Efesini 4:24

Rinnovati nello spirito (Spirito) della vostra mente

 

«21… secondo la verità che è in Gesù,
22 avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici;
23 a essere invece rinnovati nello spirito (Spirito) della vostra mente (: anaveoũsthai dè tõ pneúmati toũ noòs umõn :)
24 e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità»
(Ef 4:21b-24).

 

Roland H. Bainton chiude il suo libro su La Riforma protestante (con prefazione di  Delio Cantimori / Torino 1958) scrivendo: «Se nell’Occidente sopravvive ancora una qualche consapevolezza di una civiltà cristiana, la Riforma del secolo xvi è uno di quei rinnovamenti periodici a cui ne va il merito». Considero riduttivo ritenere La Riforma protestante come «uno di quei rinnovamenti…» in quanto si tratta di un vero e proprio kairòs (= tempo opportuno a parte Dei) di un evento e non di un semplice ‘accadimento’. Parlo di evento che, in quanto tale, cioè evento, fa riferimento ad altri che l’hanno preceduta, l’hanno motivata e la spiegano, prefigurandone, nel contempo, fasi nuove e diverse che si verificheranno in tempi successivi.

 La Riforma è, perciò, evento che si dilata, si distende nel tempo per giungere fino a noi. Mentre nasce con risvolti che hanno avuto del rivoluzionario, anch’essa, però, diventa ‘chiesa istituzionale’ che per vivere e proporre i propri ideali matura la coscienza di essere, sì, ‘chiesa’, ma soprattutto “semper reformanda” nella prospettiva della riabilitante giustificazione per fede. Questo fondamento teologico, oggi, non è soltanto un suo specifico dogmatico, ma tema di annunzio, di informazione e di invito a riconoscerlo opportunità per il conseguimento di uno stile di vita che sia secondo il pensiero di Dio, come emerge dalle Scritture bibliche, ma anche ineludibile tema di dialogo nei vari percorsi ecumenici.

 Ad una tale realtà ecclesiale nella quale ci riconosciamo si addice perciò un testo biblico tratto da una epistola del tutto ecclesiologica quale quella di Paolo agli Efesini.

Nel piccolo subbuglio all’interno della mia biblioteca per la necessaria consultazione di testi e di autori, mi imbatto in un datato ma interessante testo di Karl Barth, che con Hans Urs Von Balthasar, discute di «Rinnovamento e unità della chiesa» (Silva Editore, Roma 1969). Questa riscoperta mi ha confortato a posteriori nell’avvenuta scelta del testo biblico di oggi.

La collocazione non casuale del nostro versetto, ce lo fa vedere tra un invito al negativo, «spogliarsi del vecchio uomo» (v. 22), quello «che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici» ed un secondo invito, questa volta al positivo, di «rivestire l’uomo nuovo» (v. 24), «quello creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità».

L’apostolo ci porta sul terreno di una necessaria e possibile conversione che può derivare solo dall’ «essere rinnovati nello spirito della nostra mente» (v. 23). Paolo ci informa e ci avverte che il passaggio dal «vecchio uomo» all’«uomo nuovo» avviene attraverso la quotidiana esperienza di un «rinnovamento» che impegna lo «spirito» e la «mente». Ci troviamo di fronte ad una parola apostolica che merita non tanto il valore infinitivo quanto, invece, imperativo come in Rm 12:2, «trasformatevi col rinnovamento della mente / Μεταμορφοῡσθε τῇ ἀνακαινώσει τοῦ νοὸς (preferibile la lezione imperativa). Un imperativo che peraltro non prevede immediatezza, ma gradualità. Non una gradualità segnata da tempi tra loro distaccati come passeggeri stadi vitali,  ma una gradualità che si accompagni al nostro divenire, proprio come il corrimano si accompagna ad una scala mobile.

Rinnovamento non va inteso come restaurazione di uno stadio precedente, il che sarebbe pur sempre una regressione verso il nostro passato, e neppure come ringiovanimento o, a dirla con K. Barth, come «innovazione» che verrebbe solo incontro ad un nostro imperdonabile desiderio di visibilità istituzionale.

Trattenendo l’idea di «rinnovamento» nella sua corretta area semantica – senza perciò alcun riferimento a gruppi o movimenti che assumono questo vocabolo come loro denominazione – credo di poter dire che la esortazione o imperativo apostolico  dà contenuto e senso al «semper reformanda» che si accompagna alla chiesa figlia della Riforma, quindi riformata. Reformata semper reformanda! Ma, se la forma verbale «reformata» malcela la tentazione di una cristallizzazione dogmatica, come di una méta raggiunta e in qualche modo ‘idolatrata’, quella aggiuntiva, «semper reformanda», dispone, invece, ad una verifica permanente destinata ad imprimere alla Riforma stessa il predetto senso di «evento» che solo in quanto tale oggi ci raggiunge e ci coinvolge.  È nel «reformanda» che si esprime il «rinnovamento» di cui dice l’apostolo nell’invitarci ad adeguare il nostro «pensiero» al pensiero di Dio, alla Sua volontà, il che accade per l’agire dello Spirito che oscilla tra il Logos divino e il nostro nous/mente, intelligenza, pensiero.

Il «rinnovamento», in linea con il pensiero di Paolo, è opera dello Spirito. V’è discussione tra i commentatori se si debba qui intendere lo «Spirito santo» o lo «spirito umano». Iniziale maiuscola o minuscola? Il termine può avere entrambi i significati. Vi sono tesi a favore dell’uno ed a favore dell’altro.

 La mia riflessione pneumatologica, ma non solo, porta a vederli insieme come in una dissolvenza incrociata, se è vero, come credo sia vero, che lo Spirito divino agisce sullo, ma anche  con lo spirito umano. Ratio divina, quindi, e ratio umana si incontrano per il «rinnovamento» di quanto è già stato rinnovato nel nous, come in Col 3:10 si legge «il nuovo che si rinnova» e come Tito 3:5b recita: «Egli ci salvò…rigenera (palinghenesía) e rinnova (anakainȏseȏs) nello Spirito santo»: il che accade  nel rinnovamento del pensiero, cosa di cui una fede sensibile ed intelligente sente la permanente esigenza.

Il Moltmann ci ricorda che «rinnovamento ad opera dello Spirito Santo (Tt 3,5) … è un processo che ha inizio in questa vita, ma che si concluderà soltanto nella vita eterna. A tale proposito possiamo richiamarci a due detti sempre di Lutero: “Procedere sulla via di Dio significa ricominciare sempre daccapo”, e “Non andare avanti sulla via di Dio significa tornare indietro”» (in Lo Spirito della vita, pag. 181, con pagg. 171, 172 e 173). Un sincero rinnovamento non può avvenire se non per lo Spirito santo.

Una Riforma senza un suo rinnovamento mette in crisi il maggiore pilastro teologico, proprio quello della «giustificazione per fede». E questo non va visto solo nell’àmbito di ciò che è individuale, ma in tutti gli aspetti della vita e nei rapporti intracomunitari.

Ma dove avviene il rinnovamento se non nella mente, nella fucina dei nostri pensieri, ove si sperimenta la metánoia, che noi chiamiamo ‘conversione’ e che la filosofia conosce come emendatio intellectus, «cambiamento di pensiero»? Una fede senza il supporto di un pensiero alimentato dalla grazia e sostenuto dallo Spirito di Dio è destinata a regredire, a scivolare in derive fondamentaliste.

Sì, sappiamo bene che il “pensare la fede”, come ogni attività del pensiero, comporta un certo travaglio, ma sappiamo altresì che lo Spirito «viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8:26),  mettendoci in grado di sostenere un pensiero responsabile senza il quale l’annuncio cristiano è destinato a risultare debole, consolatorio, intimistico, come spesso accade. E ciò è possibile per la presenza dello «Spirito che testimonia al nostro spirito» (Rm 8:16 ), sempre «se lo spirito abita in voi/noi» (Rm 8:9b).

Lo stesso Lutero riconosce che «nessuno può comprendere Dio e la sua parola se non è stato direttamente illuminato dallo Spirito Santo» (Scritti religiosi, Torino 1967, 436 e 438). Se crediamo che lo Spirito è presente in ogni credente – e lo crediamo con Paolino di Nola sec. iv-v, che lo affermava con vigore - non possiamo/dobbiamo piangere sui limiti del nostro pensiero, soprattutto se v’è gioia in noi per la Parola che abbiamo nelle mani.

La Riforma ci ha consegnato la Bibbia perché in noi si alimenti e si rinnovi una fede consapevole, ad occhi aperti, unitamente ai  grandi temi ai quali la Riforma stessa ci ha resi attenti perché si sviluppino e ci accompagnino con i relativi risvolti etici nelle diverse fasi della nostra vita e delle nostre comunità, sempre che queste intendano essere non solo storicamente riformate ma teologicamente reformande.

Possiamo convenire che le cinque grandi traiettorie del pensiero riformato (Sola scriptura, Sola fide, Sola gratia, Solus Christus, Soli Deo gloria), pur restando patrimonio specifico delle Chiese riformate,  protestanti ed evangeliche, non si pongono oggi soltanto come motivi e materie di protesta o di sterile controversia, bensì anche come possibili temi del dialogo ecumenico a livello interdenominazionale ed interconfessionale, segnatamente ove la Scrittura gode di sicura accoglienza.

Pertanto i termini di una protesta più viva e pressante dovrebbero allargarsi, se vogliamo dare credito alla parola di Gesù che ci pone di fronte alla polarità  Dio e Mammona (Mt 6:24, Lc 16:13) che ci chiama ad essere strenui testimoni  di Dio, in un tempo nel quale sembra che il ‘Principe di questo mondo’ (Gv 12:31), Mammona, stia occupando - come sta occupando -  posizioni di preminenza mondiale approfittando dell’eccezionale vuoto politico che dobbiamo ampiamente registrare e della frammentazione della realtà cristiana che non possiamo non confessare. Non v’è da meravigliarci se va affermandosi la antidemocratica legge del mercato mentre con ansietà attendiamo  l’avvento del Regno che invochiamo.

Forse la protesta evangelica in questi giorni, e non solo se lanciamo lo sguardo in avanti, dovrebbe assumere anche il tratto laico dell’indignazione nel Nome del Solus Christus, fonte unica di giustizia, di pace e di speranza.

Pastore Mario Affuso, Domenica della Riforma: Culto interdenominazionale Tempio Valdese, Firenze, 23 ottobre 2011