Diaspora evangelica

Mensile di collegamento, informazione ed edificazione

Anno XLI – numero 11 – novembre 2008

 

 

 

 

Pene della vita

coagulate

come un tifone le aggruppasse in cerchio

e tu nel centro

a cercare fuori la tua pace

che invece è lì

nel cuore del supplizio

un centro rovente di dolore e di dolcezza

che t’insegna a gettare nello spazio

la tua ombra

come fosse un pegno

come fosse un sogno.

 

 

 

 

Franca Bacchiega (Bassano del Grappa, Vicenza 1936), Grandine e grano, Passigli, Firenze 1991, p. 34.

 

 

In questo numero:

·       Prigionieri della speranza di Pasquale Iacobino

·       Ecumenismo ed evangelici di Fulvio Ferrario

·       Il naso tra i libri di Sara Rivedi Pasqui

·       Dipingere la speranza al Meyer

·       Notizie dalle associazioni e dalle chiese evangeliche fiorentine

·       L’archivio di “Diaspora evangelica”

·       Ecumenicamente (s)corretto di Roberto Davide Papini

 

 

Editoriale

 

   Mentre consegniamo questo fascicolo alle stampe, l’ecumene protestante ricorda l’inizio della Riforma protestante, un’opera dello Spirito santo in cui la Chiesa di Gesù Cristo si rinnova continuamente. I testi che proponiamo questo mese sono segnati da una duplice dimensione: evangelica ed ecumenica. È particolarmente significativo sotto questo aspetto l’articolo di Fulvio Ferrario. Dobbiamo sdoganare almeno due parole importanti: ecumene e cattolicità. Considerate erroneamente patrimonio della Chiesa di Roma, o finiscono nel dimenticatoio o suscitano polemiche. Ci vorrebbe una visione diversa, concreta, fatta di azioni per rimetterli in circolazione.

Mentre consegniamo alle stampe questo fascicolo, ci giunge la notizia della morte del prof. Bruno Corsani che si è spento a Pinerolo all’età di 84 anni. Alla Vedova e a tutta la famiglia del prof. Corsani esprimiamo le nostre condoglianze. Nel prossimo numero di “Diaspora Evangelica” dedicheremo un ampio spazio per ricordare la sua persona e la sua opera. (red.)

 

Errata corrige: Nel fascicolo precedente è stato erroneamente omesso il nome dell’autore che ha firmato l’articolo dedicato a Cola di Rienzo Mannucci. Ci scusiamo con Marco Ricca, autore del testo e con i lettori.

 

 

Tornate alla fortezza, o voi prigionieri della speranza (Zaccaria 9, 12a)

di Pasquale Iacobino

 

Recentemente è stata pubblicata una ricerca[1] nella quale a ragazzi e ragazze dai 12 ai 19 anni si chiedeva: “Chi vorresti essere da grande?” Non sono mancate le risposte di chi voleva fare il calciatore o la star televisiva, ma la cosa positiva e sorprendente è che una grossa percentuale degli intervistati (26,2%) ha risposto: “Me stessa, me stesso”. Come a dire, prima ancora della ricchezza o di una posizione professionale rispettabile, di alto riconoscimento sociale, i ragazzi e le ragazze ci dicono che il primo vero obiettivo è una esistenza “conforme al nostro essere profondo ed essenziale” (Gounelle, p.102), la possibilità di sentirsi in armonia con il proprio universo interiore. Insomma per i ragazzi e le ragazze la prima meta da raggiungere è un’esistenza autentica, vera, nella relazione con sé stessi e con gli altri.

Come generazioni adulte poniamoci in ascolto di questa aspirazione. Che il mondo “dei grandi” non si nasconda dietro un sorrisetto obliquo stirato sotto la maschera dura degli anni e della vita vissuta, ma custodisca il desiderio espresso dai ragazzi e dalle ragazze come una indicazione valida anche per chi sta viaggiando da 40 anni e oltre.

Se “diventare me stesso, me stessa” è un obiettivo, vuol dire che le giovani generazioni sentono avanzare nella loro vita una crescente tensione. Difficilmente si riesce a trovare le parole per dire, per spiegarlo, per raccontare la paura di ritrovarsi stranieri a sé stessi. Come nei versi di Margherita Guidacci, possiamo esprimerne il turbamento:

 

Non fuori di te la distanza. Ma in te improvvisi si scavano

Abissi (…)

In te s’aprono gli aridi cieli ove ogni grido s’annulla[2]

 

I ragazzi e le ragazze desiderando di “essere se stessi” sentono dunque affiorare una profonda verità sulla vita: l'esistenza umana è contraddittoria, l’esistenza autenticamente umana è costantemente messa in discussione da tensioni. Come ha scritto Jean Paul Sartre possiamo dire “l’uomo non è ciò che è, ed è ciò che non è”(cit. in Gounelle, p.101). E in termini più biblici, con le parole dell’apostolo Paolo, la condizione contraddittoria e ambigua dell’umanità è così riassunta: “il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio” (Rom. 7:19).

Un teologo,[3] senza pretendere di essere esauriente, ha provato a tracciare il profilo di alcune tra queste tensioni:

-        Relazione e solitudine

-        Avventura e sicurezza

-        Possesso e privazione

 

La tensione tra relazione e solitudine è la tensione tra il nostro desiderio di compagnia, la voglia e il bisogno di fare gruppo, comunità, e il bisogno di difendere la nostra sfera più intima, riservata e segreta. Ricerchiamo la convivialità, lo stare con gli altri, ma può accadere che ci sentiamo prigionieri di obblighi sociali fino a sentire il peso delle frequentazioni e la sensazione che noi non apparteniamo più a noi stessi.

La tensione tra avventura e sicurezza è la tensione tra il desiderio di novità e il bisogno di stabilità, tra la voglia di spostarci e scoprire e il bisogno di un ambiente familiare e comodo. Essere esistenzialmente sedentari, per quanto comodo e sicuro può trasformarsi in un’esistenza sterile e persino frustrante. D’altra parte il movimento ci fa sentire vivi, ma “se ci lanciamo incessantemente in nuove imprese mandiamo in frantumi la nostra personalità” (Gounelle, p.108).

La tensione fra il possesso e la privazione è la tensione tra il desiderio di abbondanza e la paura dell’indigenza, tra il bisogno di potenza e il sentimento della propria fragilità. Qui si parla non solo della tensione che ci lacera come umanità del Nord del pianeta, come parte privilegiata del Mondo: viviamo l’abbondanza e lo spreco e solo se ci rendiamo ciechi e sordi non ne afferriamo le cause di ingiustizia e di squilibrio planetario tra Nord e Sud del mondo.

La tensione tra possesso e privazione si gioca anche nella nostra intimità più profonda del profondo, persino sul piano spirituale: quando nonostante i beni che possediamo ci riconosciamo sprovvisti delle cose fondamentali della vita come l'amore o  il senso di giustizia; oppure quando nonostante la nostra ricchezza ci scopriamo miserabili, e quando nonostante la nostra povertà sappiamo di ricevere abbondantemente. E' una contraddizione che riguarda finanche la nostra fede: nel momento stesso in cui la professiamo, siamo consapevoli di quanto ci manchi (“Signore io credo, sovvieni alla mia incredulità” - Marco 9:24)

 

Avvertiamo che il senso autentico della nostra umanità è compromesso quando una polarità della tensione prevale sull’altra, quando non c’è un equilibrato combinarsi tra stare con sé stessi e con gli altri, desiderio del nuovo e bisogno di ciò che ci è familiare, tra il nostro avere e il nostro donare. Avvertiamo che la nostra umanità è compromessa se il nostro egoismo prevale sulla socialità, se ci chiudiamo nella nostra sicurezza e se difendiamo strenuamente ciò che abbiamo. Allo stesso modo, se ciò che è pubblico/collettivo invade la nostra intimità, se l’incertezza e l’instabilità hanno il sopravvento sul bisogno di sicurezza e se la deprivazione ci rende nudi ed esposti.

Anche se non c’è niente di nuovo sotto il sole, nel tempo presente, scorgiamo i segni di una umanità estraniata da sé stessa. Ancora con versi poetici possiamo dire:

 

l’uomo stesso diviene Behemot e Leviathan ad altri uomini (…)

Patria dell’uomo è l’uomo e noi siamo tutti in esilio[4]

 

   Cioè l’umanità stessa diventa mostro, forza oscura, creatura degli abissi che assalta l’umanità stessa. L’essere umano è esiliato dal senso profondo della sua stessa umanità.

   Ecco allora il ritorno, il bisogno di ritornare: c’è un permanente e irrinunciabile bisogno di tornare dall’esilio. Dai territori oscuri in cui domina una forza ostile a quello che siamo chiamati ad essere, ascoltiamo dunque la Parola che dice:

“Tornate alla fortezza, o voi prigionieri della speranza”

Estraniati da sé stessi… non è l’ultima parola.

Estraniati da sé stessi diventa parola disperante se ci facciamo colonizzare la mente e lo spirito

da truppe di occupazione che si spacciano per un dominio immutabile e senza uscita, se ci facciamo prigionieri di altro:

Estraniati da sé stessi diventa parola disperante se ci facciamo

prigionieri dell’ottimismo di maniera o prigionieri del pessimismo ad oltranza

prigionieri del risultato, prigionieri della prestazione,

prigionieri della qualità, prigionieri della quantità

prigionieri del profitto, prigionieri della perdita

prigionieri del piacere, dell’apparire e dell’avere

prigionieri dell’idea

prigionieri della religione

prigionieri della stessa canzone

Estraniati… non è l’ultima parola quando accogliamo la promessa che ci è stata donata in Cristo:

siamo prigionieri sì, ma prigionieri del Dio della speranza che ci ha incontrati in Gesù che ha saputo mantenere “un equilibrio tra relazione e solitudine, associando la preghiera alla dedizione, ritirandosi nel deserto e mescolandosi tra la folla, si è circondato di discepoli unito da forti legami, senza lasciarsi assorbire e rinchiudere nel loro gruppo,… che si trova a ovunque a casa propria eppure non ha dove posare il capo (Mt. 8,20)[5]…Confidando nel Padre ha combinato “avventura e sicurezza, prudenza e audacia” per annunciare che l’avvento del Regno di Dio.

L’ultima parola dunque sull’umanità disorientata dal presente e spaventata dal futuro non è esilio, ma ritorno,

un ritorno carico di promesse perché riguarda innanzitutto il ritorno di Dio (Zac. 1,3 e anche 1,16).[6]

L’ultima parola non è la Crocifissione di Gesù e di ogni speranza di cambiamento per chi lo segue, ma la sua Risurrezione e la promessa che quando uno è in Cristo è una nuova persona, e che ogni lacerazione sarà guarita, ogni distanza colmata, ogni tristezza consolata, perché Dio fa nuove tutte le cose, le vecchie cose passano tutto è nuovo oramai. Nell’enigma della vita che si salva quando si è disposti a perderla e della fine che cela l’inizio, può racchiudersi il nucleo più profondo ed essenziale di una esistenza autenticamente umana. Che Dio ci aiuti a tornare a noi stessi, legati[7] a Cristo, il Signore della speranza. Amen

Il pensiero di Jurgen Moltmann:

“La speranza è un esperimento con Dio, con se stessi, con la storia (…) l’esperimento speranza non è né un cammino più sicuro né un cammino più facile, e però è il cammino della vita nel mezzo della morte. Non affrontare un simile esperimento, sarebbe come non voler vivere, per evitare insieme al dolore della disillusione anche la felicità dell’amore; sarebbe come non voler agire, per evitare insieme alla colpa il perdono della colpa. La speranza conduce entro la vita, entro la vita intera. Dà coraggio alla fede, perché non decada in superstizione. Dà forza all’amore, perché non se ne stia con se stesso e con chi è simile a sé”[8]

 

 

Evangelici ed ecumenismo

di Fulvio Ferrario[9]

 

Come tutti sanno, la stagione degli entusiasmi ecumenici è finita da un pezzo. Probabilmente, è ormai anche improprio parlare di una “crisi”: l’espressione suggerisce l’idea di una difficoltà passeggera. Ci troviamo invece in una fase di lungo periodo, che in queste righe vorrei provare a descrivere, dividendo la presentazione in due parti: la prima dedicata alla scena ecumenica mondiale, con particolare riguardo alla politica di Roma; la seconda centrata sul protestantesimo e sul ruolo, in esso, delle nostre piccole chiese.

 

Due velocità

Le “due velocità” dell’ecumenismo vaticano sono ormai proverbiali: il dialogo con gli ortodossi procede spedito, quello con le chiese della Riforma segna il passo. In questo c’è propaganda, ma anche una parte di verità. La prima consiste nel fatto che l’”avvicinamento” ortodosso a Roma non è così evidente. Che l’Oriente cristiano abbia ammorbidito le sue posizioni sulla questione del primato papale corrisponde più ai desideri vaticani che alla lettera dei testi. E’ vero, invece, che Roma e l’ortodossia si trovano d’accordo per quanto riguarda un certo spirito di crociata contro la modernità. Se sia giusto praticare l’ecumenismo mediante battaglie comuni contro i gay, è per lo meno dubbio, ma non per il papa né per il patriarca Alessio.

Con gli evangelici, invece, dopo l’entusiasmo (avvertibile più da parte luterana che cattolica, bisogna dire) a proposito della Dichiarazione sulla giustificazione (1999), il confronto non sembra promesso a magnifiche sorti e progressive. A mia conoscenza, i dialoghi bilaterali di Roma con luterani, riformati, battisti, non hanno in agenda passi avanti clamorosi; con gli anglicani, è subentrato un grande gelo, visto che essi non si sono allineati con sufficiente prontezza alle posizioni romane, ad esempio in materia di ministero femminile; più vivace, forse, il dialogo con il Consiglio mondiale metodista; infine, dev’essere menzionata la nuova stagione che, sia pur tra mille e mille difficoltà, apre con decisione il confronto con i movimenti evangelical. Si riscontrano dunque stasi, qualche evoluzione e alcune novità. C’è una logica, in questo?

 

Roma non “dà i numeri”: sa contare

Il Pontificio consiglio per l’unità offre la sua lettura della situazione. Le chiese protestanti, esso afferma, insistono su un’idea di unità (quella della Concordia di Leuenberg: ne parleremo) minimalista; inoltre, sono libertine dal punto di vista etico, ordinano le donne, anche all’episcopato, aprono ai gay; infine (accusa recentemente aggiunta al tradizionale repertorio vaticano) accolgono al loro interno dottrine non dissimili da antiche eresie, relativamente alla Trinità e a Gesù Cristo. Insomma, questi protestanti sono inaffidabili. Per fortuna ce n’è qualcuno buono (in particolare in Scandinavia), interessato al papato, alla cosiddetta successione apostolica “storica”, ecc. ecc.

In realtà, la freddezza romana ha ben altre motivazioni. Che i protestanti siano tali, Roma l’ha sempre saputo. Il Concilio voleva dialogare con loro perché riteneva che potessero contribuire al confronto con il mondo moderno. Oggi ciò non interessa più. Che poi le chiese evangeliche siano inaffidabili quanto alla dottrina, è semplicemente una calunnia: alcuni teologi e teologhe sostengono tesi curiose, in effetti, ma questo accade persino nelle facoltà cattoliche. La fede della chiesa è un’altra cosa e non è il caso di spiegarlo proprio al Vaticano.

No, il disinteresse per il protestantesimo ha un’altra ragione: secondo Roma, esso non ha futuro. Le chiese protestanti verranno inesorabilmente risucchiate dalla secolarizzazione; e chi non ci sta, diventerà cattolicheggiante o evangelicale. Mentre tra noi si continua a dire che “il problema non è il numero”, secondo Roma proprio i numeri ci condannano, anche ecumenicamente: non contiamo, appunto, nulla. Con gli eretici (ad esempio gli evangelicali) vale la pena dialogare; con quattro gatti secolarizzati e in via di estinzione, no. Questa è la sentenza romana. Può anche non piacere, ma merita di essere meditata.

 

La comunione dei protestanti

Anche se oggi Roma tende a presentarsi come il vero centro del movimento ecumenico, le chiese della Riforma hanno sviluppato le uniche concrete esperienze di unità nella diversità. Particolarmente importante è la Concordia di Leuenberg (1973), che oggi dà luogo alla Comunità [ma sarebbe meglio dire: Comunione] delle Chiese Protestanti in Europa. Le chiese luterane, quelle riformate, quelle che in Germania sono dette “unite”, e le chiese metodiste, si riconoscono pienamente come espressioni della chiesa una, santa, cattolica e apostolica: esse condividono la cena del Signore e riconoscono i rispettivi ministeri, in quanto riconoscono in quella dell’altro la propria fede. Che cosa fa sì che la chiesa sia chiesa, secondo i protestanti? Due elementi: la comune comprensione dell’evangelo e del significato sacramenti, cioè del battesimo e della cena. Tale consenso non esclude differenze teologiche anche profonde: si dice però che tali differenze non sono tali da dividere la chiesa. Secondo Roma, l’ortodossia, l’anglicanesimo e anche, purtroppo, secondo alcune chiese luterane nordeuropee, questo modello è insufficiente. Perché la chiesa sia chiesa, a parere di costoro, sarebbe necessario anche il ministero del vescovo, inteso come Roma lo intende. Leuenberg viene dunque accusata di essere un consenso “minimale”. Francamente, mi chiedo se chi usa questo aggettivo si rende conto di quel che dice. Il consenso sulla parola di Dio in Cristo e nel sacramento, cioè sulla rivelazione e sulla salvezza, sarebbe “minimale”.

E che cosa è “massimale”? Quello sull’episcopato e, eventualmente, sul papato. No comment.

 

La cattolicità del protestantesimo

In realtà, il consenso di Leuenberg è un modello ecumenico che non solo permette, ma valorizza la diversità. Soprattutto, è un modello che corrisponde al pluralismo testimoniato dal Nuovo Testamento. I suoi avversari affermano di voler ricercare l’unità nella diversità, ma in realtà vogliono un unico modello di ministero. Roma tollera solo diversità coreografiche e decorative, in realtà vuole l’uniformità, perché solo questo essa comprende e considera legittimo. Gli ortodossi, in fondo, l’hanno sempre saputo. A volte ci si chiede se certo anglicanesimo e certo luteranesimo scandinavo mostrino la stessa lucidità.

I critici sostengono che l’unità dei protestanti è formale. Non è vero. E’ vero, invece, che la cattolicità dei protestanti, cioè il fatto che la fede è plurale ma comune, dev’essere espressa con chiarezza. Che significa?

In primo luogo, non aver paura dell’aggettivo. Le chiese della Riforma sono cattoliche, esprimono cioè localmente l’universalità della chiesa. Chi storce il naso di fronte a un tale aggettivo, lo regala a Roma, che non merita l’omaggio.

In secondo luogo, è utile lavorare perché il protestantesimo, almeno in Europa, impari a pensare il più possibile unitariamente. Anni fa si pensava a un sinodo europeo. Sugli strumenti, si può discutere. L’essenziale è che la voce protestante sia il più possibile armonica nella sua pluralità, e non cacofonica.

Proprio per questo, terzo, è essenziale che si agisca in modo ecumenicamente responsabile. Soprattutto quando si parla di evangelo, battesimo, santa cena, è opportuno che ciascuna chiesa operi in reale dialogo con le altre e che non vengano assunte unilateralmente decisioni che mettono in difficoltà la comunione delle chiese. Non tutti i protestanti sono sensibili a questo argomento, anzi, qualcuno è decisamente allergico ad esso. In realtà, proprio le chiese minoritarie dovrebbero avere assai a cuore l’unità protestante e lavorare per essa. Leuenberg non è una palla al piede, è una possibilità per mostrare che la fede evangelica non è meno “cattolica”, meno universale, meno comunionale, di quella romana. Anzi, lo è di più, perché non ha bisogno di gerarchi infallibili né di tribunali dottrinali. Non esiste un S. Uffizio protestante e ne siamo felici. Al posto dell’autoritarismo centrale c’è il dialogo, la pazienza del confronto, la volontà di capirsi e la consapevolezza che non siamo noi i soli a voler ascoltare l’evangelo. Altri lo fanno, in Francia come in Renania, in Lettonia come a Stoccarda; lo fanno i riformati più vicini a noi, ma anche luterani che a noi appaiono “conservatori”, e che tuttavia hanno vissuto e vivono di una grande teologia e di una storia ricchissima. Il Sinodo di quest’anno si è aperto con un forte richiamo all’ascolto. Cattolicità non romana in fondo è questo: ascoltare la voce di Dio anche nella testimonianza dell’altra chiesa evangelica, facendo del dialogo il luogo del discernimento. A volte è faticoso, ma è quanto il Nuovo Testamento propone.

 

 

Il naso tra i libri: Un eremita protestante

di Sara Rivedi Pasqui

 

Daniel Bourguet è un anziano pastore della Chiesa Riformata di Francia il quale ha esercitato il suo ministero nel sud del paese ed ha insegnato teologia a Montpellier. Circa una trentina di anni fa ha avvertito il richiamo ad una vita monastica cioè di solitudine, preghiera, ricerca spirituale, comunione intensa con Dio. Quando l’appello a dedicarsi totalmente alla preghiera ed alla meditazione si è fatto pressante egli ne ha parlato ai responsabili della sua chiesa che, assai comprensivi, gli hanno accordato la libertà di esperire tale scelta. Così Daniel Bourguet trascorre un anno in una Trappa ed un anno presso una comunità di domenicani, ma al termine di questo periodo conventuale egli è fermamente determinato e deciso a restare un pastore protestante senza tuttavia rinunciare ad una vita segnata da una semplicità francescana e consacrata alla preghiera. In un’intervista il pastore dichiara che questa esigenza di spiritualità è nata dal suo incontro con i monaci del deserto durante un soggiorno in Israele. Egli afferma:

Mi attira questo legame sottolineato con Dio, questo tempo che Gli si può accordare, questo assoluto per Dio che non si trova in nessun ministero. Per me il contatto con Dio passa avanti ad ogni altra cosa. E’ l’amore di Dio che ci permette di amare le nostre sorelle ed i nostri fratelli. La vita del monaco è essenzialmente rivolta verso Cristo. Essa vuol essere segno e testimonianza per gli altri […]

Tuttavia l’anziano pastore dagli occhi di fanciullo e dalla folta barba di profeta ha un’intensa vita di relazione e non solo perché egli è sempre disposto ad accogliere ed ascoltare chiunque desideri incontrarlo e parlargli, ma anche perché è attivo nella Chiesa Riformata del comprensorio in cui vive, ne dirige il coro, sostituisce l’organista in sua assenza, tiene culti e studi biblici e sovente delle conferenze alcune delle quali vengono da lui elaborate, ampliate e trasformate in libri di edificazione. Per Daniel Bourguet la solitudine ed il silenzio sono elementi essenziali per meglio comunicare con Dio, ma reputa parimenti importante la comunione fraterna, la condivisione, la partecipazione alla vita dell’altro.

Da circa dieci anni il monaco pastore vive poco distante da St-Jean du Gard, un villaggio delle Cevennes, in una solitaria località chiamata Les Abeillerès, la sua abitazione è una capanna costruita con tronchi di abete e situata ai margini di una radura, ai piedi di un massiccio roccioso. La porta di questa umile casa, priva di acqua corrente e di luce elettrica, è sempre aperta ed egli accoglie benevolmente ogni persona che si presenta e chiede di essere ascoltata e confortata oppure cerca risposte ai numerosi perché che la tormentano. Daniel Bourguet dunque vive da solo in apparente condizione di separatezza, ma al tempo stesso si colloca al centro di una fitta rete di preghiera, impegno, rapporti interpersonali, relazioni sociali. Quando nessun visitatore si presenta la sua giornata è scandita dai periodi dedicati alla preghiera (i più numerosi), allo studio, alla scrittura e al lavoro manuale che consiste nel tessere stoffe di lana ispirate ai disegni del pastore Henry Lindegaard.

L’anziano pastore è anche priore de L’ordre des Veilleurs una confraternita fondata nel 1923 dal teologo riformato Wilfred Monod per suggerimento del figlio, il celebre naturalista Théodor Monod. L’Ordine è un “monastero invisibile” che si propone di aiutare ogni membro ad approfondire la propria vita spirituale senza imporre alcuna liturgia poiché ogni Veilleur è libero di seguire la propria tradizione biblica. Oggi nei paesi francofoni sono circa duecento le persone, a maggioranza protestante, legate tra loro dalla preghiera e Daniel Bourguet sostiene che il protestantesimo francese, proprio grazie a questa confraternita, sta riscoprendo quella vita spirituale che la riflessione teologica aveva in un certo qual modo sminuito ed impoverito.

Questo articolo è dedicato alla memoria di Madame Graziella Bernard Türck la quale trasse conforto e serenità dalla lettura dei libri di Daniel Bourguet nell’ultimo periodo della sua lunga vita. Essa volle condividere con me questa esperienza di edificazione e purificazione spirituale inviandomi alcuni scritti del pastore. Graziella Bernard Türck è stata una credente dalla fede salda e sicura la quale ha partecipato attivamente alla vita della Chiesa Riformata di Tavannes in Svizzera. Da giovane frequentò la Chiesa Valdese di Pinerolo.

(s.r.p)

 

Dipingere la speranza al Meyer

a cura della redazione

Dal 17 al 31 ottobre l’ospedale pediatrico fiorentino ha ospitato le illustrazioni di Silvia Gastaldi Un colorato racconto ispirato dalla Bibbia per bambini e non solo.

Quali sono i colori della speranza all'interno di un ospedale pediatrico? Sono quelli che affascinano e illuminano la fantasia dei bambini e che Silvia Gastaldi, illustratrice di libri per ragazzi molto conosciuta a livello internazionale, racconta con la mostra “Dipingere la Speranza, guardare la Vita”, che sarà inaugurata nell'area di accoglienza dell'ospedale Meyer di Firenze, in viale Pieraccini nell'area di Careggi, il 17 ottobre alle 16.30 e resterà aperta fino al 31 ottobre (tutti i giorni dalle 9 alle 19). L'inaugurazione sarà preceduta da un laboratorio di animazione per i bambini.

La mostra, un percorso immaginario attraverso i colori e le suggestioni di illustrazioni ispirate alla Bibbia, è stata promossa dalla Chiesa valdese e dalla Chiesa battista di Firenze e dallo stesso ospedale Meyer per essere una sorta di messaggio di fiducia e di serenità per i piccoli degenti, le loro famiglie e il pubblico dei visitatori. Un itinerario che si è posto come gioiosa e colorata presentazione di alcuni dei più famosi racconti biblici, divenendo occasione particolare per portare un messaggio di speranza in un luogo di sofferenza. Nella mostra erano presenti cinquanta illustrazioni dalla Genesi agli Atti degli Apostoli.

Significativa la data di chiusura dell'esposizione, il 31 ottobre, che coincide con quella nella quale si ricorda la nascita della Riforma protestante, con l'affissione da parte di Martin Lutero delle 95 tesi contro le indulgenze nel 1517.

Silvia Gastaldi si è specializzata nell’illustrazione biblica per bambini lavorando molti anni per il Servizio istruzione ed educazione della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. Con le editrici Claudiana ed Elledici ha pubblicato diversi libri tradotti in più lingue. In particolare “Il popolo della Bibbia, vita e costumi”, in cui è coautrice con Claire Musatti, ha vinto il Book Award 2002 dell’Associazione stampa cattolica degli Stati Uniti e del Canada.

 

Dalle associazioni e dalle Chiese evangeliche fiorentine

 

Centro culturale protestante “P. M. Vermigli”

Sabato, 8 novembre, alle 17, in via Manzoni 19/A, il Centro culturale invita alla conferenza di Paolo Ricca “Tra fede e dubbio: la via stretta di un cristiano del 21° secolo”. Seguirà dibattito.

 

Centro sociale evangelico, Cooperativa sociale “La Riforma”

La mostra – vendita dei lavori eseguiti dal Gruppo del Centro Diurno di Riabilitazione si terrà in via Manzoni 21, nei giorni 26-27-28 novembre, dalle 15 alle 18. Saranno allestiti buffet, lotteria, pesca, ecc. Un vivo ringraziamento a tutte le persone che vorranno intervenire.

 

Casa Cares, Reggello

Il prossimo fine settimana con Thesie Müller è fissato per i giorni 15 e 16 novembre 2008 con il titolo “Che cosa ha veramente detto Paolo sulle donne.” Il seminario inizia con il pranzo di sabato e finisce con il pranzo di domenica. La quota di partecipazione è di 50 Euro; le prenotazioni entro martedì, 11 novembre.

 

Chiesa apostolica italiana

Domeniche dialogate (Firenze, Via M. Morosi). Ogni seconda domenica del mese, dalle ore 10,30 alle 12,45, l’incontro è dedicato allo studio biblico-teologico secondo la consueta formula: lettura ampliata di una ‘base d’ascolto’, consegnata in copia a tutti i presenti, e conversazione di recezione e di approfondimento. Per quest’anno 2008-2009 è previsto un percorso ecclesiologico che si svolgerà come segue: 12 ottobre 2008: Chiesa locale-Chiesa universale; 09 novembre 2008: Chiesa e/o comunità; 14 dicembre 2008: Chiesa nel Nuovo Testamento; 11 gennaio 2009: Relazioni tra chiese locali; 08 febbraio 2009: Ministeri e carismi nella chiesa locale; 08 marzo 2009: Rinnovamento della chiesa locale; 12 aprile 2009: Chiesa locale ed evangelizzazione; 10 maggio 2009: Chiesa locale luogo del quotidiano; 14 giugno: Aggiornamento teorico-pratico su “La predicazione”.

La partecipazione è aperta a tutti.

 

Forum teologico giovanile (Prato, Casa pastorale, Via Vespucci 3/18). Gli incontri si hanno il quarto sabato di ciascun mese, dalle ore 16,00 alle ore 17,00/30. Saranno trattati, come voluto dai partecipanti, temi di teologia sistematica secondo il seguente diario: 25 ottobre  Cosa è la teologia?; 22 novembre: Cosa è l’antropologia?; 27 dicembre: Cosa è la cristologia?; 24 gennaio 2009: Cosa è la soteriologia?; 28 febbraio 2009: Cosa è l’ecclesiologia?; 28 marzo 2009: Cosa è l’escatologia?; 25 aprile 2009: Cosa è la ‘non credenza’?; 23 maggio 2009: Cosa è la futurologia?; 27 giugno 2009: Cosa è la kairologia?.

La partecipazione è aperta a tutti.

 

Errata corrige! Ai lettori di Diaspora Evangelica segnaliamo che l’Assemblea autunnale del X Circuito, ospitata dalla Chiesa Apostolica Italiana, non era stata convocata a Firenze, Via Morosi, come riportato a pag. 31 del numero scorso, bensì a Prato a Via De Gherardo n. 4

 

Chiesa evangelica battista

http://chbattistaborgognissanti.interfree.it

L’appuntamento per il culto è domenica alle 11, anticipato da mezz'ora di canti. Studio biblico il sabato sera alle 19 sugli Atti degli Apostoli. Tutte le attività sono dunque riprese regolarmente: scuola domenicale, gruppo giovanissimi, gruppi di preghiera nelle case. Domenica 12 ottobre si è tenuta un’agape comunitaria. Il Cineforum prosegue sabato 25 ottobre sul tema “La tentazione di credere”. Ricordiamo l’iniziativa comune con la Chiesa valdese di Firenze all'ospedale pediatrico “Meyer”: Dipingere la Speranza, guardare la Vita, mostra dei disegni originali di Silvia Gastaldi, illustrazione dei volumi Navigare nella Bibbia e Racconta la Bibbia ai tuoi ragazzi, pubblicati dalla Claudiana.

 

Chiesa evangelica metodista

Il presidente del Comitato Permanente dell’OPCEMI ci ha comunicato che la Missione Metodista inglese invierà nella primavera prossima una nuova pastora. Nella sua ultima riunione la Tavola, insieme al CP dell’OPCEMI, ha deliberato di nominare  fino al suo arrivo Dorothea Mueller, pastora (a metà tempo) della Chiesa metodista di Firenze.

Ricordiamo alle persone interessate l’orario dei culti: tutte le domeniche, ore 10.30, la 1° domenica del mese: culto con cena del Signore. Da novembre riprendono gli studi biblici: il 1° e 3° martedì di ogni mese, ore 18, nei locali di via dei Benci. Vorremmo anche tentare di riprendere l’attività per i più piccoli, perciò chiediamo a tutti interessati di contattare la pastora (0577.40512 oppure 3339855181).

 

Chiesa evangelica luterana

Sabato, 29 novembre, alle 15, ricevimento d’Avvento nella sala della comunità, segue la vendita delle corone d’avvento.

Domenica 7 dicembre, alle 10, culto nella Chiesa luterana, segue il Bazar Natalizio fino alle 18.

 

Chiesa evangelica valdese

www.firenzevaldese.chiesavaldese.org

Proseguono le nostre riunioni di zona: il primo giovedì del mese (6 novembre) a Pistoia; il secondo giovedì (13 novembre) all’istituto Gould di via de’Serragli a Firenze. Gli studi biblici nelle case si terranno ogni terzo e quarto giovedì del mese. Le persone disposte a ospitare tali incontri sono pregate di rivolgersi al pastore Gajewski.

Continua il nostro programma di studi biblici. Sabato, 8 novembre l’appuntamento è anticipato alle 16 con una breve conversazione sul tema “Il metodo storico-critico e oltre”. Lo studio del libro di Osea questo mese sarà ripreso il 15 novembre, alle 16.30 (capitolo 5).

Il gruppo di catechismo si riunisce ogni sabato alle 15 in via Manzoni. La scuola domenicale per i bambini si incontra ogni domenica nell’orario del culto, dalle 10.30 alle 11.45.

Sono iniziati già i preparativi al bazar comunitario che si terrà in via Manzoni sabato 22 novembre, dalle 12 in poi. Saranno gradite tutte le forme di collaborazione e di partecipazione a questo importante evento che scandisce ogni anno la vita della nostra comunità. Per informazioni: Marcella Favellini, 055640577.

Vogliamo essere particolarmente vicini alle sorelle: Cristina Bersano, Anita e Lidia Barbanotti e alle loro famiglie. Nei primi giorni di ottobre la mamma di Cristina, (la nonna materna di Anita e Lidia) ha terminato la sua vita terrena ed è ritornata alla casa del Padre nostro che è nei cieli.

Circondiamo con il nostro affetto e con le nostre preghiere di intercessione Sara Moscardi, figlia della sorella Anna Maria Barducci. Sara dopo un ricovero in ospedale è ritornata a casa, iniziando un percorso di fisica recupero delle forze fisiche. Un affettuoso saluto possa giungere a tutta la famiglia Barducci-Moscardi.

Indirizzi e-mail. Il concistoro sta aggiornando l’indirizzario dei membri di chiesa. Poiché la posta elettronica è oggi assai più diffusa di quella cartacea il concistoro prega tutti i membri di chiesa e i simpatizzanti che possiedono una casella di posta elettronica di inviarne l’indirizzo al pastore Gajewski: pgajewski@chiesavaldese.org.

 

Archivio di “Diaspora”

Con il breve testo pubblicato in seguito si chiude la rubrica Archivio di “Diaspora” pensata per ricordare i suoi quarant’anni di vita. Per un anno intero i brevi brani di qualche anno (o di qualche decennio) fa hanno fatto da cornice alle riflessioni e notizie di oggi. Il cerchio si chiude con il noto testo di Charles Beckwith “O missionari, o nulla” (lettera al pastore Lantaret del 4 gennaio 1848). Il pastore Gino Conte lo pubblicò a mo’ di commento alla relazione sui lavori sinodali, firmata da Paola Reggiani e Antonella Sciumbata. La redazione ritiene che sia una cosa buona ricordare le righe alquanto celebri e ancora attuali.

 

(Anno XXXI - n.10 ottobre 1998, p.13):

 

Se avrete una forza interiore riuscirete, altrimenti finirete confusi nella massa e non si sentirà più parlare di voi. La vostra carriera, se così può definirsi l’esistenza che avete vissuto in questo clima di torpore dalla Riforma ad oggi, è finita, le cose vecchie sono passate, le nuove stanno sbocciando. D’ora innanzi o siete missionari o non siete nulla…

Occorre avere piena convinzione nella propria causa e coraggio di camminare innanzi sulla strada delle libertà religiose e civili, con perseveranza e rettitudine, altrimenti rischiate di essere sorpassati, annullati, cancellati.

 

ECUMENICAMENTE (S)CORRETTO

di Roberto Davide Papini

 

Visti con un occhio un po’ meno serioso del clima che si respira nella grande aula di Torre Pellice, i lavori sinodali regalano diversi spunti divertenti. Non solo la sceneggiata dello pseudo Gianavello (si veda il numero precedente di Diaspora, n.d.r.), ma anche tanti altri particolari. Tra questi, colpisce la curiosa scelta delle calzature maschili, perché il Sinodo si è giocato sì tra sfide di oratoria e bordate di complessi documenti (scritti in un italiano sempre burocratico, talvolta improbabile), ma anche in punta di piedi. Un po’ di vanità, molta voglia di simboli “riconoscibili” e identificabili all’interno di un ben determinato gruppo e qualche immancabile battitore libero hanno regalato una curiosa varietà di calzature sinodali maschili. Con più civettuola esibizione rispetto a quelle femminili.

Sandalo è bello
Già, con stile a metà tra il francescano e il no-global, una corrente molto “progressista”, ambientalista e politically correct ha sfoderato l’arma dei sandali. Di vario tipo, abbinati a vestiti casual o anche a pantaloni e camicie classici, i sandali hanno davvero trionfato tra gli uomini del Sinodo. D’accordo eravamo in estate, ma difficilmente in un altro ambiente (eccetto, forse, una riunione di frati o un incontro di vegani) si sarebbe visto un così vasto repertorio sandalesco.

S(c)andalo
Come sempre i tedeschi danno grandi soddisfazioni e stavolta nell’armamentario sandalesco è arrivata l’immancabile perla teutonica: sandalo con calzino bianco. A regalarcela è stata una donna (una pastora: lo si capiva dalle implicazioni teologiche dell’abbinamento), ma trattandosi di un grande classico la menzioniamo lo stesso in questa carrellata maschile.

TT: Teologia in Timberland
Contrapposta alla tribù dei sandali (e ben distinta dalla massa di calzature inconsapevoli del loro ruolo in chiave evangelizzatrice) si è mostrata in grande forma la pattuglia del Teologi in Timberland (vere o false). Della serie: "Cari fratelli, io ho svoltato e i sandali sono roba da pezzenti", i rappresentanti di questa corrente sono invidiati e temuti, ma molti sandalari non aspettano altro di far loro le scarpe, anzi i sandali.

Il fuoriclasse
Notizia: mocassino grigio color grigio topo portato senza calze. Ecco il capolavoro assoluto esibito durante il Sinodo da un autorevole membro del vertice valdese. Al suo temerario calzatore va il premio per la scelta più originale e terrificante. Anche Gianavello fremeva di invidia.

 

Diaspora evangelica

Direttore ai sensi di legge: Gabriele De Cecco

 

Direzione, redazione:

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Tel.: 0552477800

pgajewski@chiesavaldese.org

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Direttore responsabile: Pawel Gajewski

In redazione: Francesco Liedl e Roberto Davide Papini

 

Reg. Tribunale di Firenze, 16 ottobre 1967, n. 1863

 

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[1]  Gaia Piccardi, “I nuovi adolescenti tra amore e lavoro”, in Il Corriere della Sera del 31 luglio 2008

[2]  Margherita Guidacci, da “La sabbia e l’angelo” (1946) ora in Le poesie, a cura di M. Del Serra, Le Lettere, Firenze 2003, p.57

[3]  André Gounelle, Parlare di Cristo, Claudiana, Torino 2008, pp.101-107. Per brevità, tralasciamo di menzionare la tensione tra passione e ragione e quella tra libertà e destino.

[4]  Margherita Guidacci, “L’Orologio di Bologna”(1981), in Le poesie, a cura di M.Del Serra, Le Lettere, Firenze 2003, p.328.

[5]  A.Gounelle, op.cit., p.116

[6]  Cfr. R. Rendtorff, Teologia dell’Antico Testamento vol.2, Claudiana, Torino 2003, pp.303-304

[7]  La parola ebraica tiqvà tradotta come “speranza” significa anche “corda”

[8]  Jurgen Moltmann, L’esperimento speranza, Queriniana, Brescia 1976, p.14. Altre opere di J.Moltmann consultate: Teologia della Speranza, Queriniana, Brescia 1970; Nella Fine l’Inizio, Queriniana, Brescia 2004.

[9]   Testo già pubblicato su Riforma, settimanale delle Chiese battiste, metodiste e valdesi in Italia. Ringraziamo l’Autore e la Redazione di Riforma per la gentile concessione.