Giovanni 8,21-27
Non capiscono

21 Egli dunque disse loro di nuovo: «Io me ne vado e voi mi cercherete e
morirete nel vostro peccato; dove vado io, voi non potete venire». 
22 Perciò i Giudei dicevano: «S'ucciderà forse, poiché dice: "Dove vado io, voi non potete venire"?» 
23 Egli diceva loro: «Voi siete di quaggiù; io sono di lassù;
voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo. 
24 Perciò vi ho detto che morirete nei vostri peccati; perché se non
credete che io sono, morirete nei vostri peccati». 
25 Allora gli domandarono: «Chi sei tu?» Gesù rispose loro: «Sono per l'appunto quel che vi dico.
26 Ho molte cose da dire e da giudicare sul conto vostro; ma colui che mi ha mandato
è veritiero, e le cose che ho udite da lui, le dico al mondo».
 27 Essi non capirono che egli parlava loro del Padre. 

Giovanni 8,21-27

E’ la festa delle capanne, sukkot, detta anche dei tabernacoli, il popolo di Israele si reca a Gerusalemme, è il pellegrinaggio che si compie, almeno finché ci sarà il Tempio, ogni anno. Si ricorda con questa ricorrenza  il grande viaggio di liberazione che Iddio ha fatto compiere al suo popolo nel Sinai, dalla schiavitù alla libertà, il viaggio che ha reso un ammasso di schiavi senza radici, senza cultura , senza leggi un popolo, forse all’epoca l’unico popolo senza re, con leggi innovative , i dieci comandamenti in primis, un popolo reso unico da DIO nella liberazione e nella speranza. E’ la festa delle capanne, insieme alla Pasqua, la principale del popolo della promessa, ma il clima dentro il tempio  di Gerusalemme dove Gesù parla non è di festa nel racconto di Giovanni. I capi del tempio che dovrebbero essere i detentori della memoria e delle promesse di Dio per il loro popolo non capiscono. Sono di fronte alla promessa fatta carne in Gesù, ma non capiscono. In più scene Gesù parla, cerca di far aprire il cuore e la mente all’elite del popolo di Israele, pochi capiscono, molti, i più, sono talmente presi dalle loro convinzioni personali e chiusi alla speranza messianica a cui dicono di credere che non capiscono.   Gesù ce la mette tutta, in più scene che corrispondono all’incirca al capitolo 8 del Vangelo di Giovanni, insiste narrando della promessa fatta dal Padre a tutta la discendenza del popolo di Israele. Niente, i rappresentanti del popolo, il popolo della promessa che Iddio ha fatto, non capiscono.

Di fronte a tanta incomprensione allora Gesù sbotta: «Io me ne vado e voi mi cercherete e morirete nel vostro peccato; dove vado io, voi non potete venire». Sono parole terribili, in tre frasi c’è un sunto della missione di Gesù e la risposta negativa dei capi del tempio alla chiamata alla fede.  “Sto per morire, torno dal padre mio, voi che non mi credete, potrete cercarmi ma morirete. Per voi non ci sarà resurrezione e nuova vita perché non mi credete.” Sembra dire. Niente , ancora una volta, i capi non capiscono e interpretano le sue parole come un annuncio di suicidio. Ma Gesù  ci riprova ancora  e riafferma la sua diversità profonda dalle logiche comuni, sembra dire “aprite la mente alla promessa che Dio vi ha fatto, di un messia che cambierà il mondo rompendo le logiche umane secondo le quali vi comportate, la promessa di Dio non segue le vostre logiche, ma le stravolge e le distrugge”. Niente. Non capiscono. Rispondono: “chi sei tu?”    “Colui che  mi ha mandato dice la verità e mi ha mandato ad annunciarla a tutto il mondo.” E loro non capiscono che Gesù parla di Dio, suo padre.   Qui finiscono i versetti del vangelo di Giovanni indicati da Un giorno e una parola.E’ una storia angoscia e triste che porterà alla croce. 

Anche a noi cristiani di 2000 anni dopo  pare assurdo che gli appartenenti dell’elite del Tempio, il centro della vera fede in Dio, non abbiano capito. Molti nella storia hanno dato risposte facili a questa incomprensione, risposte anche pericolose per la vita del popolo ebraico.  Noi protestanti che sappiamo che la chiamata e quindi la fede sono il dono di Dio non avremo dubbi nel non attribuire al Giudeo la colpa di questa non comprensione, non a caso quindi oggi abbiamo riletto i primi versetti del capitolo 5 della lettera ai Romani di Paolo sulla giustificazione per fede. Ci troviamo di fronte alla storia di un incontro che non c’è mai stato, questo brano sembra quasi una piece teatrale sull’incomunicabilità. Un incontro-scontro dove le logiche umane e quelle divine non comunicano.  Per quanto Dio si metta in gioco in Gesù rimane questa frattura che solo la grazia e la fede possono colmare. La resurrezione che noi festeggeremo fra poche domeniche è un fatto che appartiene a questa sfera e non alla logica umana. Follia , dice Paolo,  è il giudizio del “mondo” sulla fede cristiana.  L’alterità di Dio dalle logiche umane è assoluta, direbbe un Bartiano, solo il ponte creato da Gesù Cristo può far comunicare queste due realtà.

Ma torniamo per un attimo ai nostri versetti e ad una frase che ho ripetuto più volte e non a caso.  Non capiscono.   E’ facile per noi dire non capiscono o non hanno capito, con un facile giudizio di merito su quelle folle che incontrano Gesù all’interno del Tempio di Gerusalemme. E’ facile per chi conosce la fine della storia come noi, per chi conosce la croce e la resurrezione. Potremmo dire troppo facile sparare a zero su quelle folle.  Loro avevano solo la promessa.  Noi sappiamo che quella fede nella croce e nella resurrezione ci salva, lo sapevano anche i nostri fratelli pietisti, lo sanno anche i nostri fratelli cattolici.  Ci possiamo sentire appagati per questo? O ci manca qualcosa?  Vogliamo rimanere come certi nostri fratelli a gridare Alleluia per la propria salvezza individuale? Dio chiama ognuno di noi, ci chiama per nome, cambia la nostra vita, ma non solo. Ci chiama ad una vita nuova, con gli altri, per gli altri. Altrimenti la fede  sarebbe un dono sprecato, come una lampada sotto il moggio. Questa risposta individuale  somiglia più alla logica umana che a quella divina.   Abbiamo ribaltato la logica naturale con la quale viviamo? Abbiamo cercato di scoprire la profonda differenza fra la logica umana e quella divina, quella del Regno che vive nascosta fra di noi e che riporta alla dimensione collettiva di vivere la fede?  Oppure qualcun altro in qualche parte del mondo, guardandoci, starà pensando “ non capiscono”? Se la nostra fede è solo un passaporto individuale per il paradiso e non è uno strumento individuale e collettivo per l’annuncio di  un Regno di riconciliazione e di amore, questo passaporto non ci farà entrare da nessuna parte.  Che Iddio ci renda diversi da come siamo, che Iddio ci faccia capire, che la nostra mente e il nostro cuore siano aperti all’Evangelo. Amen

Predicazione di Davide Buttita, sovrintendente del X Circuito Valdo-Metodista, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 24 febbraio 2013