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Domebi 26 Marzo 5a del Tempo di Passione - Judica ( Fammi giustizia, o Dio! - Salmo 43,1) «Non volete andarvene anche voi?» Letture
11 C'è forse una nazione che abbia cambiato i suoi dèi, sebbene non siano dèi?
I Corinzi 1,18-25 Predicazione
Giovanni 6, 60-71 Fin qui la Parola del Signore, che il suo Santo Spirito ci accompagni e ci guidi in questo momento di riflessione. Fin dal prologo il centro dell’Evangelo di Giovanni è la Parola eterna, riposta in Dio, pronunciata e rivelata in Gesù Cristo per tutti gli esseri umani. Gesù è la Parola fatta carne. Gesù è presentato come l’inviato del Padre, colui che rappresenta Dio nel mondo, la cui missione è rivelare agli esseri umani la vita eterna e l’amore di Dio in atto, ma che lo condurrà alla croce, un punto su cui mi soffermerò più avanti: «Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3,16). E l’invio di Gesù è la manifestazione unica e decisiva di Dio che implica la scelta di credere o non credere poiché Dio ha mandato il Figlio «perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio» (Giovanni 3,16) Il passo che abbiamo ascoltato inizia narrando la reazione dei discepoli alle parole pronunciate da Gesù i quali dicono «Questo parlare è duro». Si può dire che questa reazione riguarda tutta la predicazione e tutto l’insegnamento di Gesù contenuto nell’Evangelo di Giovanni come già brevemente ricordato. Ma il riferimento più immediato è alle parole pronunciate nei passi precedenti, quando Gesù rimprovera alla folla di cercarlo per i miracoli che gli ha visto fare: mi seguite «perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati» (v.26) e poi spiega che non fu Mosè a dare al popolo ebraico il pane che viene dal cielo «ma il Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo. Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo» (vv. 32-33). Questo riferimento al pane fonte di vita viene poi ripreso più volte da Gesù che precisa di essere lui il vero pane: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (v.35).
Ecco il messaggio centrale della rivelazione evangelica nel testo giovanneo: in Cristo Dio è venuto a vivere tra gli umani, l'ha fatto diventando un uomo, rifiutando qualsiasi forma di potere e dominio, soffrendo la fragilità della condizione umana e morendo sulla croce affinché chi crede in lui abbia vita eterna. Naturalmente Gesù è consapevole che il suo argomentare crea scandalo, ovvero che è una pietra d’inciampo per molti di coloro che l’hanno seguito fino a quel momento perché li costringe a una scelta, a una decisione, abbandonarlo o seguirlo nel suo percorso destinato, dal punto di vista umano, al fallimento e all’ignominia della croce. Ecco perché Gesù ribadisce che «ci sono alcuni che non credono» - l’estensore del testo precisa anche che conosceva colui che l’avrebbe tradito – e prosegue dicendo «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre» (V.65), un’affermazione forte, forse la più dura da accettare peri suoi discepoli: Cristo come unica via che conduce a Dio, unico mediatore tra ciascun essere umano e Dio, pane di vita donato per grazia da Dio, chi mangia di quel pane vivrà in eterno. Afermazioni e concetti che a noi protestanti richiamano i principi di Sola Grazia, Sola Fide e Solus Christus. La narrazione prosegue dicendo che da quel momento molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e smisero di seguirlo. Come reagisce Gesù, il Figlio inviato da Dio, a questa fase critica della sua missione? Mi voglio soffermare su questa domanda perché l’ho percepita come diretta personalmente a me. Del resto la potenza della Parola di Dio si manifesta proprio quando la avvertiamo come rivolta in modo diretto a ciascuna/o di noi. Vi devo confessare che in questi ultime mesi più volte mi sono posto delle domande a causa degli eventi personali e degli accadimenti intorno a me. Pietro risponde a nome dei dodici apostoli e la sua esclamazione la faccio mia: «Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna». L’apostolo,esprime così la propria fiducia nel Maestro e prosegue con la confessione di fede - formulata in modo simile ai tre vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) - dichiarando che i Dodici credono e riconoscono Gesù Cristo come il Santo di Dio, il Figlio di Dio, che proferisce parole di vita eterna. Ma torniamo ancora alla domanda di Gesù, perché l’interlocuzione con i Dodici non termina con la confessione di fede di Pietro. Questo poiché la domanda di Gesù è sicuramente un modo per mettere alla prova la saldezza della fiducia in Lui dei Dodici, ma è anche un’espressione della Sua sofferenza nel cammino che sta percorrendo verso la croce. Il racconto prosegue con Gesù che rivela ai Dodici che, nonostante siano stati scelti da Lui, uno di loro (Giuda) lo tradirà: «uno di voi è un diavolo!». Una parola forte “diavolo”, cioè l’avversario, colui che ostacola l’azione di salvezza che Dio compie in Cristo, che si oppone alla realizzazione del Regno di Dio che ha avuto inizio con la venuta di Gesù Cristo. Il Maestro sa che uno dei discepoli lo tradirà, sa che nel Getsemani resterà solo, che anche Pietro lo rinnegherà nonostante la confessione di fede appena pronunciata e che dovrà affrontare da solo il percorso che lo condurrà alla croce per portare a compimento la missione che Dio gli ha affidato. Dio, dopo svariati patti di alleanza con l’umanità, ha deciso di rinunciare ad una parte della propria divinità, è entrato completamente nella Creazione, è diventato un essere umano, non come re ma come servitore rifiutato da tutti e morto su una croce dopo atroci torture. Come ha recentemente scritto su Réforme il teologo francese Antoin Nouis: negli Evangeli vi è una identificazione, un’unione, tra il Padre e il Figlio tanto che quando Gesù muore sulla croce è Dio che muore della morte di suo figlio. Non è Dio che riceve un sacrificio, ma lui che è sacrificato, soffre della sofferenza del figlio e offre sé stesso come proprio dono per il mondo. La morte di Cristo non come offerta sacrificale, opera dell’essere umano per Dio, ma come sacramento, opera di Dio per l’umanità. L’inno 183, Vieni alla croce, che abbiamo cantato poco fa si conclude con le parole “qui troverai la vera vita, nuovo vigor”. Ecco la risposta alla domanda «Non volete andarvene anche voi?»: rispondiamo “no”, andando alla croce di Gesù e sforzandoci di seguirlo, con la certezza che Egli cammina con noi, condivide le nostre sofferenze, i nostri dubbi e incertezze, rinvigorisce il nostro spirito indebolito, rinforza la speranza che la violenza e l’indifferenza possono essere vinte dall’accoglienza e dalla condivisione, ci libera dall’oppressione del male che ci circonda e ci dona la pienezza dell’amore verso le/gli altre/i. Predicazione di Valdo Pasqui - Chiesa evangelica valdese di Firenze, Domenica 26 Marzo 2023
Giovedi 19 gennaio 2023 - Pistoia apertura della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani (SPUC) 2023
31 «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. Mattteo 25,31-46 INTRODUZIONE Questa sera celebriamo l’apertura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, come ogni anni un versetto fa da tema, quest’anno è stato scelto un versetto del profeta Isaia “imparate a fare il bene, cercate la giustizia”. La pratica della giustizia viene dunque posta come spazio nel quale i cristiani e le cristiane di diverse confessioni e denominazioni possono trovare un terreno comune. Giusto. Giusto e bello. Naturalmente la pratica della giustizia è qualcosa che riguarda anche questo brano del vangelo di Matteo che evidentemente è stato scelto per questo motivo: Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" 40 E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me" E ancora: "Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?" 45 Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me" Che la pratica della giustizia sia il discriminate per la salvezza è evidente, tuttavia sarebbe un errore semplificare il testo al punto di fargli dire “Chi si comporta bene si salva, chi si comporta male non si salva”. La faccenda è più complicata di così. Vediamo.
OMILETICA In questa che è l’ultima parabola del Regno dei Cieli, Gesù è finalmente presentato come il Re dell'universo che alla fine dei tempi verrà nella sua gloria insieme con gli angeli per giudicare tutte le nazioni, il mondo intero. L'immagine è per l’appunto quella di un Re dell'antichità che aveva tra le sue prerogative anche quella di essere giudice. La scena è quella di un tribunale. Il Re che ha diritto di giudicare si siede sul suo trono. Accanto a lui tutti gli angeli cioè le miriadi di creature spirituali che sono al fedele servizio di Dio. Che siedono dietro di lui come una sorta di giuria, una commissione esaminatrice presieduta dal giudice stesso. Davanti a questo tribunale compariranno tutti gli esseri umani vissuti in ogni luogo e in ogni tempo della storia del mondo. Già nella tradizione ebraica -che qui Gesù ribadisce-il giudizio finale ha lo scopo unico di dichiarare un verdetto. Sebbene la scena assomigli per molti aspetti ad un processo giudiziario così come noi lo immaginiamo, essa, differisce da esso per un aspetto fondamentale. Solitamente un processo rappresenta l'ultima indagine. Esso cioè ha lo scopo di scoprire definitivamente se l'imputato è colpevole oppure no. Non qui. In questo caso il Re nella sua funzione di giudice conosce benissimo le cause. Qui non si tratta di giungere un verdetto, ma solo di proclamarlo, davanti alla giuria degli angeli, che ha quindi solo lo scopo di attestare quanto detto, e davanti all'umanità tutta che sarà testimone del verdetto. Il nostro Re si comporterà come un pastore, il quale conosce bene il suo gregge e che quindi può senza timore separare le pecore dai capri senza rischio di sbagliarsi. Egli finalmente dividerà gli uni dagli altri. Per tutta la vita capre e pecore hanno vissuto insieme, goduto degli stessi benefici. Un pascolo era sempre disponibile per le pecore ma esse lo condividevano con i capri. Il mondo intero gode delle benedizioni della grazia comune fino a quando alla fine dei tempi pecore e capri saranno finalmente separati. Le pecore saranno proclamate benedette dal Padre ed invitate alla destra del Re, al posto d'onore da dove potranno godere dei benefici di appartenere al Regno di Dio. Il motivo è fissato dal fatto che le pecore sono tali perchè hanno saputo amare compiendo gesti di misericordia e giustizia sociale. Allo stesso modo i capri sono dichiarati maledetti e sono bruscamente invitati alla sinistra del Re,
anzi via da lui, fuori dal suo regno. Nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli, un luogo che non era stato destinato a voi e che invece voi con i vostri comportamenti avete deciso di andare ad abitare. E tutto questo a causa delle vostre omissioni. Questo è veramente significativo. La condanna non sembra essere dichiarata per il male fatto, ma per il bene che si poteva fare e che invece non si è compiuto, si è omesso. [PROBLEMATICA...] ECCO DUNQUE COME STANNO LE COSE, ECCO QUALI SARANNO I CRITERI RISPETTO AI QUALI VERRÀ CONDOTTO IL GIUDIZIO FINALE: SULL'AMORE! SPESSO SENTIAMO DIRE QUESTA FRASE: SAREMO GIUDICATO SULL'AMORE. PIÙ SPECIFICAMENTE IL CRITERIO SECONDO IL QUALE SAREMO GIUDICATI SARÀ QUELLO DELL'AMORE MISURATO CON LE OPERE DI MISERICORDIA E DI GIUSTIZIA SOCIALE CHE POTREMO AVERE AL NOSTRO ATTIVO. GIUSTO? SIAMO D'ACCORDO? Invece no! Non è così. Se fosse così che razza di vangelo, di buona notizia sarebbe questa? Ma davvero qui tra noi c'è qualcuno che possa dire di non aver mai omesso di fare il bene? Be, se le cose stanno così, ci sono un bel po' di problemi... Intanto non so voi ma io sarei terrorizzato dal giudizio. Se infatti le cose stanno così dobbiamo ammettere che siamo salvi per opere e non per fede. E siceramente non credo che ci sia un solo uomo sulla terra in grado di salvarsi. La croce di Cristo allora sarebbe vana. Eppure noi sappiamo benissimo che molti testi del nuovo testamento dicono chiaramente che la salvezza è per grazia mediante la fede e non per opere. Com'è possibile che nella Bibbia ci siano opinioni così discordanti, così in contraddizione su tematiche così fondamentali come la salvezza e il giudizio. Allora la Bibbia non è affidabile? Ma se la Bibbia non è affidabile sulle questioni di fede allora siamo proprio nei guai! Se così fosse dobbiamo fermarci e chiudere tutto, tanto cattolici che protestanti che ortodossi. Se la bibbia non è affidabile possiamo andarcene a casa ammettendo che è stato bello ma non era vero. Ovviamente non è così! Matteo, è vero, tra gli autori biblici è quello che più di altri ci tiene all'operosità della fede, ma sempre Matteo dice con molta chiarezza che la salvezza è legata alla fedeltà al Signore e non alle opere in se. Ma allora come ne usciamo? La soluzione ce la da lo stesso Matteo alcuni capitoli prima, nel settimo per la precisione, quando Gesù afferma che coloro che vengono da Dio saranno riconosciuti dai loro frutti, e questi frutti sono indipendenti dalla volontà. Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo fare frutti buoni. Un credente farà inevitabilmente opere buone. Così come un melo non può far altro che produrre mele, una pianta di pomodori non può far altro che produrre pomodori così un credente non potrà far altro che produrre buone opere.
Ecco dunque che comprendiamo che le opere di misericordia e di giustizia sociale non sono la causa ma la prova della salvezza! Esse non sono la causa, cioè non sono il motivo per il quale saremo salvati. Sono piuttosto la prova, cioè sono ciò che dimostra che siamo stati salvati. Abbiamo detto, infatti, che il giudizio si svolge davanti al tribunale del Re; le opere sono presentate a sostegno del verdetto di salvezza pronunciato. A sostegno di questa tesi abbiamo due prove: 1) La stessa dichiarazione del Re: Il Re dichiara le pecore benedette dal padre, e noi sappiamo che nessuno si può benedire da solo o può estorcere la benedizione. Essa è frutto solo della bontà gratuita di Dio. Il Re poi dichiara che la salvezza è un'eredità. E un'eredità non si compra, non si guadagna, si ottiene per diritto. Dio, in Cristo ci ha fatto suoi figli attraverso la fede per questo motivo e solo per questo siamo eredi e dunque benedetti. Per essere ancor più chiaro il Re dichiara infine che la salvezza è stata preparata prima della fondazione del mondo, e cioè mooolto prima che le pecore avessero potuto compiere le loro opere buone e quindi indipendentemente da esse. 2) Lo stupore degli imputati. Davanti alla dichiarazione del Re gli imputati sono sorpresi. Essi gli chiedono, infatti, quando mai ti abbiamo fatto tutto quello che ci dici? Ora, se le opere fossero state fatte per guadagnarsi la salvezza, certo coloro che le compiono ne sarebbero ben consapevoli, avrebbero ben in mente ciò che hanno fatto per sperare di guadagnarsi la salvezza, ma invece essi non se lo aspettavano, non ne sapevano nulla perchè il credente fa opere buone indipendentemente dalla sua volontà, addirittura inconsapevolmente. Ecco dunque che le opere non sono la causa ma la prova della salvezza. CONCLUSIONE Al termine di questa riflessione non possiamo fare a meno di essere intellettualmente onesti e dire che questa interpretazione delle opere come prova e non come causa della salvezza è la classica interpretazione protestante di un brano che spesso era usato da un certo cattolicesimo tradizionale per affermare l’errore dell’assioma protestante della giustificazione per sola grazia mediante la sola fede. A dire il vero io non sono il tipo da disdegnare la polemica, può essere anche molto costruttiva. Ma questa sera vorrei porvi un altra conseguenza di questa interpretazione del testo. Le nostre fedi, sono diverse. Si assomigliano, certo. Si assomigliano molto, ma sono diverse. Il fatto che però entrambe possono produrre frutto e lo fanno può liberarci dal giudizio reciproco. Se il diverso da me produce anch’esso frutti alla gloria di Dio allora io posso riconoscerlo come ugualmente valido e magari portare frutto insieme, incontrandoci sul terreno comune della pratica della giustizia. Amen. Past. Francesco Marfè
Domenica 30 ottobre - festa della Riforma Culto interdenominazionale della Riforma
Cari Fratelli e Sorelle, oggi, in questo culto, celebriamo tre feste: celebriamo, come facciamo ogni domenica, la risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo; celebriamo la festa della Riforma, che in realtà è domani, 31 ottobre 1517, giorno in cui il monaco agostiniano Martin Lutero affisse le famose 95 Tesi sul vero pentimento – gesto che è abitualmente considerato come l’avvio, quanto meno simbolico, dell’intero movimento della Riforma protestante; e questa Riforma la celebriamo insieme, noi, chiese evangeliche della città di Firenze – questa è la terza festa, una vera festa. E perché la celebriamo insieme? Perché la Riforma è la nostra madre comune: direttamente o indirettamente veniamo tutti da lì, siamo tutti figli e figlie della Riforma. Anche i Valdesi, che erano nati 350 anni prima, aderendo alla Riforma sono letteralmente rinati, diventando un’altra cosa rispetto a quello che era stato il movimento valdese medievale. La Riforma, madre feconda, ha dato vita a molte chiese, ma la Riforma è una sola, e quindi è giusto e bello che noi, evangelici di Firenze, la festeggiamo insieme. Verrà il tempo in cui anche la Chiesa cattolica celebrerà la Riforma insieme a noi, quando capirà che la festa della Riforma non è la festa di una Chiesa, o di molte Chiese, o di tutte le Chiese, ma è la festa della Parola di Dio che è risuonata in quel tempo, non attraverso un Martin Lutero, ma attraverso molti Martin Lutero, sorti non in un paese soltanto, ma in tutta Europa, Italia compresa –Parola nuova e antica, potente e vincente, che nessun potere umano, né religioso né politico, nessuna scomunica, nessuna persecuzione o repressione, ha potuto mettere a tacere. E risuona viva e vera, oggi, nei nostri cuori e nel mondo intero, ora e sempre. Amen. Per la Festa della Riforma 2022 il nostro Lezionario Un giorno, una parola indica come testo per la predicazione il Salmo 46, che ora vi leggo. Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle distrette. Perciò noi non temeremo anche quando fosse sconvolta la terra, quando i monti fossero smossi in seno ai mari, quando le acque dei mari muggissero e schiumassero, e per il loro gonfiarsi tremassero i monti.
V’è un fiume i cui rivi rallegrano la città di Dio, il luogo santo della dimora dell’Altissimo. Iddio è nel mezzo di lei; essa non sarà smossa. Iddio la soccorrerà allo schiarire del mattino. Le nazioni rumoreggiano, i regni si commuovono; egli fa udire la sua voce, la terra si strugge. L’Eterno degli eserciti è con noi, l’Iddio di Giacobbe è il nostro alto rifugio. Venite, mirate le opere dell’Eterno, il quale compie sulla terra cose stupende. Egli fa cessare le guerre fino all’estremità della terra; rompe gli archi e spezza le lance, brucia i carri [di guerra] nel fuoco. Fermatevi, egli dice, e riconoscete che io sono Dio. Io sarò esaltato tra le nazioni, sarò esaltato sulla terra. L’Eterno degli eserciti è con noi; l’Iddio di Giacobbe è il nostro alto rifugio.
Come forse non tutti sanno, è da questo Salmo che Lutero ha tratto il suo Corale “Forte Rocca”, che è poi diventato, per così dire, “la Marsigliese” del Protestantesimo: “Forte Rocca” è di gran lunga l’inno evangelico più conosciuto nel mondo (insieme, forse, a “Notte benigna”), e il Salmo 46 è senza dubbio il Salmo più cantato dell’intero Salterio. È però interessante sapere quando Lutero ha composto “Forte Rocca”: l’ha composto nel 1529, che è anche l’anno di nascita del Protestantesimo, quando, nell’aula dov’era riunita la Seconda Dieta imperiale di Spira (la Dieta era, allora, quello che oggi è il Parlamento europeo, cioè la massima autorità politica dell’impero), risuonò la parola fatidica PROTESTAMUR, dalla quale nacquero le parole «protestante» e «Protestantesimo»: era il 19 aprile, data memorabile. È bene sapere che nel latino classico, e anche in quello del XVI secolo, il verbo protestor non aveva il significato primario di «protesta» che ha oggi nell’uso comune, ma significava: «dichiarare pubblicamente», «attestare», «testimoniare». La pronunciarono 20 membri della Dieta – quindi una piccola minoranza dell’assemblea – i quali non esitarono a prendere pubblicamente posizione contro una legge della Dieta che imponeva a ogni Stato membro dell’impero di cancellare nei rispettivi territori ogni traccia della Riforma, che nel frattempo vi si era pacificamente insediata. Questo, in sostanza, fu il loro discorso: «Noi dichiariamo pubblicamente (Protestamur) che non ubbidiremo alla legge che questa Dieta ci vuole imporre di mettere al bando le dottrine evangeliche che si sono liberamente diffuse nei nostri territori, che consideriamo cristiane e conformi alla Parola di Dio». Così, da questo Protestamur nacque il Protestantesimo. Quello stesso anno Lutero compose «Forte Rocca», che è una fedele trasposizione poetica e lirica del Salmo 46. Così, il Protestantesimo e l’inno «Forte Rocca» sono nati insieme, si può dire che sono fratelli gemelli, creati dalla stessa ispirazione. E allora avviciniamoci un po’ a questo Salmo, che, a un certo punto, immagino che ci stupirà e, comunque ci ricorderà che cosa vuol dire essere cristiani protestanti o evangelici che dir si voglia: non vuol dire essere cristiani super, o cristiani necessariamente migliori degli altri (benché non sarebbe male se lo fossero!), ma vuol dire essere cristiani ai quali stanno molto a cuore certe verità fondamentali dell’Evangelo. A quelle verità, proprio come quei venti primi «protestanti» della Seconda Dieta di Spira, non possiamo né vogliamo rinunciare. Quelle verità le conoscete: sono i quattro celebri «sola» della Riforma: Sola Scriptura, sola gratia, sola fide, solus Christus, che si fondono insieme in un unico soli Deo gloria, che riassume tutto il discorso della fede. Del Salmo 46 non dirò tutto quello che ci sarebbe da dire, ma solo quello che mi sembra l’essenziale del suo messaggio. E l’essenziale è questo: Dio al centro, al centro della vita, al centro della fede, al centro del mondo. E proprio questo ha voluto essere la Riforma protestante: la sua ragion d’essere è stata rimettere Dio al centro della vita della Chiesa. Non che fosse scomparso, ma era diventato secondario: al centro c’erano la Chiesa e le opere che ogni cristiano doveva compiere per sperare di andare in paradiso. Allora infatti era questa l’unica cosa che veramente contava: l’Aldilà, il paradiso, la vita eterna. La vita terrena era un passaggio necessario solo per offrirci il modo e le occasioni di guadagnare il paradiso. In questa concentrazione dell’uomo medievale sulle proprie opere necessarie alla salvezza, le opere di Dio passavano in secondo piano e Dio era diventato marginale. La Riforma lo ha riportato al centro. Oggi c’è una situazione analoga: Dio è diventato marginale, non solo nella società europea largamente secolarizzata, ma anche nella stessa Chiesa, che parla poco di Dio e molto di migranti da accogliere, di poveri da soccorrere, di ultimi con i quali solidarizzare: tutte cose giuste, anzi sacrosante e assolutamente necessarie e da fare, ma il tema della predicazione cristiana è un altro dalle nostre opere che invece stanno al centro - l’Ottopermille è l’unica cosa che le Chiese reclamizzano anche in televisione. Come se quello fosse l’Evangelo da annunciare! È un fatto, questo, che può lasciare allibiti. La Chiesa ha urgentemente bisogno di rileggere il Salmo 46, il cui messaggio è, come ho detto: Dio al centro. Che cosa dice il Salmo 46 di questo Dio riportato al centro? Dice sostanzialmente tre cose: dice in primo luogo che Dio è per noi un rifugio; in secondo luogo dice che Dio è con noi; in terzo luogo dice che Dio fa cessare le guerre fino all’estremità della terra. Pensate che messaggio meraviglioso, quasi incredibile, oggi, che, oltre al conflitto spaventoso russo-ucraino, ce ne sono – dicono gli esperti – altri 75 in corso su questa nostra terra martoriata. Vediamo questi tre messaggi, uno più bello dell’altro. 1. Dio è il nostro rifugio. Quelli di noi che hanno i capelli bianchi sanno bene che cos’è un rifugio: durante la Seconda Guerra Mondiale, se vivevano in una delle tante città italiane bombardate, hanno anche loro cercato un rifugio, quei luoghi di solito sotterranei che le bombe di solito non riescono a raggiungere e dove ci si sente al sicuro, aspettando la sirena che annuncia che quel bombardamento è finito. Durante la feroce guerra russo-ucraina, abbiamo visto la gente disperata cercare rifugio nel tunnel della metropolitana, e lì trascorrere, accampati, intere giornate e settimane. Un rifugio! Beato chi ha un rifugio, perché la vita è piena di pericoli; la sicurezza è anche un tema politico d’attualità! Dio è un rifugio, anzi il rifugio! Un luogo in cui sentirsi al sicuro, un luogo in cui non corri pericoli mortali. «Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto, sempre pronto nei pericoli» (v. 1). È il ritornello del Salmo, ripetuto ai versetti 7 e 11. È un’immagine molto chiara: «Forte Rocca è il nostro Dio». Dio è una roccaforte, una fortezza, una sicurezza, un luogo in cui sei al sicuro. Perché sei al sicuro? Perché Dio ti è vicino, ti accompagna, ti accoglie, ti vuole bene più di chiunque altro, persino più di tua madre, anche perché tua madre un giorno non ci sarà più, se ne dovrà andare, come tutti noi mortali, ti dovrà abbandonare (forse se ne è già andata), Dio invece non se ne va mai, non ti abbandona, tu puoi abbandonare lui, ma lui non abbandona te. «L’amore mio non s’allontanerà da te» dice Dio (Isaia 54,10). Nella Bibbia abbondano le affermazioni di questo tenore. «Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà. L’Eterno è colui che ti protegge; l’Eterno è la tua ombra. Egli sta alla tua destra» (Salmo 121,5). Ecco perché, in mezzo agli tsunami della Natura: la terra sconvolta, i mari che muggiscono e schiumano, i monti che tremano (vv, 2-3); in mezzo agli tsunami della Storia: i regni si commuovono, le nazioni rumoreggiano (v. 6), e in mezzo agli tsunami della vita (malattie, separazioni, sconfitte, lutti), sei al sicuro con Dio, più al sicuro che in qualunque fortezza costruita da mani umane, fosse pure un rifugio antiatomico. «Forte Rocca è il nostro Dio, / Nostra speme in lui si fonda; / Ne sostien benigno e pio / Nell’angoscia più profonda - [Nota] E ancora: Se migliaia di demoni / Ne volessero inghiottire, / Le malefiche legioni – Non vedranci impallidire / Con tutti i lor terror / Si mostrin pure. Il cor / No, non ci trema; / A un detto dell’Eterno / Fia depresso il re d’inferno. 2. Una seconda cosa dice di Dio il Salmo 46, la più bella che potrebbe dire, la piccola frase che riassume mirabilmente tutto l’Evangelo: se afferriamo bene ciò che quella piccola frase di quattro corte parole ci dice di Dio, non abbiamo bisogno di sapere altro; quella frase ci basta per tutta la vita, e oltre. La frase è: «Dio è con noi». Ora sappiamo che questa frase così bella, la più evangelica e angelica di tutte, si è rivelata in un passato anche recente una frase molto pericolosa. Ricordo ancora di aver visto con i miei occhi di bambino (nel 1944 avevo otto anni) questa scritta, allora per me misteriosa: Gott mit uns ( «Dio con noi» in tedesco) scolpita sulle cinture dei soldati tedeschi che occupavano, con i militari dell’esercito fascista di Salò, il paese di Bobbio Pellice, dove abitavamo, perché mio padre era lì pastore. Dio con noi trasformato in uno slogan nazista! Che bestemmia! Ma anche la Chiesa ha abusato sfacciatamente del “Dio con noi”: è la parola che ha ispirato tutte le crociate antiche e moderne, quelle armate e quelle ideologiche (ugualmente spietate); è la parola che ha scatenate tutti i peggiori fanatismi in molte religioni, ed è servita come copertura per violenze di ogni genere. Eppure, malgrado questi abusi scellerati, non possiamo, come cristiani, non ripetere con il Salmo 46: «Dio è con noi», perché proprio questo è il nome di Gesù, come dice l’evangelista Matteo: «Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emanuele, che, interpretato, vuol dire “Dio con noi» (Matteo 1,23). Con noi, non contro di noi. Con noi, non senza di noi. Con noi, non solo sopra di noi. «Padre Nostro che sei nei cieli», sì, ma anche sulla terra, «alla mia destra». Dio è sempre con qualcuno, non gli piace stare solo. È l’Iddio di Giacobbe (ripetuto due volte, vv. 7 e 11), ma anche di Abramo e di Isacco; anche di Mosè e Isaia; anche di Gesù e Paolo. Dio è sempre il Dio di qualcuno, con qualcuno, anche con te e me. Ma qui ci dobbiamo chiedere: In che modo Dio è con noi? Nel Salmo Dio è «con Giacobbe», cioè con il popolo d’Israele, perché abita anche lui a Gerusalemme, nel tempio costruito da Salomone per ospitare l’Arca del Patto, con dentro le due Tavole della Legge (i Dieci Comandamenti) – Arca che, fino a quel momento, era andata raminga insieme al popolo; ora finalmente aveva trovato, nel tempio di Salomone, una dimora permanente degna della sua importanza unica. Dio perciò aveva deciso di abitare lì, dove stava l’Arca. E la gente pensava che perciò Gerusalemme era un posto sicuro, perché Dio vi abitava: «Iddio è nel mezzo di lei; essa non sarà smossa», cioè: Siamo al sicuro, perché Dio abita con noi a Gerusalemme, nel tempio di Salomone. Ma, ragionando in questo modo, il popolo dimenticava la preghiera stupenda che lo stesso Salomone pronunciò quando inaugurò il Tempio appena costruito: «È proprio vero – si chiedeva Salomone, rivolgendosi a Dio – che Dio abiti sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere, quanto meno questa casa che io ti ho costruito!» (I Re 8,27). Sì, è proprio vero che Dio abiti sulla terra, ma non più a Gerusalemme, e neppure a Betlemme, e neppure a Nazareth; non in un luogo abita Dio, ma in un uomo, nel suo Figlio Gesù: «Chi sia, domandi tu? Egli è Cristo Gesù / Nostro Signore; Da Lui vigor ne viene, / la vittoria in mano Ei tiene». Perché è Gesù il luogo in cui Dio abita sulla terra, ed egli poté dire, parlando del tempio di Gerusalemme: «Disfate questo tempio, e io in tre giorni lo farò risorgere!». Allora i Giudei replicarono: «Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio, e tu lo faresti risorgere in tre giorni?». Ma Gesù parlava del tempio del suo corpo. E nessuno lo capì, neppure i discepoli (Giovanni 2,19-21). Gesù è il tempio di Dio sulla terra, è lì che Dio abita in mezzo agli uomini. Ma non abita solo in Gesù. C’è una promessa inattesa e stupenda che Gesù fa ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui» (Giovanni 14,23). E gli fa eco l’apostolo Paolo, che, rivolto ai cristiani di Corinto, dice: «Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (I Corinzi 3,16). Questo è oggi sulla terra il tempio di Dio, la dimora dell’Altissimo: è la comunità cristiana, siete voi, siamo noi. Facciamo fatica a crederci, non ci sentiamo all’altezza: eppure, o siamo questo, oppure non si sa bene che cosa ci stiamo a fare in questo mondo come cristiani. 3. E veniamo al terzo messaggio, la terza verità che il Salmo 46 dice di Dio, che la introduce affermando che Dio «fa cose stupefacenti» (v. 8). Io sono Dio, dice «l’Eterno degli eserciti» (vv. 7 e 11), cioè l’Eterno che qui fa davvero cose stupefacenti, cioè distrugge letteralmente gli eserciti umani, rendendo così la guerra impossibile! Anche il profeta Isaia aveva fatto discorsi analoghi: «Dio sarà arbitro tra molti popoli, ed essi dalle loro spade fabbricheranno vomeri d’aratro, e dalle loro lance, roncole; una nazione non leverà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra» (Isaia 2,4). Ma Isaia parla al futuro, alludendo ai tempi messianici. Il Salmo 46, invece, parla al presente; si tratta di «un’opera stupefacente» che Dio sta compiendo ora! Ma dove la sta compiendo, dato che vediamo tutto il contrario, e le guerre non solo non cessano, ma si moltiplicano? La sta compiendo, con grande fatica, nel cuore dei cristiani, che sono i primi a non credere che Dio stia effettivamente distruggendo le armi nei loro cuori, prima ancora che nelle mani degli uomini, nelle loro mani. Dio infatti comincia sempre dai cuori: se i cuori non cambiano, non cambierà nulla. A Dio non è ancora riuscito di cambiare il cuore dei cristiani su questo punto. Dov’è infatti la Chiesa che ha creduto in un Dio che rompe gli archi e spezza le lance, che brucia i carri da guerra e non benedice le armi, ma le distrugge? Non vi sembra che questo Dio sia proprio il Dio sconosciuto, che il cristianesimo ha rimosso dal sua immaginario e dalla sua fede, il Dio che, essendo sconosciuto, non è ne creduto, né amato, e tanto meno predicato, e che quindi dobbiamo ancora scoprire, nel quale soprattutto dobbiamo ancora imparare a credere, perché solo così ci può diventare familiare. È il Dio che con quel gesto simbolico di rompere gli archi e spezzare le lance, vuole mettere l’umanità su una nuova strada, che l’umanità non ha mai percorso: non più quella di Caino che ha ucciso il fratello, ma quella di Gandhi e di Martin Luther King, e dell’uomo di Tienammen che – ricordate – col suo corpo completamente disarmato, si è messo davanti a quattro enormi carri armati e rischiando la vita, li ha fermati e, per così dire, disarmati, impedendo loro, quel giorno, di sparare e di uccidere. Una strada completamente nuova: quella della nonviolenza adottata e praticata come stile di vita e come cultura – una strada che neppure la Chiesa fino a oggi ha mai osato imboccare, perché non crede nel Dio del Salmo 46,9-10, e tanto meno ci crede l’umanità. Per questo vediamo tutto il contrario di quello che dice il Salmo. Ma Dio non si arrende, e vuole anzitutto lavorare nel cuore dei cristiani, nei nostri cuori, perché, come ho detto, Dio comincia sempre dai cuori. Egli desidera che la Chiesa prenda l’uomo di Tienammen come suo modello di vita. La sua domanda potrebbe essere questa: Tu, cristiano del XXI secolo, hai accolto nel tuo cuore il Dio che spezza le lance e brucia i carri da guerra, l’Eterno degli eserciti che, mettendoti sulla strada della nonviolenza, rende impossibile la guerra? Non sembra anche a te che l’uomo di Tienammen sia l’icona, lo specchio, il modello, di quello che la Chiesa cristiana deve diventare? Sono queste le domande che ci raggiungono in questa domenica della Riforma 2022, che, come vedete, non ci riportano indietro in tempi lontani, ma illuminano con una luce nuova questo tempo oscuro di guerra e morte che stiamo vivendo, in mezzo a una umanità che continua tristemente a credere più nella guerra che nella pace. Noi siamo la comunità di Gesù, chiamata non a predicare e auspicare la pace, ma a farla: «Beati coloro che fanno la pace» dice Gesù (Matteo 5,9), dimostrando così di credere più nella pace che nella guerra. Amen. Predicazione di Paolo Ricca, chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 30 ottobre 2022 [Nota] Citiamo «Forte Rocca» secondo la versione dell’Innario Cristiano del 1922 (esattamente un secolo fa!), malgrado il suo italiano antiquato (ma pur sempre ancora comprensibile, ricordando che «ne» sta per «ci» o «noi», o «a noi»; «pugna» è un latinismo che sta per «combatte»; «speme» sta per «speranza»; «fia depresso» significa «sia o sarà umiliato», o qualcosa del genere; «denno» sta per «devono»; «detto» sta per «parola» Sono cose che si sanno o si intuiscono. Perché preferiamo quella versione piuttosto che quella del più recente Innario Cristiano del l’anno 2000? Perché la versione del 1922, malgrado i suoi arcaismi, è più fedele al testo originario di Lutero di quanto non lo sia la versione del 2000, che invece, sul piano strettamente musicale, è più vicina all’inno come lo scrisse Lutero.
Domenica 4 settembre 2022 Testi: “Chi ha orecchi, oda!”. Matteo 5,43-48 “Voi avete udito che fu detto: ‘Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? 47 E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? 48 Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”.
Dove va la nostra chiesa, intesa come noi qui, la nostra comunità? Tempo del Creato - Un mese? Poca roba. Come negli anni scorsi la “Commissione Globalizzazione e Ambiente” (GLAM) ha preparato un dossier, poi spedito a tutte le chiese della Federazione della Chiese Evangeliche in Italia. Prendo stimoli dal documento per parlare di empatia e di altro che riguardano la collaborazione fra di noi, al nostro interno, ma anche fra noi e persone fuori dalla nostra comunità. La comunicazione costruttiva vuole apertura, accoglienza, ascolto e empatia. Cito da Empatia (Al cuore della Comunicazione nonviolenta, un libro sul pacifismo); "Fondamentalmente, l'empatia è una forma di accoglienza dell'altro, attraverso la quale offriamo le due cose più Per quanto riguarda noi, come chiesa, l'empatia è fondamentale. Per comunicare con qualcuno/a dobbiamo essere empatici. Dopo aver spalancato la porta, dopo avere allargato le nostre braccia con benevolenza, dopo aver anche aperto le nostre orecchi, per arrivare dobbiamo capire chi è l'altro/a, dove sta in questo momento della vita: il suo contesto, le sue Ma torniamo alla Cura del Creato. Il più immediato elemento del creato è il nostro prossimo, un essere umano come noi. Chi altro o che cos’altro potremmo meglio capire? E già è una bella fatica. Ma il Signore ci ha dato i mezzi e una guida. Chiudo con una proposta che viene da un emendamento integrativo alla mozione "RINNOVAMENTO DEL PATTO" presentato all'Assemblea/Sinodo appena concluso. Lo ha proposto, il 22 agosto 2022, il deputato battista Avernino di Croce: «Prendiamo atto - ispirati dalla Parola del Signore, con il sentimento di esserle fedeli e ubbidienti - che sono ormai giunte a un punto di irreversibilità problemi epocali che coinvolgono l’intero pianeta e l’intera umanità, quali ad esempio la crisi climatica e le problematiche ambientali, le profondissime diseguaglianze economiche e sociali, le dinamiche migratorie di intere popolazioni ed etnie, in un contesto peraltro di guerre assurde, una delle quali violentissima e dai lati oscuri, nel cuore della vecchia Europa. Meditazione di Paul Krieg, chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 4 settembre 2022
Domenica 28 agosto 2022
Letture Deuteronomio 31, 1-8 1 Mosè rivolse ancora queste parole a tutto Israele. 2 Disse loro: «Io ho oggi centovent'anni; non posso più andare e venire, e il SIGNORE mi ha detto: "Tu non passerai questo Giordano". 3 Il SIGNORE, il tuo Dio, sarà colui che passerà davanti a te e distruggerà, dinanzi a te, quelle nazioni e tu possederai il loro paese; e Giosuè passerà davanti a te, come il SIGNORE ha detto. 4 Il SIGNORE tratterà quelle nazioni come trattò Sicon e Og, re degli Amorei, che egli distrusse con il loro paese. 5 Il SIGNORE le darà in vostro potere e voi le tratterete secondo tutti gli ordini che vi ho dati. 6 Siate forti e coraggiosi, non temete e non vi spaventate di loro, perché il SIGNORE, il tuo Dio, è colui che cammina con te; egli non ti lascerà e non ti abbandonerà». 7 Poi Mosè chiamò Giosuè e, in presenza di tutto Israele, gli disse: «Sii forte e coraggioso, poiché tu entrerai con questo popolo nel paese che il SIGNORE giurò ai loro padri di dar loro e tu glielo darai in possesso. 8 Il SIGNORE cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti di animo». Matteo 6, 25-33 25 «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 30 Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. 33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. 34 Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno. Levitico 26:12 Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo. Care sorelle, cari fratelli, stiamo vivendo un tempo di cambiamenti e eventi che portano sofferenze e incombono sulle nostre vite condizionando il nostro stato d’animo e provocando un gran senso di insicurezza e di incertezza. Di per sé i cambiamenti non comportano solo cose negative, spesso generano novità positive, caso mai noi non sempre siamo in grado di percepirle in precedenza e ne scopriamo gli effetti solo dopo. Ci sono dei cambiamenti legati a fatti ed eventi che in qualche modo conosciamo o siamo in grado, almeno in parte, di pianificare, controllare o almeno prevenire, poi ci sono quelli legati agli accadimenti imprevisti e improvvisi che purtroppo possono modificare, scuotere, talvolta sconvolgere completamente la nostra vita. Penso per esempio ad una malattia grave o una morte improvvisa, alla perdita del lavoro o alla fine di una relazione affettiva. In questi casi ai problemi da affrontare e alle difficoltà concrete da risolvere si aggiungono il turbamento, il senso di solitudine e di abbandono, spesso l’angoscia per un futuro incerto e nel quale non si riesce a vedere una via d’uscita o una qualche prospettiva. La rilevanza e l’impatto sulle nostre vite dei cambiamenti di cui siamo oggetto dipende anche dalla situazione in cui ci troviamo, dal nostro modo di affrontarli e di gestirli, dalla nostra capacità di reagire e di condividerli parlandone con altri, tanto più quando si fa parte di una comunità di fede in cui i legame di fratellanza/sorellanza può, anzi dovrebbe, aiutare ad affrontarli. Permettetemi di inserire a questo punto alcune considerazioni di carattere autobiografico prima di arrivare al commento del passo del Levitico. Durante il recente periodo di riposo trascorso al fresco della montagna pistoiese ho riflettuto spesso sul fatto che tra breve, ai primi di ottobre, si concluderà la mia lunga esperienza lavorativa e sarò in pensione senza più l’impegno di un’attività professionale svolta in prima linea nell’ambito dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale, dunque senza più le occasioni di approfondimento, gli stimoli di arricchimento e le relazioni interpersonali offerti da questo contesto professionale, ma anche senza le pressioni e gli oneri dispendiosi, in molte occasioni faticosi, imposti dal ruolo di coordinamento di una ventina di persone nella realtà ancora fortemente burocratico e piena di formalità della pubblica amministrazione italiana. In conclusione, più tempo a disposizione, più libertà, nuove opportunità che si posso presentare, ma il tutto da conciliare col il ruolo di portatore di cure per mia madre, molto anziana e con problemi di mobilità, alla quale mi lega un profondo sentimento di affetto e di gratitudine. Dunque un cambiamento radicale, una nuova fase della vita che sta per iniziare che genera un po’ di apprensione a causa delle incertezze e delle incognite che la caratterizzano. Immerso in queste considerazioni mentre passeggiavo sotto i castagni ho realizzato la pochezza di questi miei timori in confronto alle grandi emergenze nelle quali stiamo vivendo e che stanno colpendo tante persone soprattutto quelle più deboli e indifese in quanto sole, malate, prive di risorse economiche sufficienti per affrontare queste crisi. Sinceramente ho provato vergogna ma la mia angoscia è aumentata pensando alla situazione mondiale. In primo luogo il cambiamento climatico che sta sconvolgendo il pianeta con l’aumento delle zone desertificate e con lo scioglimento dei ghiacciai, le onde di calore, la siccità e l’innalzamento del livello dei mari, gli uragani e le alluvioni che devastano i territori, causando morti, distruzione, migrazioni e sconvolgendo le economie. L’ultimo rapporto Drought in Numbers (Siccità in Numeri) della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (Unccd) riporta che la frequenza e la gravità della siccità sono aumentate del 29% dal 2000. Entro il 2050, le zone aride potrebbero coprire tra il 50 e il 60% di tutta la terra comportando condizioni di grave scarsità d’acqua per circa i tre quarti della popolazione mondiale che vive in queste aree. La seconda emergenza è la guerra, o per essere più precisi, le guerre locali e le tensioni tra le grandi potenze mondiali per la supremazia territoriale ed economica su intere aree della Terra. Egoisticamente ci stiamo preoccupando per la guerra tra Russia e Ucraina perché ci è molto è vicina e un possibile “incidente” nucleare potrebbe rivelarsi letale anche per noi, ma ci sono guerre dimenticate in tante altre parti del mondo. Un articolo de il Sole 24 Ore del 21 luglio u.s. riporta che lo Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) identifica 10 conflitti o situazioni di crisi in tutto il mondo che potrebbero peggiorare o evolvere nei prossimi mesi: Etiopia, Yemen, Sael, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Myanmar. Senza dimenticare la Libia, le continue tensioni in Asia relative a Taiwan e alla Corea del Nord. Quante vittime innocenti, vite sprecate, quanto sangue versato, quanto odio seminato e quanta sofferenza, bambine e bambini senza un futuro! Tutte e tre queste emergenze hanno avuto e stanno determinando un forte impatto sull’economia provocando l’aumento incontrollato del costo delle fonti energetiche che mette in crisi intere filiere produttive che devono essere completamente ripensate o abbandonate (es. quelle definite energivore) con il conseguente approfondimento del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, l’impoverimento delle classi più deboli, la disoccupazione e una serie di conseguenze sociali devastanti sulle nostro società abituate da anni ad un livello elevato di benessere. Anche nel nostro paese sta crescendo l’incertezza e l’angoscia per il domani, spesso molto ravvicinato, il mese prossimo, l’autunno, per tutti coloro che sono in difficoltà, che hanno perso o che non hanno un lavoro, che non sanno come mantenere la propria famiglia, per i giovani che si affacciano alla vita in una situazione che non offre prospettive se non quella di lavorare fino a tarda età svolgendo attività precarie, poco remunerative e senza quelle tutele e quei diritti che per me e i miei coetanei ormai sono acquisiti grazie ai sacrifici e alle lotte delle generazioni precedenti. Dunque ben poca cosa le mie preoccupazioni personali di fronte a questo scenario mondiale così angosciante, privo di punti di riferimento certi, di soluzioni chiare e di prospettive che facciano intravedere una via d’uscita. C’è veramente ben altro di cui vale la pena preoccuparsi e che alimenta il turbamento e il senso di impotenza! E’ in questo contesto che aprendo il piccolo volume di Karl Barth, “L’umanità di Dio”, che avevo portato con me, ripubblicato quest’anno dalla Claudiana con un saggio di Sergio Rostagno, ho trovato tra i vari scritti riportati anche il testo del sermone tenuto da Barth a Basilea il 7 ottobre 1956, presso la Bruderholtzkapelle, su Levitico 26,12 “Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo”. La sola lettura di questo passo mi ha restituito i punti di riferimento, mi ha liberato dall’angoscia e mi ha ridato coraggio e serenità per cui ho deciso di condividerlo con voi oggi. Prima di tutto ricordiamo che la prima parte (v.1-13) del capitolo 26 del libro del Levitico contiene una serie di promesse (benedizioni) che Dio fa agli ebrei se osserveranno le sue leggi e metteranno in pratica i suoi comandamenti, ricordando loro di averli liberati dalla schiavitù in Egitto ridandogli libertà e dignità. Nei passi successivi del capitolo Dio elenca anche le punizioni e i castighi (maledizioni) che infliggerà al popolo di Israele nel caso in cui disubbidisca dalle prescrizioni e non gli sia fedele promettendo comunque di non “rompere il mio patto con loro; poiché io sono il SIGNORE loro Dio; ma per amor loro mi ricorderò del patto stretto con i loro antenati, che feci uscire dal paese d'Egitto, sotto gli occhi delle nazioni, per essere il loro Dio. Io sono il SIGNORE". Questa parola antica che Dio rivolge al popolo d’Israele, “Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo”, mi è apparsa in tutta la sua forza espressiva, nella sua capacità di riaccendere la speranza, di illuminare il buio, di scuotere, di ridare vigore. Questa parola mi dice, ci dice, che qualunque cosa accada, qualunque avvenimento ci coinvolga, qualunque cambiamento avvenga, Dio è in mezzo a noi, non ci lascia soli, condivide le nostre angosce e preoccupazioni perché è il nostro Dio e noi siamo il suo popolo. Esaminiamo ora in breve la sequenza delle tre affermazioni che compongono questo passo del Levitico traendo spunto da gran parte delle riflessioni del sermone di Barth. Primo affermazione: “Camminerò tra di voi”. Camminare indica movimento, azione, dinamismo. Barth sottolinea che implica percorrere una strada in una determinata direzione e andare e venire da un luogo all’altro. A mio avviso è anche un termine che bene si concilia con il concetto di cambiamento poiché ogni trasformazione comporta intraprendere un percorso, anche se spesso, come capita a chi ama viaggiare e scoprire luoghi nuovi, il cammino non lo conosciamo, è tutto da scoprire e può celare delle insidie. Camminare ci indica che Dio non è immobile, non è statico, cammina tra noi, dunque anche noi non dobbiamo temere di camminare, non dobbiamo restare immobili dove siamo, perché Egli ci accompagna nell’affrontare insieme a noi i cambiamenti che ci si prospettano, non siamo soli nell’affrontare gli imprevisti e le eventuali insidie del cammino che ci attende perché Dio è tra noi e le condivide con noi. Camminare è un termine molto frequente nella Bibbia. Barth ricorda come una delle prime immagini di Dio è quella del capitolo 3 del libro della Genesi quando l’uomo e la donna (Adamo e Eva) odono “la voce di Dio, il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera” (v.3). Un’immagine molto umana della presenza divina ma che ce la rende molto vicina e comprensibile. Poi possiamo ricordare i tanti passi biblici in cui camminare vien associato a seguire la via del Signore, fare la sua volontà, obbedire ai suoi comandamenti, seguirlo assumendolo come nostra guida, come il passo del Salmo 32, v.8 “Io ti istruirò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te”. Il testo del libro del Deuteronomio che abbiamo ascoltato ci presenta Dio che cammina guida Israele verso la terra promessa: “Il SIGNORE cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti di animo”. Dio ci sostiene nelle inquietudini e incertezze dovute alla nostra impossibilità di vedere i cambiamenti che ci attendono e il futuro come afferma il bel passo di Isaia 42,16: “Farò camminare i ciechi per una via che ignorano, li guiderò per sentieri che non conoscono; cambierò davanti a loro le tenebre in luce, renderò pianeggianti i luoghi impervi. Sono queste le cose che io farò e non li abbandonerò”. A me “camminerò tra voi” ha inoltre immediatamente fatto ricordare anche il passo (Luca. 24,15) quando i due discepoli stanno percorrendo la strada per Emmaus discutendo tra loro di tutti i recenti avvenimenti della morte di Gesù che, da loro non riconosciuto, si avvicina e “cominciò a camminare con loro” (Luca. 24,15). La promessa di Levitico e le altre dell’Antico Testamento sono confermate da Dio che si è fatto uomo nel suo Figlio Gesù e che ha condiviso la nostra umanità, si è rinnovata dopo la sua morte, dopo la resurrezione. Non siamo soli, il Signore cammina ancora tra noi e, come i due discepoli, mi sono reso conto di quante volte Gesù ha camminato con me! Barth sottolinea anche l’importanza del “tra voi”, ecco alcuni passaggi che colpiscono per la vivacità e l’incisività: «Dio cammina come punto mediano, come fonte e origine, e anche come fine di tutte le storie delle nostre vite […] Egli non è al margine. Egli è più vicino a noi di quanto lo siamo noi stessi. Egli ci conosce anche meglio di quanto noi stessi ci conosciamo […] Egli cammina fra noi tutti, che noi lo sappiamo e lo notiamo o no, che ci vada a genio così o no: tra i vecchi e fra i giovani, fra i malati e fra i sani, fra gli attivi e fra i contemplativi, fra i buoni e fra i malvagi. Poiché egli è il Dio onnipotente, per questo non si stanca né si esaurisce, per questo non si lascia neppure fermare né rimandare indietro». Dio che ha promesso di camminare “tra” noi, Gesù che cammina in mezzo alle folle e poi cammina “con” i discepoli sono la promessa e la conferma della presenza di Dio che ci accompagna, che condivide con noi le ansie e le preoccupazioni del nostro cammino, quando lavoriamo e quando riposiamo, quando vegliamo e quando dormiamo, quando siamo felici e quando siamo tristi, nel tempo e nell’eternità, Egli è «Colui che benignamente cammina fra noi» scrive Barth. Seconda affermazione: “Sarò vostro Dio” significa che Dio è dalla nostra parte, che è solidale con noi, pronto ad aiutarci contro tutto ciò che ci provoca afflizione, angoscia e dolore. Dio è il nostro unico e vero soccorritore, ma anche, sottolinea Barth, è Colui che ci dice un «sì» santo e salvifico che comprende anche un «no» a quella parte di noi a cui Egli deve, per amor suo e anche nostro, dire un «no», proprio come fa un medico quando ci prescrive cure e comportamenti necessari per la nostra salute anche se non ci sono graditi. Questo «sì», accompagnato anche da un «no», senza esitazioni o dubbi, completo e illimitato viene pronunciato da Dio per renderci liberi e felici, per rimetterci in piedi quando siamo caduti, per ridarci forza quando siamo deboli, per ridarci speranza quando siamo sfiduciati. Possiamo affrontare le incognite e le incertezze dei cambiamenti che ci attendono contando su questa sostegno, sapendo che Dio non ci abbandona, che “il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose” (Matteo 6,32), che Egli ci istruisce e ci consiglia e che il suo sguardo benigno è su di noi. Terza affermazione: “e voi sarete mio popolo”. Barth osserva che questa è la più alta di tutte ma forse anche la più incomprensibile. Infatti Dio si rivolge a noi a ci dice: voi con le vostre vite piene di errori e di mancanze, con i vostri pensieri tumultuosi e svolazzanti, le vostre menzogne grandi e piccole, con le vostre aspirazioni e le vostre debolezze, con le vostre esaltazioni e depressioni, con la vostra transitorietà alla quale prima o poi verrà messa fine, voi che senza Dio siete irrimediabilmente perduti, ebbene, ciò nonostante, voi dovete essere il mio popolo. Ecco il grande dono: Dio ci ha scelto come “suo” popolo, dice a ciascuna e ciascuno di noi “tu sei mia/mio”, ci afferra, e noi dobbiamo lasciarci afferrare con fiducia e senza timore. Essere il popolo di Dio, appartenere al Signore da un lato vuol dire riconoscere in Dio il Signore e giudice, ma anche il padre misericordioso che conosce in anticipo le nostre ansie e i nostri bisogni e che ci dà tutto quanto in più come abbiamo letto in Matteo, dunque che dobbiamo temere, amare, invocare, in cui dobbiamo confidare, a cui dobbiamo presentare le nostre preoccupazioni e angosce, a cui dobbiamo affidare con fiducia le nostre richieste e le nostre vite cercando il suo volto con preghiere di lode e ringraziamento. Ma essere il popolo di Dio non è solo rassicurante e consolatorio, comporta anche una responsabilità e dei compiti, ci chiama ad essere Suoi testimoni davanti a tutti coloro che non sanno ancora o che non possono sapere o che non vogliono sapere nulla di Dio. Convocati da Dio come suo popolo dobbiamo essere un popolo di fratelli e sorelle che si aiutano gli uni con gli altri, pronti a soccorrere e sostenere i deboli, gli afflitti, i perseguitai e gli abbandonati, a essere luce del mondo, testimoniare in ogni modo con gioia che Dio vive, che cammina fra noi, che la sua misericordia e la sua grazia sono per tutte e tutti coloro che la vogliono accogliere. Siamo all’inizio di un nuovo anno ecclesiastico per la nostra chiesa, il Sinodo-Assemblea BMV che si è chiuso da poche ore ha tracciato il bilancio di quanto fatto e ha impostato piani e programmi di lavoro per il prossimo futuro. Ci attendono mesi difficili per la crisi energetica, l’economia, il lavoro, le incognite legate agli sviluppi della guerra tra Russia e Ucraina e degli altri conflitti mondiali, l’eventuale ripresa della pandemia a causa di qualche ulteriore variante del virus. A tutto questo si aggiungono le incertezze del nuovo assetto governativo del nostro Paese dopo la sbornia delle promesse elettorali quando i vincitori delle prossime elezioni dovranno agire con efficacia per dare soluzione ai problemi concreti che affliggono. Di fronte a queste incognite e a tutte le preoccupazioni che esse ci causano abbiamo una sola certezza: che la parola di Dio ci dice “io cammino tra voi”, “io sono vostro Dio”, “voi siete il mio popolo”. Questa parola si è adempiuta concretamente e compiutamente in Gesù Cristo e se ne percepiamo la forza infinita e la presenza attuale e ce ne lasciamo afferrare con fiducia siamo certi di poter affrontare tutto quanto accadrà senza timori. Che il Signore ci conceda di uscire da questo tempio ringraziandolo e lodandolo per quanto ha fatto e farà ancora per noi e di poter essere Suoi testimoni che Egli cammina tra noi, che è il nostro Dio e che noi siamo il suo popolo. Amen. Predicazione di Valdo Pasqui chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 28 Agosto 2022
Domenica 5 giugno 2022 Testi: Atti 8,26-39 Pentecoste è la festa dello Spirito Santo e per questo amiamo celebrare le nuove professioni di fede in questo giorno. E’ infatti per lo Spirito del Signore che si può dire la propria fede, e molti sono i modi per farlo, molti sono i cammini con cui il Signore intreccia le nostre vie. Ma veniamo all’incontro tra Filippo e l’etiope. Forse sapete che la chiesa copta etiope vanta di essere la chiesa cristiana più antica fuori dalla Palestina, proprio per il battesimo raccontato in questo brano. Questo però i primi cristiani a Gerusalemme lo avevano già compreso, tanto che si riunivano nel tempio sotto il portico di Salomone, quello che segnava il confine tra i cortili interni e quello più aperto dove donne e stranieri erano ammessi al culto. Lo avevano capito a causa della Pentecoste che aveva aperto loro occhi e bocca, che li aveva fatti uscire dalla stanza in cui si erano rinchiusi, che aveva mostrato loro il Dio di tutti i popoli, di tutte le generazioni e di donne e uomini, che si era espresso nella vita e nella pratica di Gesù. Una pratica inclusiva che aveva scandalizzato molti, ma non loro, resi ora aperti dallo Spirito di Dio.
Domenica 29 maggio 2022
Testi: Luca 11,1-4 Romani 8,26-27 “Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio”. Salmo 121 Anche Gesù pregava e, come i suoi nonni, preferiva farlo all’aperto, alzando lo sguardo verso il cielo. Il sole, di giorno, e le stelle e la luna, di notte, gli facevano sentire tutta la grandezza e l’amore di Dio. Un Dio che ha creato tutto quello che ci circonda e che ci fa vivere, le montagne e i laghi. Ci riempie di gioia e di sollievo per la bellezza che riceviamo dalla creazione, opera di Dio. Il Dio a cui ci rivolgiamo come Padre, genitore che si prende cura, è “nostro”, non è di uno soltanto. Il pane quotidiano è “nostro”, condiviso, non da accaparrare facendo fare la fame ad altri. Anche la pratica del perdono, il dono grande con cui ancora Dio solleva la nostra vita e la rende piena di grazia, è rivolta nei confronti di altri e altre. Certo, anche la preghiera personale è necessaria e importante, proprio come fa Gesù, come fa Abramo quando alza gli occhi verso il cielo e vede la volta stellata, segno della promessa del Dio che lo ha chiamato. Forse i due anni di chiusura forzata nelle case ci hanno abituati ad avere rapporti molto controllati con gli altri, a cercare di stare bene da soli e ben distanziati dagli altri. Forse proprio voi giovanissimi avete risentito di questa chiusura prolungata, di tutti collegamenti e le lezioni virtuali invece che in presenza. E adesso fate fatica a ritrovare gli amici, a stare con gli adulti senza distrarvi, ad abbracciare e lasciarvi abbracciare. I ragazzi e le ragazze hanno letto il commento di Lutero al Padre Nostro e, in particolare, alla richiesta sul pane quotidiano. Lutero scrive così: Grazie, ragazzi e ragazze, per averci fatti tornare su questa preghiera del NOI, della comunione. Predicazione di Letizia Tomassone, chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 29 maggio 2022
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![]() Ultimo aggiornamento: 31 Marzo 2023 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze |