«Venga il tuo regno»
Matteo 6, 10

 

Non si osa quasi predicare oggi quesia domanda dell'antica preghiera cristiana: oggi, nella particolare atmosfera sociale e politica del presente. Quasi fosse una preghiera di disillusi e di deboli , che intendano voltare le spalle al mondo ed evadere dalle responsabilità presenti e dai compiti immediati di costruire una nuova civiltà più libera e giusta. Quasi fosse una preghiera reazionaria, tesa, senza rendersene troppo chiaramente conto a mantenere l'ordine costituito e la società attuale con le sue ingiustizie, minando alla base la volontà rivoluzionaria di effettive realizzazioni e di concreti miglioramenti sul piano storico. Quasi fosse una preghiera stonata con l'epoca e che suonasse disfattismo, sfiducia democraticamente illecita verso la città del domani che gli uomini vogliono costruire con mani generose.

C'è veramente da domandarsi se, per avere questa impressione e questo spirito di timidezzaa davanti alla preghiera del Regno noi non siamo stati influenzati dalle idee che corrono sui giornali e nelle conversazioni più che da quell 'Evangelo le cui parole non passeranno anche nel passare dei cieli e della terra. Forse perché siamo sensibili alle esigenze e agli orientamenti del nostro secolo fin nel foro più intimo della fede che ci è data dalla predicazione evangelica, noi non sentiamo più questa preghiera in tutto il suo significato antico e in tutta la sua forza attuale. Noi preghiamo questa preghiera, ma senza comprenderla, soprattutto senza forse crederla.

Non saper pregare per il Regno significa infatti non credere nel Regno.Significa credere in altri regni e non avere la sapienza evangelica per vedere oltre il loro limite. Oppure significa non credere in nessun regno, malati di disfattismo, poveri di ogni speranza.

Se non crediamo nel Regno che deve venire vuoi dire che non crediamo nel Regno venuto: cioè non crediamo in quel Re oscuro, sconosciuto, bistrattato, sul cui capo è stata posta una corona di spine, sulle cui spalle è stato posto un mantello di porpora, nella cui mano è stata posta una canna. Crediamo che la beffa avvenuta nel cortile del pretorio di Gerusalemme sia stato l'ultimo alto del dramma e che la scritta posta sulla croce del condannato - «Questo è Gesù, il Re dei Giudei» sia stata l'espressione del la giusta condanna di un grande ingannatore.

Ma se, qualunque cosa debba ancora avvenire abbiamo compreso che il tempo è compiuto e che siamo chiamati a ravvederci e a credere al l'annuncio buono del Regno: se abbiamo saputo vedere che l'acqua cambiata in vino, la moltiplicazione dei pani, la tempesta sedata, i malati guariti, i morti risuscitati sono dei segni precursori dell'avvento del Regno: se abbiamo saputo accogliere con la gioia e lo stupore della fede le dichiarazioni inaudite di Colui che dice di avere vinto il mondo e di avere ricevuto ogni potere nei cicli e sopra la terra, allora non possiamo non pregare:« Venga il tuo Regno».

Vi può essere in questa preghiera tutta l'umanità di colui che prega, vi può essere quella invincibile concupiscenza di cui parlava un Riformatore, per cui anche nella sfera religiosa l'uomo ama se stesso e cerca il proprio interesse. Chi soffre e dall fondo della propria sorrerenza sospira il suo stanco «Fino a quando?», può scambiare il suo desiderio di liberazione con il desiderio del Regno. Chi ha fame di pane o fame di casa o fame di amore, può scambiare il suo bisogno insoddisfatto con il desiderio del Regno; chi ha errato e peccato e si vede vincolato al suo errore e al suo peccato, può scambiare il suo disgusto e il suo imbarazzo morale con il desiderio del Regno. In questo senso la preghiera del Regno ha certo bisogno di essere perdonata. D'altra parte il Regno è anche tutto questo, è anche la riparazione di tutte le ingiustizie, la guarigione di tutte le malattie, la consolazione di tutte le affliziono, la redenzione da ogni male e da ogni peccato. Se si chiede che Dio regni, si chiede che non regnino più la malattia e l'ingiustizia, la sofferenza, il peccato e la morte.

Ma nella sua purezza, la preghiera del Regno si ricollega ai Salmi, là dove il salmista sospira: «Come la cerva anela ai rivi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente: quando verrò e comparirò al cospetto di Dio'?» (Sal. 42,1-2); «lo aspetto l'Eterno ... l'anima mia anela al Signore, più che le guardie non anelino al mattino» (Sal. 130, 5- 6). Nella sua purezza la preghiera del Regno non è preghiera di interesse, è preghiera di amore. Amore per il Signore Gesù Cristo, il cui nome non possiamo più sopportare che venga bestemmiato da tutti coloro che non lo conoscono e che non lo comprendonoe che ogni giorno gli rimproverano di non intervenire a risolvere la situazione del rnondo e di non manifestare la sua qualità di Signore. Amore per il Signore Gesù Cristo, da cui sappiamo che nessuna forza potrà separarci mai, ma da cui d'altra parte sappiamo di essere «assenti» finché egli venga (2 Cor. 5.6s). Amore per il Signore Gesù Cristo e desiderio immenso di consumare e di gustare appieno la nostra comunione con lui. Il Regno che deve venire, non è qualche cosa: è Lui.

Così che la preghiera «Venga il tuo Regno» si trasfigura nell'altra preghiera con cui si conclude ogni preghiera, ogni annuncio, ogni profezia,
ogni promessa, ogni speranza nella Bibbia: «Vieni. Signore Gesù!» (Apoc. 22.20). E la preghiera dei viventi e la preghiera dei trapassati dei secoli dei secoli si fonde nell'invocazione suprema: «Vieni, Signore Gesù! ».

Fratelli, sorelle, siamo qui oggi una volla di più per ricevere la nostra fede dalla Parola e per pensarla alla luce della Parola che è Cristo. Dopo avere ascoltato e meditato oggi questa Parola, siamo chiamati a dare alla nostra preghiera il contenuto e il respiro di Cristo.

predicazione del pastore Vittorio Subilia rivolta alla chiesa valdese di Aosta il 12 ottobre 1947


tratta da:
Vittorio Subilia "Il Regno di Dio" Interpretazioni nel corso dei secoli, a cura di Gino Conte, Claudiana Editrice, Torino, 1993