Luca 9,57-62
"Seguimi"

Gesù nel racconto di Luca si è appena avviato verso Gerusalemme, è il suo ultimo viaggio, quello che lo porterà al Golgota.  La narrazione di Luca si discosta per ben dieci capitoli da quella di Marco e di Matteo, nella sua redazione lo spazio e il tempo di questo viaggio vengono dilatati e sono narrati numerosi episodi  che negli altri evangeli erano posti in altri contesti o che  sono stati ripresi da fonti diverse e rielaborati da Luca. 

In particolare due dei tre brevi dialoghi sono quasi uguali, parola per parola, con quelli narrati in Matteo 8, 9-12, soltanto che in Matteo sono posti a metà dell’attività di Gesù in Galilea.  Chi ha ragione? Non lo sapremo mai, possiamo solo annotare che questi sei versetti sono un tutt’uno a livello contenutistico e formale con i testi che precedono e seguono nel racconto lucano.

Ma torniamo al primo episodio: una persona esclama : “Io ti seguirò dovunque andrai.” La risposta di Gesù: le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.  Risposta da far cadere le braccia al più entusiasta!   

Noi non sappiamo chi era questa persona che si è avvicinata a Gesù, forse un entusiasta che voleva diventare un suo discepolo? Forse una persona che  aveva riconosciuto in Gesù soltanto uno dei tanti maestri dell’umanità. Forse una persona che non aveva capito la portata della sua scelta?   Sicuramente  la constatazione che Gesù fa di se stesso e della sua vita, che non avrà un posto per riposare, smorza ogni entusiasmo e introduce nel racconto e nella spiegazione un termine che noi già conosciamo, Figlio dell’uomo.

Ma passiamo al secondo episodio: Gesù ora invece chiama una persona alla missione. “Seguimi.”  Quello risponde: ”Permettimi di andare prima a seppellire mio padre.”   La risposta di Gesù è ancora più dura della precedente: “Lascia che i morti seppelliscano i morti, ma tu va ad annunziare il Regno di Dio.”

Sembrerebbe a prima vista una risposta sbagliata e incoerente con il quarto comandamento, onora il padre e la madre e con le consuetudini di allora  e, spero, anche attuali di seppellire i propri genitori, ma anche qui l’insegnamento di Gesù che si avvia verso il compimento della sua vita ci vuole fare capire che l’appartenere alla sua sequela significa aver cambiato prospettiva alla propria vita e che quindi risulta in questa ottica assolutamente prevalente il compito di chi è chiamato a seguirlo, il gioioso compito di annunciare il Regno di Dio.Regno di Dio, seconda espressione che dovremmo conoscere.

Ma andiamo avanti, siamo ora al terzo episodio: Anche qui c’è una chiamata di Gesù e la risposta: “Ti seguirò Signore, ma lasciami prima salutare quelli di casa mia.” Altra risposta lapidaria e nel contempo umoristica di Gesù: “Nessuno che abbia messo la mano sull’aratro e poi volga lo sguardo indietro, è adatto al Regno di Dio.” Sì, vi è anche una breve immagine sarcastica; immaginatevi  la scena, e quali effetti produce  un contadino che invece di guardare dove  ara, si volta indietro, con il bue e l’aratro che se ne vanno zigzagando in qua e in là. E anche qui il discorso di Gesù termina con le parole Regno di Dio e con un forte richiamo rivolto a tutti coloro che lo seguiranno a non farsi distogliere dall’obiettivo che è stato dato loro.  

L’importanza quindi di questa missione alla quale il Signore chiama è tale che la vita precedente, gli affetti precedenti, le consuetudini che ci appaiono a prima vista giuste, razionali, normali, buone vengono tutte quante messe in discussione, rivisitate dall’annuncio della chiamata che il Signore rivolge. A questa chiamata non si può che rispondere subito, non c’è tempo per i saluti o altre questioni quotidiane.

La spiegazione del testo potrebbe finire qui. Ma quel subito, quel seguimi è rivolto anche a noi. Nel nostro modo di intendere il rapporto con Dio non c’è distinzione fra il credere e l’essere partecipi all’annuncio del Regno di Dio che viene, non vi sono neanche fra di noi coloro che sono demandati a questo compito; per noi ogni credente, secondo i propri doni,  nella risposta alla Grazia, è stato chiamato ad annunciare gioiosamente che Dio, attraverso il suo figlio Gesù, è entrato nella nostra vita.   La strada è tracciata, il solco del campo del Signore è diritto.

Ma, c’è un ma, siamo capaci sia a livello individuale, sia a livello collettivo di seguire Gesù? Siamo capaci di rimuovere quotidianamente tutta la polvere che entra nella nostra casa? Tutte quelle cose che ci distolgono da un corretto modo di vivere?   Siamo certi che tutti i nostri atteggiamenti, con le persone che amiamo, con le persone che incontriamo, siano figli di questa grande speranza che ricordiamo nel giorno di Pasqua ?

Siamo dunque imitatori di Cristo come ci chiede Paolo in Efesini nella risposta all’amore di Dio per noi o tendiamo a sostituirci a Dio nel tentativo facile di pontificare su tutto e su tutti ? Noi, come unica chiesa in Gesù Cristo, e sottolineo unica, siamo capaci a duemila anni dalla prima venuta del nostro Salvatore di saper vivere l’amore per il prossimo, senza sostituirsi con il dito puntato al giudizio di Dio, pronti come siamo ad accusare e processare, infamare e forse bruciare chi non risponde ai nostri convincimenti ?

E’ naturale che mi venga in mente il caso Englaro e quella povera famiglia distrutta non solo dal naturale dolore in cui sono vissuti per diciassette anni, ma anche dalle più infamanti accuse strombazzate ai quattro venti, con tutta la potenza mediatica che la circonda. àabbia saputo rispondere con la cittadinanza al Signor Englaro. Altri gesti di comprensione e di partecipazione umana a scelte difficilissime che sono state prese da quella famiglia, spero, verranno, anche da parte nostra.  Infine spero che  atteggiamenti di giudizio perentorio su tutto e su tutti, compresa la legge e lo stato, vengano velocemente rimossi, consapevoli finalmente della precarietà delle nostre risposte umane a tanti temi che scuotono le coscienze.

L’unico degno di gloria, l’unico il cui giudizio è fondato, l’unico che può nella sua infinita grandezza e libertà dire l’ultima parola è il nostro Dio, il più grande peccato che possiamo compiere è quello di volerci sostituire a lui, è lui che ci salva e che ci può rendere contadini un po’ più accorti nel campo della vita.
Amen

Predicazione di David Buttitta domenica 15 Marzo 2009, IIIa del Tempo di Passione, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze