e al modo di affrontare la questione migranti con la tardiva scoperta dell’importanza dei corridoi umanitari visti più come strumento di controllo dei flussi migratori che come strumento per tutelare chi fugge dalle guerre e dai regimi che violano i diritti umani; …...potrei continuare a lungo tanti sarebbero i mali da ricordare, mi fermo per ragioni di tempo.
Di fronte a tutto questo più volte la mia fede ha vacillato e mi sono chiesto: Dio perché l’hai permesso? Dio perché non intervieni? Dio, tu che ti sei abbassato a vivere la nostra condizione umana nel tuo Figlio Gesù Cristo, pane di vita, perché tanta disumanità ? Agisci per sciogliere i cuori induriti e risollevare chi si trova senza speranza e senza via d’uscita!
A queste domande non è possibile rispondere cercando delle soluzioni razionali, troppo complessi e intrecciati sono i problemi che vi stanno a monte, ma è risuonata in me la domanda posta ai Dodici da Gesù: “Non vuoi andartene anche tu, Valdo?

Pietro risponde a nome dei dodici apostoli e la sua esclamazione la faccio mia: «Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna».

L’apostolo,esprime così la propria fiducia nel Maestro e prosegue con la confessione di fede - formulata in modo simile ai tre vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) - dichiarando che i Dodici credono e riconoscono Gesù Cristo come il Santo di Dio, il Figlio di Dio, che proferisce parole di vita eterna.
Anche io dove potrei andare, anche tu sorella e fratello dove potresti andare se non da Gesù Cristo che ci dà parole di vita eterna, che ci ha donato la sua vita affinché noi riconoscendoci in Lui avessimo vita eterna?
Sappiamo bene che poco dopo Pietro rinnegherà di conoscere Gesù dimostrando tutta la propria debolezza umana e la fragilità della sua fede. Come Pietro, anche io, anche noi siamo fragili, esposti dagli eventi a dubitare, ma non dobbiamo dimenticare che l’unica via per andare al Padre è seguire il Figlio, «Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16,16) e che tramite lui il Padre si fa trovare, sempre, perché ci viene incontro a braccia aperte come il padre del figlio prodigo.

Ma torniamo ancora alla domanda di Gesù, perché l’interlocuzione con i Dodici non termina con la confessione di fede di Pietro. Questo poiché la domanda di Gesù è sicuramente un modo per mettere alla prova la saldezza della fiducia in Lui dei Dodici, ma è anche un’espressione della Sua sofferenza nel cammino che sta percorrendo verso la croce.

Il racconto prosegue con Gesù che rivela ai Dodici che, nonostante siano stati scelti da Lui, uno di loro (Giuda) lo tradirà: «uno di voi è un diavolo!». Una parola forte “diavolo”, cioè l’avversario, colui che ostacola l’azione di salvezza che Dio compie in Cristo, che si oppone alla realizzazione del Regno di Dio che ha avuto inizio con la venuta di Gesù Cristo.

Il Maestro sa che uno dei discepoli lo tradirà, sa che nel Getsemani resterà solo, che anche Pietro lo rinnegherà nonostante la confessione di fede appena pronunciata e che dovrà affrontare da solo il percorso che lo condurrà alla croce per portare a compimento la missione che Dio gli ha affidato.
Su tutto il brano che abbiamo letto si protende l’ombra della croce che ci invita a volgere il nostro sguardo alla croce la cui immagine ci accompagna in questo tempo di Passione.

Dio, dopo svariati patti di alleanza con l’umanità, ha deciso di rinunciare ad una parte della propria divinità, è entrato completamente nella Creazione, è diventato un essere umano, non come re ma come servitore rifiutato da tutti e morto su una croce dopo atroci torture. Come ha recentemente scritto su Réforme il teologo francese Antoin Nouis:

negli Evangeli vi è una identificazione, un’unione, tra il Padre e il Figlio tanto che quando Gesù muore sulla croce è Dio che muore della morte di suo figlio. Non è Dio che riceve un sacrificio, ma lui che è sacrificato, soffre della sofferenza del figlio e offre sé stesso come proprio dono per il mondo.

La morte di Cristo non come offerta sacrificale, opera dell’essere umano per Dio, ma come sacramento, opera di Dio per l’umanità.
In questo senso l’immagine della croce proiettata su questo passo biblico non è più un’ombra oscura di morte. Questo segno indelebile della la sofferenza patita da Gesù, evento unico e irripetibile nel quale si è compiuta la missione del Cristo per tutte/i noi e per l’umanità intera, rimanda alla luce del perdono, diventa segno della potenza di Dio e della sapienza di Dio poiché «la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini» (I Cor. 1-25).

L’inno 183, Vieni alla croce, che abbiamo cantato poco fa si conclude con le parole “qui troverai la vera vita, nuovo vigor”. Ecco la risposta alla domanda «Non volete andarvene anche voi?»: rispondiamo “no”, andando alla croce di Gesù e sforzandoci di seguirlo, con la certezza che Egli cammina con noi, condivide le nostre sofferenze, i nostri dubbi e incertezze, rinvigorisce il nostro spirito indebolito, rinforza la speranza che la violenza e l’indifferenza possono essere vinte dall’accoglienza e dalla condivisione, ci libera dall’oppressione del male che ci circonda e ci dona la pienezza dell’amore verso le/gli altre/i.
Amen

Predicazione di Valdo Pasqui - Chiesa evangelica valdese di Firenze, Domenica 26 Marzo 2023

 

 

Giovedi 19 gennaio 2023 - Pistoia apertura della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani (SPUC) 2023

Sermone del pastore Francesco Marfè su Matteo 25,31-46

 

31 «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso.
32 E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri;
33
e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
34 Allora il re dirà a quelli della sua destra: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo.
35
Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste;
36
fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi".
37 Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere?
38
Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito?
39
Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?"
40 E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me".
41 Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!
42
Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere;
43 fui straniero e non m'accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste".
44
Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: "Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?"
45
Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me".
46
Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna».

Mattteo 25,31-46


INTRODUZIONE

Questa sera celebriamo l’apertura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, come ogni anni un versetto fa da tema, quest’anno è stato scelto un versetto del profeta Isaia “imparate a fare il bene, cercate la giustizia”. La pratica della giustizia viene dunque posta come spazio nel quale i cristiani e le cristiane di diverse confessioni e denominazioni possono trovare un terreno comune. Giusto. Giusto e bello. Naturalmente la pratica della giustizia è qualcosa che riguarda anche questo brano del vangelo di Matteo che evidentemente è stato scelto per questo motivo:

Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" 40 E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me"

E ancora:

"Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?" 45 Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me"

Che la pratica della giustizia sia il discriminate per la salvezza è evidente, tuttavia sarebbe un errore semplificare il testo al punto di fargli dire “Chi si comporta bene si salva, chi si comporta male non si salva”. La faccenda è più complicata di così. Vediamo.


OMILETICA

In questa che è l’ultima parabola del Regno dei Cieli, Gesù è finalmente presentato come il Re dell'universo che alla fine dei tempi verrà nella sua gloria insieme con gli angeli per giudicare tutte le nazioni, il mondo intero. L'immagine è per l’appunto quella di un Re dell'antichità che aveva tra le sue prerogative anche quella di essere giudice. La scena è quella di un tribunale. Il Re che ha diritto di giudicare si siede sul suo trono. Accanto a lui tutti gli angeli cioè le miriadi di creature spirituali che sono al fedele servizio di Dio. Che siedono dietro di lui come una sorta di giuria, una commissione esaminatrice presieduta dal giudice stesso. Davanti a questo tribunale compariranno tutti gli esseri umani vissuti in ogni luogo e in ogni tempo della storia del mondo.

Già nella tradizione ebraica -che qui Gesù ribadisce-il giudizio finale ha lo scopo unico di dichiarare un verdetto. Sebbene la scena assomigli per molti aspetti ad un processo giudiziario così come noi lo immaginiamo, essa, differisce da esso per un aspetto fondamentale. Solitamente un processo rappresenta l'ultima indagine. Esso cioè ha lo scopo di scoprire definitivamente se l'imputato è colpevole oppure no. Non qui. In questo caso il Re nella sua funzione di giudice conosce benissimo le cause. Qui non si tratta di giungere un verdetto, ma solo di proclamarlo, davanti alla giuria degli angeli, che ha quindi solo lo scopo di attestare quanto detto, e davanti all'umanità tutta che sarà testimone del verdetto.

Il nostro Re si comporterà come un pastore, il quale conosce bene il suo gregge e che quindi può senza timore separare le pecore dai capri senza rischio di sbagliarsi. Egli finalmente dividerà gli uni dagli altri. Per tutta la vita capre e pecore hanno vissuto insieme, goduto degli stessi benefici. Un pascolo era sempre disponibile per le pecore ma esse lo condividevano con i capri. Il mondo intero gode delle benedizioni della grazia comune fino a quando alla fine dei tempi pecore e capri

saranno finalmente separati. Le pecore saranno proclamate benedette dal Padre ed invitate alla destra del Re, al posto d'onore da dove potranno godere dei benefici di appartenere al Regno di Dio. Il motivo è fissato dal

fatto che le pecore sono tali perchè hanno saputo amare compiendo gesti di misericordia e giustizia sociale. Allo stesso modo i capri sono dichiarati maledetti e sono bruscamente invitati alla sinistra del Re,


anzi via da lui, fuori dal suo regno. Nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli, un luogo che non era stato destinato a voi e che invece voi con i vostri comportamenti avete deciso di andare ad abitare. E tutto questo a causa delle vostre omissioni. Questo è veramente significativo. La condanna non sembra essere dichiarata per il male fatto, ma per il bene che si poteva fare e che invece non si è compiuto, si è omesso.

[PROBLEMATICA...] ECCO DUNQUE COME STANNO LE COSE, ECCO QUALI SARANNO I CRITERI RISPETTO AI QUALI VERRÀ CONDOTTO IL GIUDIZIO FINALE: SULL'AMORE! SPESSO SENTIAMO DIRE QUESTA FRASE: SAREMO GIUDICATO SULL'AMORE. PIÙ SPECIFICAMENTE IL CRITERIO SECONDO IL QUALE SAREMO GIUDICATI SARÀ QUELLO DELL'AMORE MISURATO CON LE OPERE DI MISERICORDIA E DI GIUSTIZIA SOCIALE CHE POTREMO AVERE AL NOSTRO ATTIVO. GIUSTO? SIAMO D'ACCORDO?

Invece no! Non è così. Se fosse così che razza di vangelo, di buona notizia sarebbe questa?

Ma davvero qui tra noi c'è qualcuno che possa dire di non aver mai omesso di fare il bene? Be, se le cose stanno così, ci sono un bel po' di problemi... Intanto non so voi ma io sarei terrorizzato dal giudizio.

Se infatti le cose stanno così dobbiamo ammettere che siamo salvi per opere e non per fede. E siceramente non credo che ci sia un solo uomo sulla terra in grado di salvarsi. La croce di Cristo allora sarebbe vana. Eppure noi sappiamo benissimo che molti testi del nuovo testamento dicono chiaramente che la salvezza è per grazia mediante la fede e non per opere. Com'è possibile che nella Bibbia ci siano opinioni così discordanti, così in contraddizione su tematiche così fondamentali come la salvezza e il giudizio. Allora la Bibbia non è affidabile? Ma se la Bibbia non è affidabile sulle questioni di fede allora siamo proprio nei guai! Se così fosse dobbiamo fermarci e chiudere tutto, tanto cattolici che protestanti che ortodossi. Se la bibbia non è affidabile possiamo andarcene a casa ammettendo che è stato bello ma non era vero.

Ovviamente non è così! Matteo, è vero, tra gli autori biblici è quello che più di altri ci tiene all'operosità della fede, ma sempre Matteo dice con molta chiarezza che la salvezza è legata alla fedeltà al Signore e non alle opere in se. Ma allora come ne usciamo? La soluzione ce la da lo stesso Matteo alcuni capitoli prima, nel settimo per la precisione, quando Gesù afferma che coloro che vengono da Dio saranno riconosciuti dai loro frutti, e questi frutti sono indipendenti dalla volontà. Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo fare frutti buoni. Un credente farà inevitabilmente opere buone. Così come un melo non può far altro che produrre mele, una pianta di pomodori non può far altro che produrre pomodori così un credente non potrà far altro che produrre buone opere.


Ecco dunque che comprendiamo che le opere di misericordia e di giustizia sociale non sono la causa ma la prova della salvezza!

Esse non sono la causa, cioè non sono il motivo per il quale saremo salvati. Sono piuttosto la prova, cioè sono ciò che dimostra che siamo stati salvati. Abbiamo detto, infatti, che il giudizio si svolge davanti al tribunale del Re; le opere sono presentate a sostegno del verdetto di salvezza pronunciato.

A sostegno di questa tesi abbiamo due prove: 1) La stessa dichiarazione del Re: Il Re dichiara le pecore benedette dal padre, e noi sappiamo che nessuno si può benedire da solo o può estorcere la benedizione. Essa è frutto solo della bontà gratuita di Dio. Il Re poi dichiara che la salvezza è un'eredità. E un'eredità non si compra, non si guadagna, si ottiene per diritto. Dio, in Cristo ci ha fatto suoi figli attraverso la fede per questo motivo e solo per questo siamo eredi e dunque benedetti. Per essere ancor più chiaro il Re dichiara infine che la salvezza è stata preparata prima della fondazione del mondo, e cioè mooolto prima che le pecore avessero potuto compiere le loro opere buone e quindi indipendentemente da esse.

2) Lo stupore degli imputati.

Davanti alla dichiarazione del Re gli imputati sono sorpresi. Essi gli chiedono, infatti, quando mai ti abbiamo fatto tutto quello che ci dici? Ora, se le opere fossero state fatte per guadagnarsi la salvezza, certo coloro che le compiono ne sarebbero ben consapevoli, avrebbero ben in mente ciò che hanno fatto per sperare di guadagnarsi la salvezza, ma invece essi non se lo aspettavano, non ne sapevano nulla perchè il credente fa opere buone indipendentemente dalla sua volontà, addirittura inconsapevolmente. Ecco dunque che le opere non sono la causa ma la prova della salvezza.

CONCLUSIONE

Al termine di questa riflessione non possiamo fare a meno di essere intellettualmente onesti e dire che questa interpretazione delle opere come prova e non come causa della salvezza è la classica interpretazione protestante di un brano che spesso era usato da un certo cattolicesimo tradizionale per affermare l’errore dell’assioma protestante della giustificazione per sola grazia mediante la sola fede. A dire il vero io non sono il tipo da disdegnare la polemica, può essere anche molto costruttiva. Ma questa sera vorrei porvi un altra conseguenza di questa interpretazione del testo. Le nostre fedi, sono diverse. Si assomigliano, certo. Si assomigliano molto, ma sono diverse. Il fatto che però entrambe possono produrre frutto e lo fanno può liberarci dal giudizio reciproco. Se il diverso da me produce anch’esso frutti alla gloria di Dio allora io posso riconoscerlo come ugualmente valido e magari portare frutto insieme, incontrandoci sul terreno comune della pratica della giustizia. Amen.

Past. Francesco Marfè


 

Domenica 30 ottobre - festa della Riforma

Culto interdenominazionale della Riforma

Cari Fratelli e Sorelle, oggi, in questo culto, celebriamo tre feste: celebriamo, come facciamo ogni domenica, la risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo; celebriamo la festa della Riforma, che in realtà è domani, 31 ottobre 1517, giorno in cui il monaco agostiniano Martin Lutero affisse le famose 95 Tesi sul vero pentimento – gesto che è abitualmente considerato come l’avvio, quanto meno simbolico, dell’intero movimento della Riforma protestante; e questa Riforma la celebriamo insieme, noi, chiese evangeliche della città di Firenze – questa è la terza festa, una vera festa.

E perché la celebriamo insieme? Perché la Riforma è la nostra madre comune: direttamente o indirettamente veniamo tutti da lì, siamo tutti figli e figlie della Riforma. Anche i Valdesi, che erano nati 350 anni prima, aderendo alla Riforma sono letteralmente rinati, diventando un’altra cosa rispetto a quello che era stato il movimento valdese medievale. La Riforma, madre feconda, ha dato vita a molte chiese, ma la Riforma è una sola, e quindi è giusto e bello che noi, evangelici di Firenze, la festeggiamo insieme.

Verrà il tempo in cui anche la Chiesa cattolica celebrerà la Riforma insieme a noi, quando capirà che la festa della Riforma non è la festa di una Chiesa, o di molte Chiese, o di tutte le Chiese, ma è la festa della Parola di Dio che è risuonata in quel tempo, non attraverso un Martin Lutero, ma attraverso molti Martin Lutero, sorti non in un paese soltanto, ma in tutta Europa, Italia compresa –Parola nuova e antica, potente e vincente, che nessun potere umano, né religioso né politico, nessuna scomunica, nessuna persecuzione o repressione, ha potuto mettere a tacere. E risuona viva e vera, oggi, nei nostri cuori e nel mondo intero, ora e sempre. Amen.

Per la Festa della Riforma 2022 il nostro Lezionario Un giorno, una parola indica come testo per la predicazione il Salmo 46, che ora vi leggo.

Dio è per noi un rifugio e una forza,

un aiuto sempre pronto nelle distrette.

Perciò noi non temeremo anche quando fosse sconvolta la terra,

quando i monti fossero smossi in seno ai mari,

quando le acque dei mari muggissero e schiumassero,

e per il loro gonfiarsi tremassero i monti.

V’è un fiume i cui rivi rallegrano la città di Dio,

il luogo santo della dimora dell’Altissimo.

Iddio è nel mezzo di lei; essa non sarà smossa. Iddio la soccorrerà allo schiarire del mattino.

Le nazioni rumoreggiano, i regni si commuovono;

egli fa udire la sua voce, la terra si strugge.

L’Eterno degli eserciti è con noi,

l’Iddio di Giacobbe è il nostro alto rifugio. Venite, mirate le opere dell’Eterno,

il quale compie sulla terra cose stupende.

Egli fa cessare le guerre fino all’estremità della terra;

rompe gli archi e spezza le lance,

brucia i carri [di guerra] nel fuoco.

Fermatevi, egli dice, e riconoscete che io sono Dio.

Io sarò esaltato tra le nazioni,

sarò esaltato sulla terra.

L’Eterno degli eserciti è con noi;

l’Iddio di Giacobbe è il nostro alto rifugio.

Come forse non tutti sanno, è da questo Salmo che Lutero ha tratto il suo Corale “Forte Rocca”, che è poi diventato, per così dire, “la Marsigliese” del Protestantesimo: “Forte Rocca” è di gran lunga l’inno evangelico più conosciuto nel mondo (insieme, forse, a “Notte benigna”), e il Salmo 46 è senza dubbio il Salmo più cantato dell’intero Salterio. È però interessante sapere quando Lutero ha composto “Forte Rocca”: l’ha composto nel 1529, che è anche l’anno di nascita del Protestantesimo, quando, nell’aula dov’era riunita la Seconda Dieta imperiale di Spira (la Dieta era, allora, quello che oggi è il Parlamento europeo, cioè la massima autorità politica dell’impero), risuonò la parola fatidica PROTESTAMUR, dalla quale nacquero le parole «protestante» e «Protestantesimo»: era il 19 aprile, data memorabile. È bene sapere che nel latino classico, e anche in quello del XVI secolo, il verbo protestor non aveva il significato primario di «protesta» che ha oggi nell’uso comune, ma significava: «dichiarare pubblicamente», «attestare», «testimoniare». La pronunciarono 20 membri della Dieta – quindi una piccola minoranza dell’assemblea – i quali non esitarono a prendere pubblicamente posizione contro una legge della Dieta che imponeva a ogni Stato membro dell’impero di cancellare nei rispettivi territori ogni traccia della Riforma, che nel frattempo vi si era pacificamente insediata. Questo, in sostanza, fu il loro discorso: «Noi dichiariamo pubblicamente (Protestamur) che non ubbidiremo alla legge che questa Dieta ci vuole imporre di mettere al bando le dottrine evangeliche che si sono liberamente diffuse nei nostri territori, che consideriamo cristiane e conformi alla Parola di Dio». Così, da questo Protestamur nacque il Protestantesimo. Quello stesso anno Lutero compose «Forte Rocca», che è una fedele trasposizione poetica e lirica del Salmo 46. Così, il Protestantesimo e l’inno «Forte Rocca» sono nati insieme, si può dire che sono fratelli gemelli, creati dalla stessa ispirazione.

E allora avviciniamoci un po’ a questo Salmo, che, a un certo punto, immagino che ci stupirà e, comunque ci ricorderà che cosa vuol dire essere cristiani protestanti o evangelici che dir si voglia: non vuol dire essere cristiani super, o cristiani necessariamente migliori degli altri (benché non sarebbe male se lo fossero!), ma vuol dire essere cristiani ai quali stanno molto a cuore certe verità fondamentali dell’Evangelo. A quelle verità, proprio come quei venti primi «protestanti» della Seconda Dieta di Spira, non possiamo né vogliamo rinunciare. Quelle verità le conoscete: sono i quattro celebri «sola» della Riforma: Sola Scriptura, sola gratia, sola fide, solus Christus, che si fondono insieme in un unico soli Deo gloria, che riassume tutto il discorso della fede.

Del Salmo 46 non dirò tutto quello che ci sarebbe da dire, ma solo quello che mi sembra l’essenziale del suo messaggio. E l’essenziale è questo: Dio al centro, al centro della vita, al centro della fede, al centro del mondo. E proprio questo ha voluto essere la Riforma protestante: la sua ragion d’essere è stata rimettere Dio al centro della vita della Chiesa. Non che fosse scomparso, ma era diventato secondario: al centro c’erano la Chiesa e le opere che ogni cristiano doveva compiere per sperare di andare in paradiso. Allora infatti era questa l’unica cosa che veramente contava: l’Aldilà, il paradiso, la vita eterna.

La vita terrena era un passaggio necessario solo per offrirci il modo e le occasioni di guadagnare il paradiso. In questa concentrazione dell’uomo medievale sulle proprie opere necessarie alla salvezza, le opere di Dio passavano in secondo piano e Dio era diventato marginale.

La Riforma lo ha riportato al centro. Oggi c’è una situazione analoga: Dio è diventato marginale, non solo nella società europea largamente secolarizzata, ma anche nella stessa Chiesa, che parla poco di Dio e molto di migranti da accogliere, di poveri da soccorrere, di ultimi con i quali solidarizzare: tutte cose giuste, anzi sacrosante e assolutamente necessarie e da fare, ma il tema della predicazione cristiana è un altro dalle nostre opere che invece stanno al centro - l’Ottopermille è l’unica cosa che le Chiese reclamizzano anche in televisione. Come se quello fosse l’Evangelo da annunciare!

È un fatto, questo, che può lasciare allibiti. La Chiesa ha urgentemente bisogno di rileggere il Salmo 46, il cui messaggio è, come ho detto: Dio al centro. Che cosa dice il Salmo 46 di questo Dio riportato al centro? Dice sostanzialmente tre cose: dice in primo luogo che Dio è per noi un rifugio; in secondo luogo dice che Dio è con noi; in terzo luogo dice che Dio fa cessare le guerre fino all’estremità della terra. Pensate che messaggio meraviglioso, quasi incredibile, oggi, che, oltre al conflitto spaventoso russo-ucraino, ce ne sono – dicono gli esperti – altri 75 in corso su questa nostra terra martoriata. Vediamo questi tre messaggi, uno più bello dell’altro.

1. Dio è il nostro rifugio. Quelli di noi che hanno i capelli bianchi sanno bene che cos’è un rifugio: durante la Seconda Guerra Mondiale, se vivevano in una delle tante città italiane bombardate, hanno anche loro cercato un rifugio, quei luoghi di solito sotterranei che le bombe di solito non riescono a raggiungere e dove ci si sente al sicuro, aspettando la sirena che annuncia che quel bombardamento è finito.

Durante la feroce guerra russo-ucraina, abbiamo visto la gente disperata cercare rifugio nel tunnel della metropolitana, e lì trascorrere, accampati, intere giornate e settimane.

Un rifugio! Beato chi ha un rifugio, perché la vita è piena di pericoli; la sicurezza è anche un tema politico d’attualità! Dio è un rifugio, anzi il rifugio! Un luogo in cui sentirsi al sicuro, un luogo in cui non corri pericoli mortali. «Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto, sempre pronto nei pericoli» (v. 1). È il ritornello del Salmo, ripetuto ai versetti 7 e 11. È un’immagine molto chiara: «Forte Rocca è il nostro Dio». Dio è una roccaforte, una fortezza, una sicurezza, un luogo in cui sei al sicuro.

Perché sei al sicuro? Perché Dio ti è vicino, ti accompagna, ti accoglie, ti vuole bene più di chiunque altro, persino più di tua madre, anche perché tua madre un giorno non ci sarà più, se ne dovrà andare, come tutti noi mortali, ti dovrà abbandonare (forse se ne è già andata), Dio invece non se ne va mai, non ti abbandona, tu puoi abbandonare lui, ma lui non abbandona te. «L’amore mio non s’allontanerà da te» dice Dio (Isaia 54,10). Nella Bibbia abbondano le affermazioni di questo tenore. «Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà. L’Eterno è colui che ti protegge; l’Eterno è la tua ombra. Egli sta alla tua destra» (Salmo 121,5). Ecco perché, in mezzo agli tsunami della Natura: la terra sconvolta, i mari che muggiscono e schiumano, i monti che tremano (vv, 2-3); in mezzo agli tsunami della Storia: i regni si commuovono, le nazioni rumoreggiano (v. 6), e in mezzo agli tsunami della vita (malattie, separazioni, sconfitte, lutti), sei al sicuro con Dio, più al sicuro che in qualunque fortezza costruita da mani umane, fosse pure un rifugio antiatomico.

«Forte Rocca è il nostro Dio, / Nostra speme in lui si fonda; / Ne sostien benigno e pio / Nell’angoscia più profonda - [Nota]

E ancora: Se migliaia di demoni / Ne volessero inghiottire, / Le malefiche legioni – Non vedranci impallidire / Con tutti i lor terror / Si mostrin pure. Il cor / No, non ci trema; / A un detto dell’Eterno / Fia depresso il re d’inferno.

2. Una seconda cosa dice di Dio il Salmo 46, la più bella che potrebbe dire, la piccola frase che riassume mirabilmente tutto l’Evangelo: se afferriamo bene ciò che quella piccola frase di quattro corte parole ci dice di Dio, non abbiamo bisogno di sapere altro; quella frase ci basta per tutta la vita, e oltre. La frase è: «Dio è con noi». Ora sappiamo che questa frase così bella, la più evangelica e angelica di tutte, si è rivelata in un passato anche recente una frase molto pericolosa. Ricordo ancora di aver visto con i miei occhi di bambino (nel 1944 avevo otto anni) questa scritta, allora per me misteriosa: Gott mit uns ( «Dio con noi» in tedesco) scolpita sulle cinture dei soldati tedeschi che occupavano, con i militari dell’esercito fascista di Salò, il paese di Bobbio Pellice, dove abitavamo, perché mio padre era lì pastore.

Dio con noi trasformato in uno slogan nazista! Che bestemmia! Ma anche la Chiesa ha abusato sfacciatamente del “Dio con noi”: è la parola che ha ispirato tutte le crociate antiche e moderne, quelle armate e quelle ideologiche (ugualmente spietate); è la parola che ha scatenate tutti i peggiori fanatismi in molte religioni, ed è servita come copertura per violenze di ogni genere.

Eppure, malgrado questi abusi scellerati, non possiamo, come cristiani, non ripetere con il Salmo 46: «Dio è con noi», perché proprio questo è il nome di Gesù, come dice l’evangelista Matteo: «Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emanuele, che, interpretato, vuol dire “Dio con noi» (Matteo 1,23). Con noi, non contro di noi. Con noi, non senza di noi. Con noi, non solo sopra di noi. «Padre Nostro che sei nei cieli», sì, ma anche sulla terra, «alla mia destra». Dio è sempre con qualcuno, non gli piace stare solo. È l’Iddio di Giacobbe (ripetuto due volte, vv. 7 e 11), ma anche di Abramo e di Isacco; anche di Mosè e Isaia; anche di Gesù e Paolo. Dio è sempre il Dio di qualcuno, con qualcuno, anche con te e me. Ma qui ci dobbiamo chiedere: In che modo Dio è con noi? Nel Salmo Dio è «con Giacobbe», cioè con il popolo d’Israele, perché abita anche lui a Gerusalemme, nel tempio costruito da Salomone per ospitare l’Arca del Patto, con dentro le due Tavole della Legge (i Dieci Comandamenti) – Arca che, fino a quel momento, era andata raminga insieme al popolo; ora finalmente aveva trovato, nel tempio di Salomone, una dimora permanente degna della sua importanza unica. Dio perciò aveva deciso di abitare lì, dove stava l’Arca. E la gente pensava che perciò Gerusalemme era un posto sicuro, perché Dio vi abitava: «Iddio è nel mezzo di lei; essa non sarà smossa», cioè: Siamo al sicuro, perché Dio abita con noi a Gerusalemme, nel tempio di Salomone. Ma, ragionando in questo modo, il popolo dimenticava la preghiera stupenda che lo stesso Salomone pronunciò quando inaugurò il Tempio appena costruito: «È proprio vero – si chiedeva Salomone, rivolgendosi a Dio – che Dio abiti sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere, quanto meno questa casa che io ti ho costruito!» (I Re 8,27).

Sì, è proprio vero che Dio abiti sulla terra, ma non più a Gerusalemme, e neppure a Betlemme, e neppure a Nazareth; non in un luogo abita Dio, ma in un uomo, nel suo Figlio Gesù: «Chi sia, domandi tu? Egli è Cristo Gesù / Nostro Signore; Da Lui vigor ne viene, / la vittoria in mano Ei tiene».

Perché è Gesù il luogo in cui Dio abita sulla terra, ed egli poté dire, parlando del tempio di Gerusalemme: «Disfate questo tempio, e io in tre giorni lo farò risorgere!». Allora i Giudei replicarono: «Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio, e tu lo faresti risorgere in tre giorni?». Ma Gesù parlava del tempio del suo corpo. E nessuno lo capì, neppure i discepoli (Giovanni 2,19-21). Gesù è il tempio di Dio sulla terra, è lì che Dio abita in mezzo agli uomini. Ma non abita solo in Gesù. C’è una promessa inattesa e stupenda che Gesù fa ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui» (Giovanni 14,23). E gli fa eco l’apostolo Paolo, che, rivolto ai cristiani di Corinto, dice: «Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (I Corinzi 3,16). Questo è oggi sulla terra il tempio di Dio, la dimora dell’Altissimo: è la comunità cristiana, siete voi, siamo noi. Facciamo fatica a crederci, non ci sentiamo all’altezza: eppure, o siamo questo, oppure non si sa bene che cosa ci stiamo a fare in questo mondo come cristiani.

3. E veniamo al terzo messaggio, la terza verità che il Salmo 46 dice di Dio, che la introduce affermando che Dio «fa cose stupefacenti» (v. 8).
Dice che Dio «fa cessare le guerre fino alle estremità della terra; rompe gli archi e spezza le lance, brucia i carri [di guerra; oggi direbbe «i carri armati»] nel fuoco. Fermatevi, egli dice, e riconoscete che io sono Dio» (vv. 9-10), non lo sono gli eserciti, le armi, le bombe - neppure quelle atomiche sono Dio!

Io sono Dio, dice «l’Eterno degli eserciti» (vv. 7 e 11), cioè l’Eterno che qui fa davvero cose stupefacenti, cioè distrugge letteralmente gli eserciti umani, rendendo così la guerra impossibile!

Anche il profeta Isaia aveva fatto discorsi analoghi: «Dio sarà arbitro tra molti popoli, ed essi dalle loro spade fabbricheranno vomeri d’aratro, e dalle loro lance, roncole; una nazione non leverà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra» (Isaia 2,4). Ma Isaia parla al futuro, alludendo ai tempi messianici. Il Salmo 46, invece, parla al presente; si tratta di «un’opera stupefacente» che Dio sta compiendo ora!

Ma dove la sta compiendo, dato che vediamo tutto il contrario, e le guerre non solo non cessano, ma si moltiplicano? La sta compiendo, con grande fatica, nel cuore dei cristiani, che sono i primi a non credere che Dio stia effettivamente distruggendo le armi nei loro cuori, prima ancora che nelle mani degli uomini, nelle loro mani.

Dio infatti comincia sempre dai cuori: se i cuori non cambiano, non cambierà nulla. A Dio non è ancora riuscito di cambiare il cuore dei cristiani su questo punto. Dov’è infatti la Chiesa che ha creduto in un Dio che rompe gli archi e spezza le lance, che brucia i carri da guerra e non benedice le armi, ma le distrugge? Non vi sembra che questo Dio sia proprio il Dio sconosciuto, che il cristianesimo ha rimosso dal sua immaginario e dalla sua fede, il Dio che, essendo sconosciuto, non è ne creduto, né amato, e tanto meno predicato, e che quindi dobbiamo ancora scoprire, nel quale soprattutto dobbiamo ancora imparare a credere, perché solo così ci può diventare familiare. È il Dio che con quel gesto simbolico di rompere gli archi e spezzare le lance, vuole mettere l’umanità su una nuova strada, che l’umanità non ha mai percorso: non più quella di Caino che ha ucciso il fratello, ma quella di Gandhi e di Martin Luther King, e dell’uomo di Tienammen che – ricordate – col suo corpo completamente disarmato, si è messo davanti a quattro enormi carri armati e rischiando la vita, li ha fermati e, per così dire, disarmati, impedendo loro, quel giorno, di sparare e di uccidere.

Una strada completamente nuova: quella della nonviolenza adottata e praticata come stile di vita e come cultura – una strada che neppure la Chiesa fino a oggi ha mai osato imboccare, perché non crede nel Dio del Salmo 46,9-10, e tanto meno ci crede l’umanità. Per questo vediamo tutto il contrario di quello che dice il Salmo. Ma Dio non si arrende, e vuole anzitutto lavorare nel cuore dei cristiani, nei nostri cuori, perché, come ho detto, Dio comincia sempre dai cuori. Egli desidera che la Chiesa prenda l’uomo di Tienammen come suo modello di vita.

La sua domanda potrebbe essere questa: Tu, cristiano del XXI secolo, hai accolto nel tuo cuore il Dio che spezza le lance e brucia i carri da guerra, l’Eterno degli eserciti che, mettendoti sulla strada della nonviolenza, rende impossibile la guerra? Non sembra anche a te che l’uomo di Tienammen sia l’icona, lo specchio, il modello, di quello che la Chiesa cristiana deve diventare? Sono queste le domande che ci raggiungono in questa domenica della Riforma 2022, che, come vedete, non ci riportano indietro in tempi lontani, ma illuminano con una luce nuova questo tempo oscuro di guerra e morte che stiamo vivendo, in mezzo a una umanità che continua tristemente a credere più nella guerra che nella pace.

Noi siamo la comunità di Gesù, chiamata non a predicare e auspicare la pace, ma a farla: «Beati coloro che fanno la pace» dice Gesù (Matteo 5,9), dimostrando così di credere più nella pace che nella guerra.

Amen.

Predicazione di Paolo Ricca, chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 30 ottobre 2022

[Nota] Citiamo «Forte Rocca» secondo la versione dell’Innario Cristiano del 1922 (esattamente un secolo fa!), malgrado il suo italiano antiquato (ma pur sempre ancora comprensibile, ricordando che «ne» sta per «ci» o «noi», o «a noi»; «pugna» è un latinismo che sta per «combatte»; «speme» sta per «speranza»; «fia depresso» significa «sia o sarà umiliato», o qualcosa del genere; «denno» sta per «devono»; «detto» sta per «parola» Sono cose che si sanno o si intuiscono. Perché preferiamo quella versione piuttosto che quella del più recente Innario Cristiano del l’anno 2000? Perché la versione del 1922, malgrado i suoi arcaismi, è più fedele al testo originario di Lutero di quanto non lo sia la versione del 2000, che invece, sul piano strettamente musicale, è più vicina all’inno come lo scrisse Lutero.

 

 

Domenica 4 settembre 2022

Testi:
Matteo 11,15

Chi ha orecchi, oda!”.

Matteo 5,43-48

Voi avete udito che fu detto: ‘Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? 47 E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? 48 Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”.

 

Dove va la nostra chiesa, intesa come noi qui, la nostra comunità?
Nel programmare, per esempio, un passo verso chi sta fuori le nostre mura, come facciamo?
Poco fa è uscito dalla Tavola un documento sull'evangelizzazione. Qualcuno/a potrebbe dire, "Oggi non è come ieri" o "Oggi è come sempre". Forse sono veri ambedue questi concetti, ma in ogni circostanza abbiamo l'obbligo di ragionare su dove stiamo andando, abbiamo
l'opportunità di chiedere dove vogliamo andare. E quali mezzi, quali strumenti, quali talenti abbiamo per muoverci.

Tempo del Creato -  Un mese? Poca roba.
Il creato e la sua cura valgono 12 mesi, anzi, una vita.
Certamente ci sono altri temi che meritano la nostra attenzione, ma tante persone credono che ci sia oggi un'urgenza climatica senza precedenti. Questa settimana, credo, ci saranno a disposizione gli atti dell'Assemblea e del Sinodo appena conclusi. Spero che l'impegno per l'ambiente sia ben chiaro.

Come negli anni scorsi la “Commissione Globalizzazione e Ambiente” (GLAM) ha preparato un dossier, poi spedito a tutte le chiese della Federazione della Chiese Evangeliche in Italia.
Nel passato il materiale si focalizzava, per esempio, su acqua, terra, aria, fuoco, diritti, esseri viventi non umani. Quest'anno il titolo del documento di 37 pagine è Empatia: L'ascolto, il dubbio, la misericordia.

Prendo stimoli dal documento per parlare di empatia e di altro che riguardano la collaborazione fra di noi, al nostro interno, ma anche fra noi e persone fuori dalla nostra comunità.
Il concetto di empatia è stato molto sviluppato da diverse persone. Uno èCarl Rogers, un psicologo americano, che è stato importante nella mia formazione professionale come counselor. Egli ha elaborato il concetto dell'ascolto attivo, che può facilitare la comunicazione. Un altro è Marshall Rosenberg, che nel campo di pacifismo, sulla base di Rogers, ha promosso la “Comunicazione nonviolenta” (CNV). Ci fa pensare alle parole di Gesù appena lette.
La buona comunicazione, comunque, va basata su un fondo di accoglienza, la voglia di rapportarsi con l'altro, l'altra. Ci vuole quell'apertura cara a noi valdesi e metodisti, non soltanto nel nostro pensare, ma quella che ci spinge verso gli altri, andare verso altri senza intrometterci, ma anche senza timidezza. Certo, se non ci vogliono, non insistiamo. Questo è
semplice rispetto, una forma di ascolto. Non si tratta soltanto di sviluppare un rapporto con persone simpatiche, attraenti. Per Rogers lo scopo era di accogliere un cliente, per Rosenberg era per formare uno o una che voleva sviluppare il suo pacifismo.

La comunicazione costruttiva vuole apertura, accoglienza, ascolto e empatia. Cito da Empatia (Al cuore della Comunicazione nonviolenta, un libro sul pacifismo); "Fondamentalmente, l'empatia è una forma di accoglienza dell'altro, attraverso la quale offriamo le due cose più
preziose che possono scambiarsi due esseri umani: tempo e attenzione. Questa accoglienza si effettua nel modo più globale possibile. Oltre al nostro ascolto, implica la nostra immediata apertura, la nostra attenzione a livello non-verbale e la nostra disponibilità energetica.
L'empatia è innanzitutto una qualità di presenza, al servizio della vita."

Per quanto riguarda noi, come chiesa, l'empatia è fondamentale. Per comunicare con qualcuno/a dobbiamo essere empatici. Dopo aver spalancato la porta, dopo avere allargato le nostre braccia con benevolenza, dopo aver anche aperto le nostre orecchi, per arrivare dobbiamo capire chi è l'altro/a, dove sta in questo momento della vita: il suo contesto, le sue
speranze, i suoi doti, le sue preoccupazioni, le sue sofferenze. E' difficile ma necessario essere molto cauti e rispettosi senza avere pregiudizi o invadere. Ho apprezzato il documento su l'evangelizzazione, ma, per me, se qualcosa manca è l'enfasi su "metterci nei panni degli altri".
Ogni passo è essenziale: apertura, accoglienza, ascolto, e certamente empatia.
Fin qua è abbastanza semplice parlare di empatia. Non dico che provare empatia sia facile, anzi.

Ma torniamo alla Cura del Creato. Il più immediato elemento del creato è il nostro prossimo, un essere umano come noi. Chi altro o che cos’altro potremmo meglio capire? E già è una bella fatica. Ma il Signore ci ha dato i mezzi e una guida.
E' un compito più complesso e più arduo quando applichiamo apertura, accoglienza, ascolto, e empatia all'immenso creato oltre gli esseri umani.
Ricordate l'elenco degli dossier GLAM degli scorsi anni? Parlava di acqua, terra, aria, fuoco, diritti, esseri viventi non umani. E questi sono soltanto
dei pezzetti dell'immenso creato che il Signore ci offre.
Ma come possiamo essere aperti a un albero, accogliere una balena, ascoltare una montagna, praticare l'empatia con una stella?
E’ vero, sembra assurdo. Lascio a voi di pensarci, ma, diversamente da alcune religioni, forse qui, nello stacco che ci separa dal mondo naturale, possiamo trovare la fonte di tanti problemi. Come potenti padroni abbiamo fatto quello che abbiamo voluto con il resto del creato. E' là per il nostro uso – il nostro abuso.
Il fatto è che il creato soffre e noi dobbiamo pensarci, perché nessuna altra creatura ha avuto un impatto negativo come noi e nessun altro, come noi, è in grado di cambiare strada e cercare rimedi.

Chiudo con una proposta che viene da un emendamento integrativo alla mozione "RINNOVAMENTO DEL PATTO" presentato all'Assemblea/Sinodo appena concluso. Lo ha proposto, il 22 agosto 2022, il deputato battista Avernino di Croce:

«Prendiamo atto - ispirati dalla Parola del Signore, con il sentimento di esserle fedeli e ubbidienti - che sono ormai giunte a un punto di irreversibilità problemi epocali che coinvolgono l’intero pianeta e l’intera umanità, quali ad esempio la crisi climatica e le problematiche ambientali, le profondissime diseguaglianze economiche e sociali, le dinamiche migratorie di intere popolazioni ed etnie, in un contesto peraltro di guerre assurde, una delle quali violentissima e dai lati oscuri, nel cuore della vecchia Europa.
Si tratta di crisi epocali di fronte alle quali le nostre chiese devono sollevare - forte e chiara - una voce profetica e autorevole di condanna, nonché impegnarsi concretamente ed operativamente nel testimoniare che una storia diversa è possibile e necessaria: una storia che affonda le radici nella nostra vocazione e nel nostro modo di essere cristiani; una storia non basata sul PIL e sul mercato, bensì sull’accoglienza universale, dell'amore incondizionato rivolto a tutti e tutte e in primi ai più deboli, fragili e svantaggiati, a quelli considerati gli “scarti” dell’umanità, sul ripudio di tutte le guerre, riaffermando del continuo che non ci sono guerre giuste e guerre ingiuste. In sintesi: sostituire la “globalizzazione dei mercati” con la “globalizzazione dell’Amore».

Meditazione di Paul Krieg, chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 4 settembre 2022

 

 

Domenica 28 agosto 2022
Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo

 

Letture

Deuteronomio 31, 1-8

1 Mosè rivolse ancora queste parole a tutto Israele. 2 Disse loro: «Io ho oggi centovent'anni; non posso più andare e venire, e il SIGNORE mi ha detto: "Tu non passerai questo Giordano". 3 Il SIGNORE, il tuo Dio, sarà colui che passerà davanti a te e distruggerà, dinanzi a te, quelle nazioni e tu possederai il loro paese; e Giosuè passerà davanti a te, come il SIGNORE ha detto. 4 Il SIGNORE tratterà quelle nazioni come trattò Sicon e Og, re degli Amorei, che egli distrusse con il loro paese. 5 Il SIGNORE le darà in vostro potere e voi le tratterete secondo tutti gli ordini che vi ho dati. 6 Siate forti e coraggiosi, non temete e non vi spaventate di loro, perché il SIGNORE, il tuo Dio, è colui che cammina con te; egli non ti lascerà e non ti abbandonerà». 7 Poi Mosè chiamò Giosuè e, in presenza di tutto Israele, gli disse: «Sii forte e coraggioso, poiché tu entrerai con questo popolo nel paese che il SIGNORE giurò ai loro padri di dar loro e tu glielo darai in possesso. 8 Il SIGNORE cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti di animo».

Matteo 6, 25-33

25 «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 30 Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. 33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. 34 Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.

Levitico 26:12

Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo.

Care sorelle, cari fratelli, stiamo vivendo un tempo di cambiamenti e eventi che portano sofferenze e incombono sulle nostre vite condizionando il nostro stato d’animo e provocando un gran senso di insicurezza e di incertezza. Di per sé i cambiamenti non comportano solo cose negative, spesso generano novità positive, caso mai noi non sempre siamo in grado di percepirle in precedenza e ne scopriamo gli effetti solo dopo. Ci sono dei cambiamenti legati a fatti ed eventi che in qualche modo conosciamo o siamo in grado, almeno in parte, di pianificare, controllare o almeno prevenire, poi ci sono quelli legati agli accadimenti imprevisti e improvvisi che purtroppo possono modificare, scuotere, talvolta sconvolgere completamente la nostra vita. Penso per esempio ad una malattia grave o una morte improvvisa, alla perdita del lavoro o alla fine di una relazione affettiva. In questi casi ai problemi da affrontare e alle difficoltà concrete da risolvere si aggiungono il turbamento, il senso di solitudine e di abbandono, spesso l’angoscia per un futuro incerto e nel quale non si riesce a vedere una via d’uscita o una qualche prospettiva. La rilevanza e l’impatto sulle nostre vite dei cambiamenti di cui siamo oggetto dipende anche dalla situazione in cui ci troviamo, dal nostro modo di affrontarli e di gestirli, dalla nostra capacità di reagire e di condividerli parlandone con altri, tanto più quando si fa parte di una comunità di fede in cui i legame di fratellanza/sorellanza può, anzi dovrebbe, aiutare ad affrontarli.

Permettetemi di inserire a questo punto alcune considerazioni di carattere autobiografico prima di arrivare al commento del passo del Levitico. Durante il recente periodo di riposo trascorso al fresco della montagna pistoiese ho riflettuto spesso sul fatto che tra breve, ai primi di ottobre, si concluderà la mia lunga esperienza lavorativa e sarò in pensione senza più l’impegno di un’attività professionale svolta in prima linea nell’ambito dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale, dunque senza più le occasioni di approfondimento, gli stimoli di arricchimento e le relazioni interpersonali offerti da questo contesto professionale, ma anche senza le pressioni e gli oneri dispendiosi, in molte occasioni faticosi, imposti dal ruolo di coordinamento di una ventina di persone nella realtà ancora fortemente burocratico e piena di formalità della pubblica amministrazione italiana. In conclusione, più tempo a disposizione, più libertà, nuove opportunità che si posso presentare, ma il tutto da conciliare col il ruolo di portatore di cure per mia madre, molto anziana e con problemi di mobilità, alla quale mi lega un profondo sentimento di affetto e di gratitudine.  Dunque un cambiamento radicale, una nuova fase della vita che sta per iniziare che genera un po’ di apprensione a causa delle incertezze e delle incognite che la caratterizzano. Immerso in queste considerazioni mentre passeggiavo sotto i castagni ho realizzato la pochezza di questi miei timori in confronto alle grandi emergenze nelle quali stiamo vivendo e che stanno colpendo tante persone soprattutto quelle più deboli e indifese in quanto sole, malate, prive di risorse economiche sufficienti per affrontare queste crisi. Sinceramente ho provato vergogna ma la mia angoscia è aumentata pensando alla situazione mondiale. 

In primo luogo il cambiamento climatico che sta sconvolgendo il pianeta con l’aumento delle zone desertificate e con lo scioglimento dei ghiacciai, le onde di calore, la siccità e l’innalzamento del livello dei mari, gli uragani e le alluvioni che devastano i territori, causando morti, distruzione, migrazioni e sconvolgendo le economie. L’ultimo rapporto Drought in Numbers (Siccità in Numeri) della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (Unccd) riporta che la frequenza e la gravità della siccità sono aumentate del 29% dal 2000. Entro il 2050, le zone aride potrebbero coprire tra il 50 e il 60% di tutta la terra comportando condizioni di grave scarsità d’acqua per circa i tre quarti della popolazione mondiale che vive in queste aree. La seconda emergenza è la guerra, o per essere più precisi, le guerre locali e le tensioni tra le grandi potenze mondiali per la supremazia territoriale ed economica su intere aree della Terra. Egoisticamente ci stiamo preoccupando per la guerra tra Russia e Ucraina perché ci è molto è vicina  e un possibile “incidente” nucleare potrebbe rivelarsi letale anche per noi, ma ci sono guerre dimenticate in tante altre parti del mondo. Un articolo de il Sole 24 Ore del 21 luglio u.s. riporta che lo Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) identifica 10 conflitti o situazioni di crisi in tutto il mondo che potrebbero peggiorare o evolvere nei prossimi mesi: Etiopia, Yemen, Sael, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Myanmar. Senza dimenticare la Libia, le continue tensioni in Asia relative a Taiwan e alla Corea del Nord. Quante vittime innocenti, vite sprecate, quanto sangue versato, quanto odio seminato e quanta sofferenza, bambine e bambini senza un futuro!
La terza emergenza è quella legata all’epidemia COVID, le sue varianti, gli effetti nel breve e lungo periodo, l’efficacia dei vaccini, il rischio che si possano verificare altre pandemie ancora più aggressive e i rischi collegati alla possibile diffusione di altri virus di cui ci informano i notiziari (es. il West Nile) ai quali si aggiunge il senso di impotenza che ci coglie nel leggere i pareri spesso discordanti degli esperti ai quali sono affidate le sorti della nostra salute e delle vite dei nostri cari, specialmente i più piccoli.

Tutte e tre queste emergenze hanno avuto e stanno determinando un forte impatto sull’economia provocando l’aumento incontrollato del costo delle fonti energetiche che mette in crisi intere filiere produttive che devono essere completamente ripensate o abbandonate (es. quelle definite energivore) con il conseguente approfondimento del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, l’impoverimento delle classi più deboli, la disoccupazione e una serie di conseguenze sociali devastanti sulle nostro società abituate da anni ad un livello elevato di benessere.  Anche nel nostro paese sta crescendo l’incertezza e l’angoscia per il domani, spesso molto ravvicinato, il mese prossimo, l’autunno, per tutti coloro che sono in difficoltà, che hanno perso o che non hanno un lavoro, che non sanno come mantenere la propria famiglia, per i giovani che si affacciano alla vita in una situazione che non offre prospettive se non quella di lavorare fino a tarda età svolgendo attività precarie, poco remunerative e senza quelle tutele e quei diritti che per me e i miei coetanei ormai sono acquisiti grazie ai sacrifici e alle lotte delle generazioni precedenti. Dunque ben poca cosa le mie preoccupazioni personali di fronte a questo scenario mondiale così angosciante, privo di punti di riferimento certi, di soluzioni chiare e di prospettive che facciano intravedere una via d’uscita. C’è veramente ben altro di cui vale la pena preoccuparsi e che alimenta il turbamento e il senso di impotenza!

E’ in questo contesto che aprendo il piccolo volume di Karl Barth, “L’umanità di Dio”, che avevo portato con me, ripubblicato quest’anno dalla Claudiana con un saggio di Sergio Rostagno, ho trovato tra i vari scritti riportati anche il testo del sermone tenuto da Barth a Basilea il 7 ottobre 1956, presso la Bruderholtzkapelle, su Levitico 26,12 “Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo”.  La sola lettura di questo passo mi ha restituito i punti di riferimento, mi ha liberato dall’angoscia e mi ha ridato coraggio e serenità per cui ho deciso di condividerlo con voi oggi.

Prima di tutto ricordiamo che la prima parte (v.1-13) del capitolo 26 del libro del Levitico contiene una serie di promesse (benedizioni) che Dio fa agli ebrei se osserveranno le sue leggi e metteranno in pratica i suoi comandamenti, ricordando loro di averli liberati dalla schiavitù in Egitto ridandogli libertà e dignità. Nei passi successivi del capitolo Dio elenca anche le punizioni e i castighi (maledizioni) che infliggerà al popolo di Israele nel caso in cui disubbidisca dalle prescrizioni e non gli sia fedele promettendo comunque di non “rompere il mio patto con loro; poiché io sono il SIGNORE loro Dio; ma per amor loro mi ricorderò del patto stretto con i loro antenati, che feci uscire dal paese d'Egitto, sotto gli occhi delle nazioni, per essere il loro Dio. Io sono il SIGNORE".

Questa parola antica che Dio rivolge al popolo d’Israele, “Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo”, mi è apparsa in tutta la sua forza espressiva, nella sua capacità di riaccendere la speranza, di illuminare il buio, di scuotere, di ridare vigore. Questa parola mi dice, ci dice, che qualunque cosa accada, qualunque avvenimento ci coinvolga, qualunque cambiamento avvenga, Dio è in mezzo a noi, non ci lascia soli, condivide le nostre angosce e preoccupazioni perché è il nostro Dio e noi siamo il suo popolo. Esaminiamo ora in breve la sequenza delle tre affermazioni che compongono questo passo del Levitico traendo spunto da gran parte delle riflessioni del sermone di Barth.

Primo affermazione: “Camminerò tra di voi”. Camminare indica movimento, azione, dinamismo. Barth sottolinea che implica percorrere una strada in una determinata direzione e andare e venire da un luogo all’altro. A mio avviso è anche un termine che bene si concilia con il concetto di cambiamento poiché ogni trasformazione comporta intraprendere un percorso, anche se spesso, come capita a chi ama viaggiare e scoprire luoghi nuovi, il cammino non lo conosciamo, è tutto da scoprire e può celare delle insidie. Camminare ci indica che Dio non è immobile, non è statico, cammina tra noi, dunque anche noi non dobbiamo temere di camminare, non dobbiamo restare immobili dove siamo, perché Egli ci accompagna nell’affrontare insieme a noi i cambiamenti che ci si prospettano, non siamo soli nell’affrontare gli imprevisti e le eventuali insidie del cammino che ci attende perché Dio è tra noi e le condivide con noi.

Camminare è un termine molto frequente nella Bibbia. Barth ricorda come una delle prime immagini di Dio è quella del capitolo 3 del libro della Genesi quando l’uomo e la donna (Adamo e Eva) odono “la voce di Dio, il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera” (v.3).  Un’immagine molto umana della presenza divina ma che ce la rende molto vicina e comprensibile. Poi possiamo ricordare i tanti passi biblici in cui camminare vien associato a seguire la via del Signore, fare la sua volontà, obbedire ai suoi comandamenti, seguirlo assumendolo come nostra guida, come il passo del Salmo 32, v.8 “Io ti istruirò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te”. Il testo del libro del Deuteronomio che abbiamo ascoltato ci presenta Dio che cammina guida Israele verso la terra promessa: “Il SIGNORE cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti di animo”.  Dio ci sostiene nelle inquietudini e incertezze dovute alla nostra impossibilità di vedere i cambiamenti che ci attendono e il futuro come afferma il bel passo di Isaia 42,16: “Farò camminare i ciechi per una via che ignorano, li guiderò per sentieri che non conoscono; cambierò davanti a loro le tenebre in luce, renderò pianeggianti i luoghi impervi. Sono queste le cose che io farò e non li abbandonerò”.

A me “camminerò tra voi” ha inoltre immediatamente fatto ricordare anche il passo (Luca. 24,15) quando i due discepoli stanno percorrendo la strada per Emmaus discutendo tra loro di tutti i recenti avvenimenti della morte di Gesù che, da loro non riconosciuto, si avvicina e “cominciò a camminare con loro” (Luca. 24,15). La promessa di Levitico e le altre dell’Antico Testamento sono confermate da Dio che si è fatto uomo nel suo Figlio Gesù e che ha condiviso la nostra umanità, si è rinnovata dopo la sua morte, dopo la resurrezione. Non siamo soli, il Signore cammina ancora tra noi e, come i due discepoli,  mi sono reso conto di quante volte Gesù ha camminato con me!

Barth sottolinea anche l’importanza del “tra voi”, ecco alcuni passaggi che colpiscono per la vivacità  e l’incisività: «Dio cammina come punto mediano, come fonte e origine, e anche come fine di tutte le storie delle nostre vite […] Egli non è al margine. Egli è più vicino a noi di quanto lo siamo noi stessi. Egli ci conosce anche meglio di quanto noi stessi ci conosciamo […] Egli cammina fra noi tutti, che noi lo sappiamo e lo notiamo o no, che ci vada a genio così o no: tra i vecchi e fra i giovani, fra i malati e fra i sani, fra gli attivi e fra i contemplativi, fra i buoni e fra i malvagi. Poiché egli è il Dio onnipotente, per questo non si stanca né si esaurisce, per questo non si lascia neppure fermare né rimandare indietro». Dio che ha promesso di camminare “tra” noi, Gesù che cammina in mezzo alle folle e poi cammina “con” i discepoli sono la promessa e la conferma della presenza di Dio che ci accompagna, che condivide con noi le ansie e le preoccupazioni del nostro cammino, quando lavoriamo e quando riposiamo, quando vegliamo e quando dormiamo, quando siamo felici e quando siamo tristi, nel tempo e nell’eternità, Egli è «Colui che benignamente cammina fra noi» scrive Barth.

Seconda affermazione: “Sarò vostro Dio” significa che Dio è dalla nostra parte, che è solidale con noi, pronto ad aiutarci contro tutto ciò che ci provoca afflizione, angoscia e dolore. Dio è il nostro unico e vero soccorritore, ma anche, sottolinea Barth, è Colui che ci dice un «sì» santo e salvifico che comprende anche un «no» a quella parte di noi a cui Egli deve, per amor suo e anche nostro, dire un «no», proprio come fa un medico quando ci prescrive cure e comportamenti necessari per la nostra salute anche se non ci sono graditi. Questo «sì», accompagnato anche da un «no», senza esitazioni o dubbi, completo e illimitato viene pronunciato da Dio per renderci liberi e felici, per rimetterci in piedi quando siamo caduti, per ridarci forza quando siamo deboli, per ridarci speranza quando siamo sfiduciati. Possiamo affrontare le incognite e le incertezze dei cambiamenti che ci attendono contando su questa sostegno, sapendo che Dio non ci abbandona, che “il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose” (Matteo 6,32), che Egli ci istruisce e ci consiglia e che il suo sguardo benigno è su di noi.
“Sarò vostro Dio” è la promessa del Dio vivente, Creatore del cielo e della terra,  che ci chiama al suo servizio, che è qui in mezzo a noi questa mattina, a casa con i fratelli e le sorelle che non possono essere presenti in questo luogo, ovunque con chi soffre e ha bisogno di aiuto. “Sarò vostro Dio” è la promessa di Dio che ha dato sé stesso nel suo figlio Gesù Cristo affinché ciascuna/o di noi lo possa chiamare «Padre nostro, Dio nostro», «Padre mio, Dio mio». Attraverso questa promessa che si è realizza in Gesù, la Parola fatta carte, si è creato un legame di reciproca appartenenza tra noi e Dio che nella sua immensa grazia ha deciso di condividere la nostra esistenza, di appartenerci, di essere per noi nelle nostre pene e preoccupazioni, nel tempo che ci è dato da vivere e nella vita eterna, e che ci dice di non essere “in ansia per il domani” ma di cercare “prima il regno e la giustizia di Dio”.

Terza affermazione: “e voi sarete mio popolo”. Barth osserva che questa è la più alta di tutte ma forse anche la più incomprensibile. Infatti Dio si rivolge a noi a ci dice: voi con le vostre vite piene di errori e di mancanze, con i vostri pensieri tumultuosi e svolazzanti, le vostre menzogne grandi e piccole, con le vostre aspirazioni e le vostre debolezze, con le vostre esaltazioni e depressioni, con la vostra transitorietà alla quale prima o poi verrà messa fine, voi che senza Dio siete irrimediabilmente perduti, ebbene, ciò nonostante, voi dovete essere il mio popolo. Ecco il grande dono: Dio ci ha scelto come “suo” popolo, dice a ciascuna e ciascuno di noi “tu sei mia/mio”, ci afferra, e noi dobbiamo lasciarci afferrare con fiducia e senza timore. Essere il popolo di Dio, appartenere al Signore da un lato vuol dire riconoscere in Dio il Signore e giudice, ma anche il padre misericordioso che conosce in anticipo le nostre ansie e i nostri bisogni e che ci dà tutto quanto in più come abbiamo letto in Matteo, dunque che dobbiamo temere, amare, invocare, in cui dobbiamo confidare, a cui dobbiamo presentare le nostre preoccupazioni e angosce, a cui dobbiamo affidare con fiducia le nostre richieste e le nostre vite cercando il suo volto con preghiere di lode e ringraziamento. Ma essere il popolo di Dio non è solo rassicurante e consolatorio, comporta anche una responsabilità e dei compiti, ci chiama ad essere Suoi testimoni davanti a tutti coloro che non sanno ancora o che non possono sapere o che non vogliono sapere nulla di Dio. Convocati da Dio come suo popolo dobbiamo essere un popolo di fratelli e sorelle che si aiutano gli uni con gli altri, pronti a soccorrere e sostenere i deboli, gli afflitti, i perseguitai e gli abbandonati, a essere luce del mondo, testimoniare in ogni modo con gioia che Dio vive, che cammina fra noi, che la sua misericordia e la sua grazia sono per tutte e tutti coloro che la vogliono accogliere.

Siamo all’inizio di un nuovo anno ecclesiastico per la nostra chiesa, il Sinodo-Assemblea BMV che si è chiuso da poche ore ha tracciato il bilancio di quanto fatto e ha impostato piani e programmi di lavoro per il prossimo futuro. Ci attendono mesi difficili per la crisi energetica, l’economia, il lavoro, le incognite legate agli sviluppi della guerra tra Russia e Ucraina e degli altri conflitti mondiali, l’eventuale ripresa della pandemia a causa di qualche ulteriore variante del virus. A tutto questo si aggiungono le incertezze del nuovo assetto governativo del nostro Paese dopo la sbornia delle promesse elettorali quando i vincitori delle prossime elezioni dovranno agire con efficacia per dare soluzione ai problemi concreti che affliggono. Di fronte a queste incognite e a tutte le preoccupazioni che esse ci causano abbiamo una sola certezza: che la parola di Dio ci dice “io cammino tra voi”, “io sono vostro Dio”, “voi siete il mio popolo”. Questa parola si è adempiuta concretamente e compiutamente in Gesù Cristo e se ne percepiamo la forza infinita e la presenza attuale e ce ne lasciamo afferrare con fiducia siamo certi di poter affrontare tutto quanto accadrà senza timori. Che il Signore ci conceda di uscire da questo tempio ringraziandolo e lodandolo per quanto ha fatto e farà ancora per noi e di poter essere Suoi testimoni che Egli cammina tra noi, che è il nostro Dio e che noi siamo il suo popolo.

Amen.

Predicazione  di Valdo Pasqui  chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 28 Agosto  2022

 

 

 

 

Domenica 5 giugno 2022
Pentecoste
[Battesimo di Noemi De Cecco; professioni di fede di Carlotta Banchi e Marco Mancinella]

Testi:
Atti 2,17-21  
Avverrà negli ultimi giorni”, dice Dio, “che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani avranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei sogni. 18 Anche sui miei servi e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò il mio Spirito e profetizzeranno. 19 Farò prodigi su nel cielo e segni giù sulla terra, sangue e fuoco, e vapore di fumo. 20 Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il grande e glorioso giorno del Signore. 21 E avverrà che chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato
Isaia 56,1-10
Così parla il Signore: «Rispettate il diritto e fate ciò che è giusto; poiché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per essere rivelata. 2 Beato l’uomo che fa così, il figlio dell’uomo che si attiene a questo, che osserva il sabato astenendosi dal profanarlo, che trattiene la mano dal fare qualsiasi male!» 3 Lo straniero che si è unito al Signore non dica: «Certo, il Signore mi escluderà dal suo popolo!» Né dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!» 4 Infatti così parla il Signore circa gli eunuchi che osserveranno i miei sabati, che sceglieranno ciò che a me piace e si atterranno al mio patto: 5 «Io darò loro, nella mia casa e dentro le mie mura, un posto e un nome, che avranno più valore di figli e di figlie; darò loro un nome eterno, che non perirà più. 6 Anche gli stranieri che si saranno uniti al Signore per servirlo, per amare il nome del Signore, per essere suoi servi, tutti quelli che osserveranno il sabato astenendosi dal profanarlo e si atterranno al mio patto, 7 io li condurrò sul mio monte santo e li rallegrerò nella mia casa di preghiera; i loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutti i popoli». 8 Il Signore, Dio, che raccoglie gli esuli d’Israele, dice: «Io ne raccoglierò intorno a lui anche degli altri, oltre a quelli dei suoi che sono già raccolti».
9 O voi tutte, bestie dei campi, venite a mangiare, venite, o voi tutte, bestie della foresta! 10 I guardiani d’Israele sono tutti ciechi, senza intelligenza; sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sognano, stanno sdraiati, amano sonnecchiare»”.

Atti 8,26-39
Un angelo del Signore parlò a Filippo così: «Àlzati e va’ verso mezzogiorno, sulla via che da Gerusalemme scende a Gaza. Essa è una strada deserta». 27 Egli si alzò e partì. Ed ecco un Etiope, eunuco e ministro di Candace, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i tesori di lei, era venuto a Gerusalemme per adorare, 28 e ora facendo ritorno, seduto sul suo carro, stava leggendo il profeta Isaia. 29 Lo Spirito disse a Filippo: «Avvicìnati e raggiungi quel carro». 30 Filippo accorse, udì che quell’uomo leggeva il profeta Isaia e gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?» 31 Quegli rispose: «E come potrei, se nessuno mi guida?» E invitò Filippo a salire e a sedersi accanto a lui. 32 Or il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: «Egli è stato condotto al macello come una pecora; e come un agnello che è muto davanti a colui che lo tosa, così egli non ha aperto la bocca. 33 Nella sua umiliazione egli fu sottratto al giudizio. Chi potrà descrivere la sua generazione? Poiché la sua vita è stata tolta dalla terra». 34 L’eunuco, rivolto a Filippo, disse: «Di chi, ti prego, dice questo il profeta? Di se stesso, oppure di un altro?» 35 Allora Filippo prese a parlare e, cominciando da questo passo della Scrittura, gli comunicò il lieto messaggio di Gesù. 36 Strada facendo giunsero a un luogo dove c’era dell’acqua. E l’eunuco disse: «Ecco dell’acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?» 37 [Filippo disse: «Se tu credi con tutto il cuore, è possibile». L’eunuco rispose: «Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio».] 38 Fece fermare il carro, e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco; e Filippo lo battezzò. 39 Quando uscirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo; l’eunuco non lo vide più e continuò il suo viaggio tutto allegro”.

Pentecoste è la festa dello Spirito Santo e per questo amiamo celebrare le nuove professioni di fede in questo giorno. E’ infatti per lo Spirito del Signore che si può dire la propria fede, e molti sono i modi per farlo, molti sono i cammini con cui il Signore intreccia le nostre vie.
Nei brani, che abbiamo letto, abbiamo una quantità di diversità tutte assieme, molti colori che formano la chiesa: nella scena della Pentecoste a Gerusalemme abbiamo ebrei e proseliti, schiavi e schiave, ma anche persone libere. Nell’oracolo di Isaia abbiamo eunuchi e stranieri insieme a chi è nato nelle famiglie di Israele. Nell’incontro tra un apostolo ellenista, Filippo, e un funzionario etiope venuto a cercare nutrimento per la sua fede abbiamo ancora uno spaccato di come le strade si intrecciano e sono ricche di scoperte. Ognuno compie il suo percorso e Dio offre a tutti l’opportunità di incontrarlo, attraverso una persona o attraverso il dono dello Spirito Santo.
E’ così che si forma la chiesa, nella diversità dei colori, dei generi e delle provenienze. Questa ricchezza di diversità è proprio il dono dello Spirito Santo a Pentecoste, e ci invita a non ridurre mai il nostro sguardo dentro recinti costruiti da mani umane, ma a lasciarci mettere in disordine dal vento dello Spirito.

Ma veniamo all’incontro tra Filippo e l’etiope. Forse sapete che la chiesa copta etiope vanta di essere la chiesa cristiana più antica fuori dalla Palestina, proprio per il battesimo raccontato in questo brano.
Qui viene raccontato un classico percorso di ricerca di un proselita ebraico. Egli conosceva le Scritture e aveva intrapreso il viaggio per vedere Gerusalemme e adorare Dio nel suo tempio. Non sapeva che avrebbe incontrato Dio su una strada polverosa invece che nel tempio, e attraverso un ellenista invece che attraverso un ebreo di nascita. Il tempio per lui era precluso nei suoi cortili più interni riservati agli ebrei di nascita e ai sacerdoti. L’etiope non solo era straniero, ma anche eunuco, e questo lo rendeva inadatto secondo la legge ebraica, nonostante l’oracolo di Isaia, che abbiamo letto. I sacerdoti preferivano attenersi a una interpretazione stretta della legge, senza ammettere le eccezioni che mostravano la vita passare attraverso le crepe, e la salvezza di Dio abbracciare tutti i popoli.

Questo però i primi cristiani a Gerusalemme lo avevano già compreso, tanto che si riunivano nel tempio sotto il portico di Salomone, quello che segnava il confine tra i cortili interni e quello più aperto dove donne e stranieri erano ammessi al culto. Lo avevano capito a causa della Pentecoste che aveva aperto loro occhi e bocca, che li aveva fatti uscire dalla stanza in cui si erano rinchiusi, che aveva mostrato loro il Dio di tutti i popoli, di tutte le generazioni e di donne e uomini, che si era espresso nella vita e nella pratica di Gesù. Una pratica inclusiva che aveva scandalizzato molti, ma non loro, resi ora aperti dallo Spirito di Dio.
Così aperti che Filippo, l’apostolo ellenista, non sa come si trova sulla strada su cui passa il carro dell’etiope. E’ lo Spirito che ce lo ha portato, e presto lui ne scopre il motivo.
La lettura di un passo, cosa preziosa a quel tempo. L’aiuto a capire. Il viaggio che lo ha portato più vicino a Dio. L’etiope porta indietro con sé molto, ma il dono più grande è questo incontro apparentemente casuale con Filippo.
Il brano che stava leggendo è uno dei passi chiamati “canti del servo dell’Eterno”, che descrivono le sofferenze del popolo in esilio e aprono alla speranza di un mondo rinnovato da Dio nel segno della giustizia e dell’amore.
I primi cristiani avevano già iniziato a scorgere in quelle parole un’anticipazione della Passione di Gesù, e anche della speranza che lui aveva portato. Leggere, confrontare i testi antichi con la situazione presente, interpretare, applicare alla propria fede: questo è ciò che fa la comunità cristiana fin dall’inizio, e a cui sarete chiamati anche voi nel vostro cammino di fede.
E lo fanno insieme. Filippo e l’etiope sono due interlocutori, l’uno insegna e l’altro interroga e ascolta, poi l’uno suggerisce e l’altro battezza. Si scambiano i ruoli di chi guida la conversazione, perché lo Spirito di Dio è con loro e li avvolge con la sua presenza di attenzione e apertura dei cuori.
Trovo anche importante che il testo dica che Filippo gli parla di Gesù “cominciando da questo passo della Scrittura”, ma evidentemente non fermandosi soltanto a esso. La ricchezza della Parola vuole che non ci fermiamo a un solo testo o una sola interpretazione, e che impariamo a tirare dei fili tra un testo e l’altro. E’ il modo più antico di leggere la Bibbia, quello in cui ogni passo risuona in qualche altro.
E per me, questo passo di Isaia che parla del servo del Signore la cui discendenza è cancellata, richiama la promessa di Dio agli eunuchi che figli non potevano averne:
«Io darò loro, nella mia casa e dentro le mie mura, un posto e un nome, che avranno più valore di figli e di figlie; darò loro un nome eterno, che non perirà più»
Dio apre il nostro futuro in modi impensati, e i nostri sforzi di assicurarci quel futuro cadono di fronte a una promessa così forte di Dio. E’ lui il Signore del nostro futuro, del vostro futuro, è lui che riempie la vita di benedizioni inattese e che ci fanno piangere di riconoscenza.
L’eunuco etiope chiede: “Cosa impedisce che io sia battezzato?”. In seguito, per chiarezza e per adeguarsi alla prassi della chiesa, venne inserito un versetto che riporta la sua confessione di fede. Inizialmente il racconto era molto scarno e veloce: Filippo lo battezzò. Il viaggio si ferma, per poi riprendere nella gioia. Il battesimo viene nel momento giusto per fermarsi, sapendo che c’è ancora una lunga strada da percorrere, ma ora con gioia. Le domande per ora hanno trovato risposta, si può proseguire con maggiore serenità.
La promessa di Dio avvolge voi, che oggi avete fatto una professione di fede, avete preso il tempo di fermarvi e, assieme ai membri di questa chiesa, siete scesi dal carro o dalle stanze chiuse per lasciarvi portare dallo Spirito di Dio. Quella promessa accompagna anche me, che sto per lasciare questa comunità per proseguire il mio cammino. Preghiamo insieme che lo Spirito di Dio ci conduca sulle strade, in cui incontreremo chi potrà ancora aiutarci nella nostra ricerca, abbattere gli ostacoli, e crescere con noi.

Predicazione di Letizia Tomassone, chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 5 giugno 2022

 

Domenica 29 maggio 2022
Culto con il gruppo di catechismo

 

Testi:

Luca 11,1-4
Gesù era stato in disparte a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Egli disse loro: «Quando pregate, dite:
"Padre, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano; e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore; e non ci esporre alla tentazione»

Romani 8,26-27     

Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio”.

Salmo 121
Canto dei pellegrinaggi - Alzo gli occhi verso i monti... Da dove mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto vien dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra.
Dio non permetterà che il tuo piede vacilli;
colui che ti protegge non sonnecchierà.
Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà.
Il Signore è colui che ti protegge;
il Signore è la tua ombra; egli sta alla tua destra.
Di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte.
Il Signore ti preserverà da ogni male; egli proteggerà l'anima tua.
Il Signore ti proteggerà, quando esci e quando entri, ora e sempre.

Anche Gesù pregava e, come i suoi nonni, preferiva farlo all’aperto, alzando lo sguardo verso il cielo. Il sole, di giorno, e le stelle e la luna, di notte, gli facevano sentire tutta la grandezza e l’amore di Dio. Un Dio che ha creato tutto quello che ci circonda e che ci fa vivere, le montagne e i laghi. Ci riempie di gioia e di sollievo per la bellezza che riceviamo dalla creazione, opera di Dio.
Gesù pregava in disparte, da solo, cercava la solitudine. Eppure ci ha insegnato la preghiera più bella che ci mette all’interno di una comunione.

Il Dio a cui ci rivolgiamo come Padre, genitore che si prende cura, è “nostro”, non è di uno soltanto. Il pane quotidiano è “nostro”, condiviso, non da accaparrare facendo fare la fame ad altri. Anche la pratica del perdono, il dono grande con cui ancora Dio solleva la nostra vita e la rende piena di grazia, è rivolta nei confronti di altri e altre.
Il Padre nostro è la preghiera della comunione e della rete, in cui è inserita la nostra vita, ed è il Signore stesso che ci invita a farne parte, a non pensare di poter vivere la fede da soli, nell’isolamento, proprio come non viviamo da soli. La comunità del NOI ci è donata nel momento in cui ci mettiamo di fronte a Dio. Il Padre Nostro è la preghiera della comunità che stende le mani per accogliere chi è accanto, che attende insieme la venuta del Regno di Dio, che vive la solidarietà basata sul dono gratuito che viene da Dio.

Certo, anche la preghiera personale è necessaria e importante, proprio come fa Gesù, come fa Abramo quando alza gli occhi verso il cielo e vede la volta stellata, segno della promessa del Dio che lo ha chiamato.
Ma la preghiera della chiesa, la comunione del NOI, ci insegna che non possiamo fare a meno dell’altro, dell’amica, del fratello, per vivere la nostra fede.
Siamo tentati, soprattutto noi adulti, quando siamo stanchi o amareggiati, quando la chiesa non corrisponde a ciò che vorremmo, di allontanarci e vivere il nostro rapporto con Dio da soli.
Ma guardiamo la preghiera che Gesù insegna:
si prega perché venga il Regno di Dio, e questo riguarda addirittura tutto il mondo, non soltanto la chiesa! È l’attesa di quella trasformazione che porta pace e giustizia, la nuova creazione di Dio annunciata già dai profeti!
Non preghiamo per essere rapiti da soli e messi in una bolla sterilizzata, bensì chiediamo di essere coinvolti attivamente in questa attesa, facendo gesti di pace e di condivisione.

Forse i due anni di chiusura forzata nelle case ci hanno abituati ad avere rapporti molto controllati con gli altri, a cercare di stare bene da soli e ben distanziati dagli altri. Forse proprio voi giovanissimi avete risentito di questa chiusura prolungata, di tutti collegamenti e le lezioni virtuali invece che in presenza. E adesso fate fatica a ritrovare gli amici, a stare con gli adulti senza distrarvi, ad abbracciare e lasciarvi abbracciare.
Questo periodo che abbiamo vissuto con il virus ha intaccato anche la nostra socialità, la nostra capacità di stare insieme.
La preghiera del NOI è un esercizio che rimette al centro tutte le reti di relazioni che ci sorreggono e in cui siamo chiamati a portare il nostro contributo.
E vediamo, dunque, ancora la preghiera: cosa ci viene chiesto?
La speranza forte dell’attesa del Regno.
La lode a Dio che considera quanto la logica dell’amore sia distante da tutte le logiche violente del mondo umano.
La condivisione del pane.
La pratica del perdono e della riconciliazione nelle relazioni con gli altri.
La capacità di sorreggersi a vicenda nelle tentazioni.

I ragazzi e le ragazze hanno letto il commento di Lutero al Padre Nostro e, in particolare, alla richiesta sul pane quotidiano. Lutero scrive così:
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Che vuol dire?
Risposta: È vero che Dio dà quotidianamente pane, anche senza la nostra preghiera, a tutti gli uomini anche se indegni, ma noi domandiamo in questa preghiera che Egli ci faccia comprendere questo e ricevere con gratitudine il nostro pane quotidiano.
Che vuol dire: «Pane quotidiano»?
Risposta: Tutto ciò che appartiene alla nutrizione, alle esigenze corporali, come: mangiare, bere, vestiti, scarpe, casa, podere, campi, bestiame, danaro, beni, marito, figliuoli, servitù, padroni timorati di Dio, buon governo, buon tempo, pace, salute, disciplina, onore, buoni amici, fedeli vicini e simili.”
Il gruppo ha poi provato a prendere questa lista per capire cosa è rilevante per noi oggi e in che modo [per il testo a cui ci si riferisce qui, vedere in calce alla predicazione].
1. cibo, sicuramente. 2. Bevande, non molte bevande - è fondamentale l'acqua potabile. 3. Abiti, sì. 4. Calzature,sì. 5. Case, non tanto per averle, abitazioni in cui vivere bene. 6. Fattorie, non necessariamente, sì se si intende un lavoro. 7 e 8 campi campagna, sì, e lo abbiamo inteso come la possibilità di soddisfare i bisogni primari attraverso ciò che proviene dalla natura. 9. Denaro, sì 10. Proprietà, solo nella misura in cui dà lavoro e benessere. 11 un buon matrimonio, non sempre è indispensabile; potrebbe aiutare, è stato ribadito; si può avere amore anche da un compagno o da un animale. 12 dei buoni figli, non è necessario averne, ma, se si hanno, meglio che siano buoni figli. 13 buone e fedeli autorità, sì, abbiamo inteso giudici, poliziotti, insegnanti. 14 un governo giusto è importante; un cattivo governo può portare la guerra. 15 un tempo favorevole (né troppo caldo né troppo freddo) sì, è importante, basti pensare al riscaldamento del pianeta. 16 salute, sì. 17 onori, è importante sentirsi fieri per qualcosa. 18-19 buoni amici vicini fedeli, gli ultimi due sono importanti perché si sta bene quando si è circondati da persone, di cui ci si può fidare; è brutto sentirsi odiati o respinti.
I bisogni primari, quelli che oggi mettiamo nell’elenco dei diritti umani o dei beni comuni, come l’acqua, l’educazione o il clima del pianeta, sono per noi “pane quotidiano”, cioè tutto ciò che ci nutre, comprese delle relazioni giuste e rispettose da parte di chi ci governa o ha autorità su di noi; compresa la possibilità di aver fiducia nell’amico o nell’amica senza esserne tradito attraverso un uso improprio e aggressivo dei social.
Il “pane quotidiano” è anche quel perdono che ci rimette in marcia, che ci offre una nuova possibilità di vita.
I ragazzi e le ragazze centrano il punto quando affermano che un cattivo governo può portare alla guerra.
Ecco quante cose possiamo pensare quando preghiamo il Padre nostro.

Grazie, ragazzi e ragazze, per averci fatti tornare su questa preghiera del NOI, della comunione.
Il Signore ha aperto i nostri occhi anche attraverso le vostre parole.

Predicazione di Letizia Tomassone, chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 29 maggio 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 31 Marzo 2023
 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze