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Fiori nel deserto

 

 

 

Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa. Si coprirà di fiori (Isaia 35:1-2).

Queste tre cose durano: fede, speranza, amore (I Corinzi 13:13).

 

 

Viviamo nel deserto e vivremo nel deserto, che non è quello dell’Esodo dove si incontra Dio, ma il luogo che Dio sembra avere abbandonato, dove viene attaccata, mortificata e inesorabilmente distrutta ogni forma di vita. E’ un deserto anche interiore. Occorre restare qui, è la condizione permanente dell’umanità. E questa condizione provoca in noi un sacco di interrogativi di perché. Spesso ci domandiamo se c’è una risposta alle nostre domande, ai nostri “perché” (…). Spesso non c’è risposta. Il deserto è duro, è angosciante, ma…

C’è un “ma” che non è una risposta alle domande, ma è il cuore dell’annuncio profetico. In questo nulla, in questa solitudine, qui dentro, ogni tanto nasce qualcosa, un fiore, nasce l’amore, nasce la bellezza, nasce la vita, sboccia una rosa, in questo mondo oscuro brilla una scintilla. Ogni tanto nasce l’amore – ideale, ma che comunque si incarna, che non esiste, ma che esiste – nasce dolcissimo, possente, dominatore delle parti più profonde della nostra coscienza: pensiero che davanti a noi ritorni spesso, noi ti aspettiamo. E pur con tutto il pessimismo dettato dalla ragione, dall’esperienza dei fatti, dalla conoscenza della vita, per motivazioni lievissime e appena possibili a notare – un fiore – a volte improvvisamente rinasce il gusto per la vita, si ricomincia dal nulla, tutto il resto è dimenticato o diventa sopportabile. Per questo fiore valeva la pena vivere la vita. E succede una cosa straordinaria: i fiori che sbocciano entro un mondo ostile, che pure li ucciderà di nuovo quando soffierà violento e infuocato il vento del deserto e rimarrà soltanto l’assoluto di Dio, sono un segno di speranza immortale e consolano questa nostra realtà perduta, consolano la vita nostra. E qui torna alla memoria Leopardi (…/…): “tuoi cespi solitari intorno spargi odorata ginestra (…) e di dolcissimo odor mandi un profumo che il deserto consola”.

Ogni tanto nel deserto nasce qualcosa, un fiore che non si può conservare, che apparentemente non può salvare, ma che nella durata brevissima del tempo che gli è dato fino al momento della distruzione non cessa, non cede, sta e consola, si prende cura della stessa desolazione che lo accerchia. E’ la forza della debolezza, è un fiore di durata effimera forse, ma la sua visione, la sua attesa, il suo ricordo, la nostalgia che provoca, i suoi colori, il suo profumo, il suo canto, riempiono la vita, anzi, anche se tra il ricordo e l’attesa intanto passa la nostra esistenza, il suo canto è immortale. Non c’è una risposta ad alcune domande, ma c’è il fiore del deserto.

Ecco, in questo deserto c’è una buona notizia, che con termine greco si dice “evangelo”. Ogni tanto fiorisce l’evangelo. E’ questa l’annuncio di Isaia, non tanto che l’aspettiamo o lo desideriamo, ma che ci sarà. Ci sarà. Anzi si coprirà di fiori, ci sarà un evento epocale, una esplosione generale di fiori e di colori, di vita nuova, una manifestazione assoluta della gloria di Dio.

Non dimentichiamo la speranza: le nostre chiese conoscono, noi conosciamo, soprattutto il passato, la fede, l’amore, ma verso il futuro la speranza è poca. Noi siamo come quelle persone che hanno vissuto a lungo, che hanno avuto una vita piena, ma che non hanno più prospettive per il futuro. Quando vado in giro per il distretto devo portare una parola di speranza, devo rispondere alle domande delle singole chiese sparse nella diaspora che, al di là dei vari adempimenti disciplinari, vogliono sapere se ci sarà per loro un futuro. Cerco di piantare semi di speranza.

Queste tre cose durano fede, speranza e amore: l’amore è la più grande ma non è un sostituto per la speranza, perché queste tre cose durano, durano tutte e tre. Sappiamo annunciare la speranza? Sappiamo vivere in questa prospettiva? E’ spesso questo che la teologia non riesce a trasmettere e che non riescono a trasmettere le nostre chiese, è per questo che sono mezze vuote. Amo la Chiesa, la nostra chiesa, ma sono cosciente che Dio non è chiuso nel sacco della chiesa, è più grande della chiesa, anche di tutte le varie chiese cristiane messe insieme. Dio è più grande della nostra ricerca, della nostra teologia e pure della nostra predicazione. Dentro la Chiesa e anche fuori, dappertutto, fa sbocciare dei fiori e crea vita nuova.

Come sono belle queste parole di Isaia, come sono grandiose. Cari amici e care amiche, spero che questo mio discorso, nel suo piccolo, sappia portare una speranza di vita nuova a chi l’ha persa o forse non l’ha mai avuta, perché l’esistenza è stata dura ed è rimasto chiuso in se stesso. E dal fondo di desolate certezze possa sbocciare, per voi che ascoltate, la rosa del deserto annunciata dai profeti. Allora salirà a Dio più intenso e appassionato l’amore per la vita, per questa vita.

Usciamo dal nostro piccolo orto, recuperiamo le emozioni dell’evangelo, impariamo a sognare e alziamo lo sguardo: un nuovo orizzonte ci aspetta: il cambiamento è possibile, un mondo nuovo è possibile. Sì, ancora una volta c’è una buona notizia: il deserto e la terra arida si rallegreranno:…. il vangelo è alle porte !

 

Predicazione di Mario Cignoni, Chiesa Evangelica Valdesedi Firenze, domenica 1 dicembre 2013

 


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4 Gennaio 2014 © Chiesa Evangelica Valdese di Firenze