Canto di Simeone

 

di Thomas S. Eliot

 

Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi

e il sole d’inverno rade i colli nevicati:

l’ostinata stagione si diffonde...

La mia vita leggera attende il vento di morte

come piuma sul dorso della mano.

La polvere nel sole e il ricordo negli angoli

attendono il vento che corre freddo alla terra deserta.

 

Accordaci la pace.

Molti anni camminai tra queste mura,

serbai fede e digiuno, provvedetti

ai poveri, ebbi e resi onori ed agi.

Nessuno fu respinto alla mia porta.

Chi penserà al mio tetto,

dove vivranno i figli dei miei figli

quando arriverà il giorno del dolore?

Prenderanno il sentiero delle capre, la tana delle volpi

fuggendo i volti ignoti e le spade straniere.

 

Prima che tempo sia di corde verghe e lamenti

dacci la pace tua.

Prima che sia la sosta nei monti desolati,

prima che giunga l’ora di un materno dolore,

in quest’età di nascita e di morte

possa il Figliuolo, il Verbo non pronunciante ancora e impronunciato

dar la consolazione d’Israele

 

a un uomo che ha ottant’anni e che non ha domani.

 

Secondo la promessa

soffrirà chi Ti loda a ogni generazione,

tra gloria e scherno, luce sopra luce,

e la scala dei santi ascenderà.

Non martirio per me - estasi di pensiero e di preghiera -

né la visione estrema.

Concedimi la pace.

(Ed una spada passerà il tuo cuore,

anche il tuo cuore).

Sono stanco della mia vita e di quella di chi verrà.

Muoio della mia morte e di quella di chi poi morrà.

Fa’ che il tuo servo partendo

veda la tua salvezza.

 

(nella traduzione di Eugenio Montale

“Quaderno di traduzioni” in:

Tutte le poesie, Milano 1984 pp. 760-761).

 

"L'Aurora ci visiterà"

Lc. 1, 77-78

di Gianna Sciclone

 

E' un’espressione del famoso cantico di Zaccaria, conosciuto come il "Benedictus"; insieme al "Magnificat" l'Evangelista Luca lo ha messo come cerniera fra il Vecchio e il Nuovo Testamento, per parlare della venuta di Gesù il Messia come il compimento di tutte le promesse fatte ai padri. Si tratta di testi simili ai salmi, densi di concetti e parole-chiave. Nel nostro testo scegliamo come parole interessanti "aurora" e "visiterà". Aurora è una traduzione a senso di una parola che vuol dire "oriente", che è il luogo da dove vengono i Magi a visitare Gesù, o tradizionalmente il luogo indicato dalla Genesi dove doveva trovarsi l'Eden della creazione. "Aurora dall'alto" è la traduzione greca della LXX di un termine usato per il Messia in alcuni testi profetici (come Ger.23,5) che in ebraico significa "germoglio". Si tratta di metafore diverse che però hanno lo stesso significato.

Il Messia è l'Aurora che appena arrossa il cielo, perché sta per spuntare il giorno. La lunga attesa sta per finire. Il popolo che cammina nelle tenebre vede una gran luce; non vede, ma vedrà, secondo il nostro testo. Perché c'è ancora tenebra, è ancora notte, ma il profeta è una sentinella del nuovo giorno e spia il sorgere del giorno, gli occhi fissi ad oriente, da dove sorgerà il sole. C'è un salmo (130) che parla dell'attesa del credente dell'intervento di Dio: "Io aspetto il Signore, la vita mia lo aspetta; io spero nella sua parola". "La vita mia anela (aggiunge la nostra traduzione) al Signore, più che le guardie non anelino al mattino". Se si cerca il corrispettivo di "anelare" non c'è; il testo dice "la vita mia (è) del Signore, come le guardie (sono) del mattino". Gli occhi incollati verso l'oriente a spiare il primo barlume di luce…

E ora Zaccaria, che ha vissuto l'attesa e la gioia della nascita di un figlio insperato, canta l'arrivo del mattino nella persona del Messia, di cui Giovanni sarà il profeta. Il Messia come "luce che risplende nelle tenebre", è un tema molto conosciuto, caro anche alla storia valdese, che ne ha fatto il proprio motto. Anche l'Evangelista Giovanni ha descritto così la venuta di Giovanni, per render testimonianza alla luce, e di Gesù: "la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno sopraffatta" (Gv.1,5).

Luce e tenebre, amore e odio, bene e male, una simbologia molto vasta usata forse da tutte le religioni. Dio è definito come luce, giorno, sole e il mondo e noi stessi come tenebre, peccato, morte. Nel variare delle stagioni e a seconda della vicinanza dai poli, le tenebre sono più o meno sconfitte dalla luce e c'è una certa compensazione che regge in equilibrio la terra e la vita nel globo terrestre. Intanto le tenebre ci sono, non si possono negare, ma si possono dimensionare, dar loro un termine, anche se parziale. Perché non abituarsi a pensare alle tenebre come a una parte del giorno? Quella che ci permette di dormire, di riposare, di nasconderci un po' per stare al riparo; essere sempre nella luce sarebbe mortale, come non si può vedere il volto di Dio e vivere. Il nostro vedere, quando c'è, è da dietro, con la mano del Signore che ci nasconde e ci mette al riparo dalla possibilità di essere fulminati. La luce e le tenebre sono tutt'uno per Dio, dice il Salmo 139.

Non è così invece nella metafora fra il bene e il male, qui l'impressione è che le tenebre prevalgano e che la vita sia sempre più minacciata, che la sovrappopolazione esponga alla fame gli abitanti della terra, e che la malvagità trionfi continuamente sulla bontà. A leggere le testimonianze del passato, si scopre che questa interpretazione è molto antica e forse fa parte delle paure più ancestrali che ci portiamo appresso. Anche la Bibbia usa queste metafore in questo senso e dunque l'Aurora è l'immagine della salvezza a venire. Tenebre va insieme a ombra di morte, i nostri passi ora si perdono nelle tenebre e in ombra di morte, ma devono esser volti verso la via della pace.

Nella visione del mondo dell'antichità era il sole a girare intorno alla terra, dunque a prevalere sulle tenebre; è l'Aurora che visita, è il sole che si leva in oriente, come uno sposo dal letto nuziale. L'oriente appare a volte come orizzonte lontano forse minaccioso, a volte come lato decisamente positivo per questo sorgere della luce; è citato in questo senso nel racconto dei Magi, per i quali è importante l'aver visto una stella e l'interrogazione dei fenomeni naturali per comprendere la storia contemporanea. La stella comparsa in oriente induce degli sconosciuti a mettersi in viaggio, a spendere denaro, fatica, persone alla ricerca di un senso alla storia della salvezza. La salvezza viene dalla casa di Davide e corrisponde alle promesse antiche che ora si realizzano. Ma non per il solo Israele. Il popolo di Dio è lo strumento della rivelazione di Dio nel mondo, ma essa va al di là, perché riguarda tutti i popoli. Dall'Oriente una visita, dei doni, la scoperta di un messaggio che vale per tutto il mondo.

La nostra storia ci ha insegnato a non fidarci dell'Oriente, perché sembra non venire nulla di buono dai Balcani in poi, man mano che si procede dal Vicino e poi dal lontano Oriente, ma comprendiamo che sono le nostre paure che parlano, perché per ognuno ci sarà sempre un oriente sconosciuto dal quale verranno persone ansiose di conoscerne altre, di imparare un modo di vita, di apprendere la salvezza. In realtà dovremmo temere i popoli se sono fermi e chiusi entro mura reali o ideologiche che sono spesso mortali e foriere di grandi inimicizie. Se invece qualcuno ci visita, è perché si interessa a noi o a qualcuno più grande di noi, di cui ci sentiamo testimoni. Finché c'è visita c'è dialogo, commercio, scambio, conoscenza da fare e ricevere.

Nel nostro testo l'altra parola importante è quella per visita, che è la parola più tardi usata per il vescovo (episcopein); è anche quella usata per Gesù quando entra in Gerusalemme. Significa guardare con attenzione, sorvegliare, conoscere per ordinare, avere uno sguardo d'insieme. E' diverso dal guardare una cosa staccata dal contesto, qui si tratta di interpretare la storia e dire cosa è la salvezza, dunque comprendere l'intreccio dei fatti e delle responsabilità per indicarle e per portare i nostri passi sulla via della pace. La guerra, l'inimicizia, il sospetto sono opere delle tenebre: oggi va ribadito più forte del

solito, ma va detto che sono le nostre opere e le nostre difficoltà a rapportarci con gli altri. Non gli altri sono tenebre Non solo gli altri sono terrore per noi, ma noi lo siamo per loro. Ci piacerebbe sentirci i salvatori, i detentori della vera civiltà alla quale tutto il mondo dovrebbe aderire, ma siamo pieni di sospetto se dal nostro oriente (vicino o lontano) qualcuno viene per dividere con noi lavoro e ricchezze.

In fondo si viene dove si suppone sia la salvezza: è un riconoscimento e una domanda d'aiuto al tempo stesso: fino a quando si viaggia si può conoscere il diverso, si vedono i propri limiti, si impara ciò che può migliorarci. Viviamo nell'ambiguità fra luce e ombra, più spesso immersi nell'ombra, ma riconoscendo di esser stati visitati dalla luce. Gesù il Messia ha tracciato il suo cono di luce nel quale possiamo collocarci quando comprendiamo di esser stati visitati; la sua luce risplende nelle nostre tenebre e le mette in fuga temporaneamente, in attesa che divenga giorno per tutti. Cos'altro è la nostra vita se non riconoscere e additare dov'è l'alba? Anche noi come dice il salmo siamo sentinelle dell'alba.

 

IL MISTERO DEL MALE

INTRODUZIONE

di Paolo Ricca

(Conferenza tenuta al Centro Culturale Protestante di Firenze il 25.10.03)

 

“Il mistero del male” è il titolo di questa conferenza che cercherò di svolgere in tre tempi, o parti, intitolate così:

1. Che senso ha occuparsi di questo mistero?

2. Il mistero del male e il mistero di Dio.

3. Un sentiero attraverso il mistero.

I

Che senso ha occuparsi di questo mistero? Un mistero è per definizione, qualcosa di incomprensibile per l’intelletto umano, quindi occuparsene può sembrare ozioso e inconcludente – tanto più che su questo mistero l’umanità riflette, si può dire, dall’inizio della sua storia senza venirne a capo. Dopo millenni di studio e riflessioni sul problema, esso ha mantenuto per intero il sua carattere enigmatico, indecifrabile, impenetrabile. E lo manterrà fino alla fine dei tempi. Perciò noi non pretendiamo, con il ciclo che il nostro Centro ha pianificato e di cui questa conferenza è una introduzione, di spiegare il male; non pretendiamo, cioè, di chiarire il mistero. Il nostro intento è molto più modesto ma ugualmente importante.

 

Il fatto che il male sia, in fin dei conti, inspiegabile, e resti tale malgrado l’incessante arrovellarsi dell’uomo intorno a questo enigma, non vanifica lo sforzo di esplorare « il mistero del male», di conoscere e valutare, almeno per sommi capi, i principali tentativi di spiegazione che sin qui l’umanità si è data. Anche in questo caso, infatti, la ricerca della verità non è meno importante della

verità stessa, e soprattutto, al termine di questa ricerca, di scegliere il modo che ci sembrerà più appropriato di affrontare il male che in tante maniere diverse e a tanti livelli diversi ci circonda, per non dire che ci assedia. Ecco dunque il senso della nostra esplorazione, non la pretesa di spiegare un mistero insondabile e inspiegabile, ma la ricerca del modo migliore di fronteggiarlo. In altri termini, il male non lo possiamo spiegare, lo possiamo, però, interpretare. E a seconda dell’interpretazione che ne diamo, cambierà il nostro modo di fronteggiarlo, che può essere – come si sa – diversissimo, secondo una gamma molto differenziata di possibilità, che va dalla rassegnazione supina alla resistenza attiva e persino alla rivolta aperta, passando per quella prospettata e vissuta, tra gli altri, da Dietrich Bonhoeffer e riassunta nella formula programmatica “Resistenza e Resa”.

 

Se questo è il senso della nostra esplorazione (non spiegare ma imparare a fronteggiare), conviene ancora indicare le ragioni principali che le motivano. Queste ragioni sono almeno tre:

1. La prima è che il male è un fenomeno universale, presente in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni civiltà; da quelle più primitive a quelle più evolute, in tutte le culture, in tutte le latitudini e in tutte le fasi della storia umana, in tutti i popoli di tutte le razze, in tutti i contesti religiosi, senza eccezioni.

L’universalità del fenomeno risulta dal suo carattere pervasivo; esso compare in tutti gli ambiti dell’esperienza umana, personale e collettiva, ma compare anche nei rapporti tra gli animali (dove vige il principio crudele mors tua, vita mea “la tua morte è la mia vita”, che del resto regola anche il rapporto tra gli esseri umani e gli animali e, in generale, nella natura. Il grande filosofo tedesco Leibnitz (1646-1716), che più di molti altri ha riflettuto sul nostro tema, distingueva tre tipi di male: il male fisico, il male morale, il male metafisico. Noi possiamo aggiungerne altri: il male sociale, il male psichico, il male spirituale, (il prof. Marco Vannini di Firenze ha pubblicato da poco un libro dal titolo inquietante: La morte dell’anima) e si potrebbe continuare, spaziando dalla politica all’economia, dall’uso della scienza all’ecologia, e così via. Proprio a motivo di questa pervasività del fenomeno, non è possibile vivere senza imbattersi in esso, e non ci si può imbattere in esso senza doversi confrontare con esso.

 

Vivere come uomini e come donne significa anche e necessariamente, dall’infanzia alla vecchiaia, in ogni contesto culturale e religioso, misurarsi con il male, secondo l’antica parola del libro del Deuteronomio, nella quale Dio dichiara al suo popolo: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, onde tu viva” (30,19).

Ma proprio quando ci troviamo nella posizione qui – per così dire – fotografata “noi davanti al male”, ci accorgiamo, più o meno distintamente, che il male non è solo davanti a noi, ma anche dentro di noi, se non altro nel senso che in qualche modo ci sollecita, ci invita, forse ci affascina, siamo un suo possibile partner, un suo possibile complice. Il male trova facilmente (anche se non necessariamente) un’eco in noi, fino a questo punto è pervasivo. Per questo è ineludibile. Non lo possiamo né ignorare né scavalcare, lo dobbiamo affrontare. Questa è la prima ragione per la quale lo affrontiamo anche sul piano della riflessione., con questo ciclo di conferenze.

 

2. Proprio per la sua universalità e pervasività, cioè proprio perché ci imbattiamo continuamente in esso e non possiamo eluderlo, il male si è da sempre imposto all’umanità come “il problema dei problemi”.(1) Dal momento in cui l’umanità ha preso coscienza di sé e della sua condizione nel mondo, cioè dagli albori della sua storia come soggetto consapevole e pensante, il male è stato oggetto di infinite investigazioni da parte sua, sia in campo filosofico, sia in campo religioso. Filosofia e religione si cimentano nel tentativo di spiegare l’origine del male ma anche, e soprattutto, di offrire i mezzi per vincerlo o quanto meno per convivere con esso.

Facciamo un paio di esempi, uno in ambito filosofico, l’altro in campo religioso. Tra i filosofi possiamo ricordare Epicuro (341-270 a.C.) vissuto ad Atene e morto, per un probabile tumore alla vescica tra molte sofferenze, che egli, con la sua dottrina, sopportò con ammirevole serenità. Epicuro concepiva la filosofia come liberazione dalla paura, che è il male più grande e che avvelena l’anima umana. Si noti la straordinaria modernità del suo pensiero! “vano è il discorso che non medichi qualche sofferenza umana, e come l’arte medica a nulla giova se non ci libera dalle malattie corporee, così neppure la filosofia, se non ci libera dai mali dell’animo”.(2) E quali sono i mali dell’anima? Sono la superstizione religiosa, la credenza nell’aldilà, la paura degli dèi e il suo riflesso nella nostra esistenza, che è la paura della morte. E’ questa paura che inquina l’animo umano, suscita angoscia, e, con essa, tutti i guai e gli affanni dell’uomo. La filosofia deve liberare l’uomo da queste paure e da queste angosce. In che modo? Invitando l’uomo a limitarsi a quello che può realmente conoscere, il mondo fisico e sé stesso, dimenticando completamente la realtà soprannaturale di cui nulla veramente sappiamo e di cui nulla di certo possiamo dire. La filosofia, liberandoci dal pensiero dell’aldilà, “mette in condizione di godere della mortalità della vita, come quella che non aggiunge un tempo infinito ma toglie la brama dell’immortalità”.(3) La saggezza, e quindi la serenità, è accettare il limite, concentrarsi sull’aldiqua, studiarlo a fondo, capirne la natura ascoltando “la voce delle cose”. Tutta la realtà è fatta di atomi, anche le realtà spirituali come l’anima sono fatte di atomi come il corpo, solo si tratta di atomi più fini, più sottili. L’uomo è un aggregato di atomi, la morte ne è la dissoluzione, ma in realtà è solo la transizione ad altri aggregati. La morte, di cui abbiamo tanta paura, non è che il passaggio da una forma di vita ad altre forme di vita. “Il male che più fa rabbrividire, ed è la morte, non è dunque nulla per noi, perché quando noi siamo non c’è la morte, e quando c’è la morte, noi allora non siamo… I più ora fuggono la morte come il massimo dei mali, ora la cercano come rimedio ai mali della vita. Il saggio, al contrario, non rifiuta il vivere né teme che il non vivere sia un male”.(4) Ecco un esempio classico di “consolazione filosofica” di fronte al problema del male: il male è la falsa coscienza (almeno in termini moderni) creata dalla religione intesa come superstizione, che distrae l’uomo dal suo compito di liberarsi dalle “favole dei miti”, dunque di demitizzare la realtà affrontandola razionalmente e scientificamente, ascoltando “la voce delle cose”. Mentre la religione produce paura, la filosofia dona serenità.

Il secondo esempio, questa volta religioso, di spiegare il male, in questo caso la sofferenza, e quindi di indicare il modo di affrontarla, è la dottrina della trasmigrazione delle anime collegata alla legge del Karma che fa la sua prima apparizione nelle Upanisad che rappresentano l’argomento di vari pensatori e di varie scuole, lungo un periodo di vari secoli.

La dottrina della trasmigrazione delle anime, che occupa tanta parte delle religioni dell’India, esiste in tante versioni diverse e non intendiamo qui addentrarci in questa complicata questione. Intendiamo invece mettere in luce il suo significato come tentativo di spiegare la sofferenza. Si legge nelle Upanisad: “l’uomo è fatto interamente di desiderio – quale è il suo desiderio, tale è la sua penetrazione intellettuale; quale è la penetrazione intellettuale, tali sono le sue azioni (Karman); quali sono le sue azioni, tale è il suo destino”. (5) L’idea fondamentale è quella del nesso di causalità: ogni nostra azione ha degli effetti, positivi se l’azione è buona, negativi se l’azione è malvagia. La casta, il sesso, la condizione e la fortuna oppure le disgrazie di ciascun uomo sono determinate dalle sue azioni della vita anteriore.

“Quali sono le sue azioni, tale è il suo destino”. Ma una sola esistenza non basta a contenere gli effetti di tutte le nostre azioni. Molti di questi effetti si prolungano in esistenze successive nelle quali si subiscono le conseguenze delle proprie azioni passate. Nelle varie reincarnazioni l’uomo espia il male che ha fatto, e così si spiega la sofferenza: è la conseguenza necessaria, e in questo senso giusta, di azioni commesse in una vita precedente. Essa va dunque accettata, sia perché è meritata, sia perché è la via necessaria di purificazione. Due spiegazioni, quella di Eraclito e delle Upanisad, profondamente diverse, che danno luogo ad atteggiamenti e comportamenti altrettanto diversi – comunque due spiegazioni o tentativi di spiegazione, a riprova del fatto che non ci si può esimere, in presenza del male,

dal prendere posizione.

3. C’è infine una terza ragione che motiva lo nostra investigazione, ed è interna al cristianesimo. Basta menzionarla, non c’è bisogno di commentarla. E’ il fatto del Golgotha, tre morti violente, tre vite stroncate, tre interminabili agonie: il male, potremmo dire, dà spettacolo, esso entra a viva forza nel cuore stesso della fede cristiana. Non sappiamo degli altri due condannati a morte se fossero realmente colpevoli oppure no. Sappiamo che Gesù non era colpevole, perciò la sua condanna è doppiamente iniqua. Ma sappiamo anche che quell’innocente, nel quale neppure Pilato aveva trovato colpa alcuna, “si era caricato dei nostri dolori… è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su di lui, e per le sue lividure noi abbiamo guarigione” (Isaia 53, 4-5). In quell’innocente crocifisso si addensa tutto il male del mondo, non per essere ostentato ma per essere cancellato. “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Giovanni 1, 29). Il mistero del male, per quanto insondabile e per quanto inspiegabile, è intimamente collegato con il centro della fede cristiana. Un cristiano non ha bisogno di contemplare il mondo e lo spettacolo desolante che offre ogni giorno, per confrontarsi con il male; basta che contempli la croce. Lì il cristiano scopre il mistero del male, prima e meglio che nella storia quotidiana del mondo. Ecco perché non possiamo non affrontare questo problema: non solo perché ci assedia da tutti i lati; non solo perché, pur sapendo di non poterlo risolvere, non possiamo né ignorarlo né scavalcarlo, quasi congenito com’è con l’esperienza umana individuale e collettiva; ma anche perché lo ritroviamo nel cuore stesso della fede cristiana, in quella croce nella quale il male viene cancellato affinché esso non eserciti più il suo fascino su di noi, non ci seduca più, non regni sull’umanità.. Affrontando il problema del male noi non ci allontaniamo né da Dio né dalla fede in Dio ma, al contrario, ci avviciniamo a entrambi. Ecco dunque le tre ragioni principali per cui vale la pena, anzi è doveroso affrontare questo tema, così centrale nell’esperienza umana e così rilevante per la fede cristiana.

 

 

II

 

Accenno brevissimamente alla seconda parte di questa esposizione: “Il mistero del male e il mistero di Dio” perché essa sarà trattata a fondo in una conferenza specifica del prof. Fulvio Ferrario, prevista per il 13 marzo dell’anno prossimo e interamente dedicata al problema del male dal punto di vista teologico. Qui desidero mettere in luce due soli aspetti della questione. Il primo è la teoria molto diffusa secondo la quale l’idea di Dio e di un aldilà sarebbe stata inventata proprio per dare una risposta, altrimenti impossibile, alla esperienza e alla esistenza del male. E’ la teoria di quello che Nietzsche ha chiamato “lo specchio trasfigurato” (6) l’Olimpo eternamente felice escogitato per sopportare le miserie di questa vita con le sue innumerevoli sofferenze piccole e grandi. il “cielo” inventato (e popolato) per rendere sopportabile la vita sulla terra. E’ un fatto che l’Olimpo sia una creazione greca, così come nessun popolo come quello greco antico ha saputo leggere e descrivere l’esistenza umana come tragedia. (si pensi a Prometeo, l’amico dell’uomo, condannato a un supplizio infinito, e al destino infausto del savio Edipo, che risolve l’enigma della sfinge, ma al tempo stesso non riesce a venire a capo all’enigma dell’esistenza per il quale egli diventa, pur senza saperlo e senza volerlo, uccisore del padre e marito della madre). Nessun popolo come quello greco antico ha conosciuto e riconosciuto gli errori e gli orrori e i tesori dell’esistenza umana. Ed è questo popolo che ha inventato l’Olimpo, lo specchio trasfiguratore, l’aldilà felice, come risarcimento per l’aldiqua infelice, l’aldilà riparatore di tutte le ingiustizie commesse e impunite nell’aldiqua, l’aldilà compensazione per tutto ciò che in questa vita e in questo mondo è sbagliato, non riuscito, fallito, rovinato, perduto.

Ecco, questa teoria del grande “specchio trasfiguratore” – l’Olimpo, l’aldilà, Dio inventato come risorsa estrema, come ultimo rifugio, come via d’uscita nei confronti del male che inquina e corrompe il mondo, la vita e l’anima dell’uomo, benché a prima vista sia molto convincente, a un esame più accurato si rivela priva di fondamento. E’ sicuramente vero che molta religione abbia il carattere ora descritto, e pensi all’aldilà nei termini di risarcimento, riparazione e compensazione per l’aldiqua. Ma l’idea di Dio e la fede in Dio non sciolgono il nodo costituito dall’esistenza del male ma al contrario lo stringono ulteriormente, non semplificano il problema ma al contrario lo complicano ancora di più, non allentano la contraddizione ma, al contrario l’aumentano, non offrono una risposta ma semmai esasperano la domanda. Se veramente Dio fosse stato inventato per rispondere all’esistenza e all’esperienza del male, ci sarebbero molti più credenti di quanti non ce ne siano. In realtà, almeno secondo la storia biblica, la fede in Dio non nasce dall’esperienza del male ma dall’incontro con una Parola, da una chiamata che ci è rivolta, e sussiste e resiste – questa fede – in virtù di quella Parola, malgrado le sofferenze, le sventure, le miserie, i mali, che anche il credente deve subire. Il mistero del male non spiega il mistero di Dio, né il mistero di Dio risolve il mistero del male. Piuttosto il mistero di Dio si pone come contraddizione del mistero del male.

Questo ci porta alla seconda considerazione di questa seconda parte, che riprendo da una conferenza, diventata giustamente famosa, di Hans Jonas, intitolata il problema di Dio dopo Auschwitz. Auschwitz è diventato il nome simbolo del male assoluto, del Male con la maiuscola, e Hans Jonas è un ebreo, membro di quel popolo del quale Dio dice “chi tocca voi tocca la pupilla dell’occhio mio” (Zaccaria 2,8) e che ad Auschwitz doveva essere interamente annientato. Jonas dice tradizionalmente “. Dopo i due attributi fondamentali di Dio secondo la fede biblica sono la bontà e l’onnipotenza”. Il Dio d’Israele è onnipotente e buono, è il Re dei re e il Signore dei signori, ed è lento all’ira e di gran benignità. Ora però, dopo Auschwitz , secondo Jonas, questo abbinamento di bontà e onnipotenza non regge più. Auschwitz dimostra o che Dio è buono ma non è onnipotente (altrimenti non avrebbe permesso la distruzione di sei milioni di innocenti) oppure che Dio è onnipotente ma non è buono (e quindi, non essendo buono, ha potuto permettere lo scempio di Auschwitz – cosa che solo un Essere moralmente insensibile poteva sopportare). Jonas fa la sua scelta: egli opta per un Dio buono ma non onnipotente.

In effetti c’è stata, nella seconda metà del secolo scorso una abbondante letteratura teologica che ruotava intorno alla “impotenza di Dio”, un Dio cioè la cui divinità si manifesta di più nel simpatizzare con chi soffre che nel fronteggiare e sconfiggere il male.

Dio sembra sconfitto dal male, almeno provvisoriamente. La divinità viene declinata sul registro non della potenza, ma della compassione, del com-patire. Il divino non è onnipotente, è compassionevole. Non è qui il luogo di discutere questo punto di vista. Volevo però segnalarlo perché illustra bene fino a che punto può giungere la tensione tra il mistero del male e il mistero di Dio: Auschwitz riesce addirittura a ledere l’integrità della concezione di Dio, per cui essa non è più la stessa di prima; Auschwitz riesce a ferire così profondamente la fede in Dio da modificarla sensibilmente, così che anch’essa non è più la stessa di prima. Abbiamo detto sopra che la fede in Dio non nasce dall’esperienza del male. Ora però dobbiamo aggiungere che, almeno secondo Jonas, l’esperienza del male può modificare la fede – e quale fede! quella ebraica! - in Dio, può rimodellarla, non necessariamente depotenziarla, o debilitarla, ma sicuramente riqualificarla. Questa è una ulteriore riprova della grande complessità del rapporto tra il mistero del male e il mistero di Dio.

 

III

 

Siamo così giunti alla terza e ultima tappa del nostro itinerario intitolato: “Un sentiero attraverso il mistero”. Percorrerlo significa naturalmente prendere posizione, e prendere posizione significa scegliere, e scegliere significa scartare delle posizioni che altri sostengono. Ogni scelta è discutibile, tanto più quando avviene intorno a una realtà così misteriosa ed enigmatica come il male. Pertanto, ciò che sto per dire si presta più di quanto ho detto sin qui ai vostri rilievi critici e, comunque, alla vostra discussione. Dirò quello che, secondo me, il male non è e, in seguito, quello che è. Sempre introducendo le questioni, senza poterle trattare:

 

1. Quel che il male non è: Darò quattro risposte a questo interrogativo.

[a] non è la realtà, non coincide con l’essere, con la vita, con l’esistenza. Per illustrare questa posizione si può raccontare la favola antica del re Mida, che inseguì a lungo nella foresta il savio Sileno, il compagno di Dioniso, senza poterlo prendere. Quando finalmente gli cadde nelle mani, il re gli domandò quale fosse per gli uomini la cosa migliore e la più eccellente di tutte. Il demone taceva, rigido e immobile; finché sforzato dal re, ruppe in un riso sibilante con queste parole: “Stirpe misera e caduca, figlia del caso e dell’ansia, perché mi costringi a dirti ciò che è per te il meno profittevole a udire? Ciò che è per te la cosa migliore di tutte, ti è del tutto irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma dopo questa cosa impossibile, ecco qual’è quella migliore: “morire subito”. (7) C’è tutta una linea, filosofica e religiosa, che identifica il male con la vita stessa, con la realtà creata che trascina la sua esistenza precaria e provvisoria in attesa di essere annientata dalla morte. Se è vero che l’essere è un “essere per la morte” (Sein zum Tode) come dice Heidegger (8), allora è un essere già ora attraversato dal non-essere, un essere apparente perché minato dalla sua negazione, che non gli sta di fronte ma dentro.

Analogamente, quella che noi denominiamo vita in realtà è morte rivestita di apparenze vitali, che presto lasciano il posto alla realtà della morte che ad esse soggiace. In questo quadro, il suicidio non è più soltanto un problema personale o sociale, ma diventa un problema filosofico di prima grandezza. Sul piano religioso si può evocare il nome di Marcione e, più in generale, dello gnosticismo cristiano e non cristiano, secondo cui il male è il mondo creato e la salvezza consiste in una emigrazione fuori del mondo verso quel “totalmente altro” che è Dio. La redenzione non è redenzione della creazione, ma dalla creazione. Ecco io non credo che il male coincida con la realtà, con la vita, con l’esistenza, non credo che la cosa migliore sarebbe non essere nato (anche se comprendiamo il lamento rabbioso di Geremia: “Maledetto sia il giorno ch’io nacqui…Perché sono io uscito dal seno materno per vedere tormento e dolore, e per finire i miei giorni nella vergogna?” 20, 14.18, oppure il lamento accorato di Giobbe: “Perché dai la luce all’infelice, e la vita a chi ha l’animo nell’amarezza, i quali aspettano la morte che non viene, e la ricercano più che i tesori nascosti…ed esulterebbero se trovassero una tomba” 3,20-22)

Malgrado la serietà e gravità agghiacciante di queste parole bibliche, credo che la vita, per quanto infelice e tormentata possa essere, non sia un male, così pure il mondo, il creato, l’essere. Il male non è la realtà, è una realtà

[b] Il male non è una illusione, una nostra idea che non corrisponde a nessuna realtà oggettiva. Il male è semplicemente ASSENZA DI BENE, “privatio boni”, come diceva sant’Agostino – dunque uno dei maggiori teologi cristiani di tutti i tempi. La menzogna non esiste, esiste soltanto l’assenza di verità. La malattia non esiste, esiste soltanto l’assenza di salute. L’odio non esiste, esiste soltanto l’assenza di amore. Le tenebre non esistono, esiste soltanto l’assenza di vita. Il peccato non esiste, esiste soltanto l’assenza di virtù. La stessa morte non esiste, esiste soltanto il passaggio da una forma di vita a un’altra. Non si tratta, come si potrebbe pensare, di un gioco di parole o di un’acrobazia intellettuale. Si tratta di una concezione del mondo e della vita che si sforza di valorizzare al massimo il bene, che pure è presente nella vita e nell’uomo, tanto da rendere inconsistente il male, fino a negarne la realtà. Anche questa linea ha illustri rappresentanti sia in campo filosofico (Plotino, Spinoza, Leibnitz) sia in campo religioso (vari culti orientali e, in ambito cristiano, la Christian Science). Io credo che il male non sia solo privatio boni ma contestazione, negazione, rifiuto, opposizione al bene.

[c] Il male non è l’elemento di contrasto necessario alla dialettica dell’essere, visto come divenire. Senza il male non ci sarebbe il bene, senza l’ingiustizia non ci sarebbe la giustizia, e così via: sono i due poli della realtà, entrambi necessari, come occorrono il polo positivo e quello negativo perché, messi in contatto uno con l’altro, scocchi la scintilla. Quello che noi chiamiamo male, e che sperimentiamo come tale, in realtà è la condizione stessa del bene. La Bibbia considera negativamente la disubbidienza di Adamo facendone addirittura il peccato originale e il prototipo di tutti i peccati, mentre in realtà esso è un momento decisivo di emancipazione, la nascita nell’uomo della sua autonomia, la transizione quindi dallo stato animale a quello propriamente umano. Il male (o meglio quello che noi chiamiamo “male”, è indissolubilmente legato e unito al bene e non può né deve esserne separato. Anche questa posizione ha molti e illustri sostenitori in campo filosofico, da Eraclito, vissuto a Efeso tra il VI e il V secolo a. C. a Hegel (1770-1831) e religioso (anche qui soprattutto nelle religioni orientali). Io credo che il male non sia semplicemente l’altra faccia, quella oscura, della luna; che esso non sia costitutivo della realtà (anche se esiste, senza dubbio, una dialettica del divenire nella quale sono in gioco forze positive e forze negative), ma che sia disgregativo della realtà, intrusivo in essa, secondo la suggestiva simbologia biblica del serpente, l’animale con gli occhi sempre aperti ma anche colui che facilmente si insinua, si estromette come qualcosa di estraneo.

[d] Infine, il male non è un bene: “guai a quelli che chiamano bene il male e male il bene” dice il profeta Isaia (5,20). Tra questi vi sono in particolare coloro che in vario modo cercano di razionalizzare il male, attribuendogli una funzione positiva. Le posizioni più frequenti sono – mi pare – queste:

1 – Il male, soprattutto la sofferenza, come forza espiatrice. Si potrebbe esemplificare con molti esempi, tratti sia dalla tragedia greca, sia dalla attualità religiosa, specialmente cattolica.

2 – Il male, soprattutto la sofferenza, come forza conoscitiva. Eschilo: “il destino ha aperto agli uomini la via della sapienza, dando loro come legge soffrire per comprendere”. (Agamennone v. 176)

3 – Il male come forza educatrice: la sofferenza come scuola di vita, come disciplina per crescere e progredire verso il Bene. Io penso che c’è del vero in tutte queste posizioni, nel senso della parola biblica, che Dio può trarre del bene dal male. Questo può effettivamente accadere in molti modi, ma questo non significa che il male sia bene. Il male è male e resta tale, anche se in tante circostanze e situazioni è vero che se ne può trarre del bene.

Che cosa è il male? Due caratteristiche soltanto. La prima è che il male raramente appare come male o solo come male o anzitutto come male. Nel racconto della Genesi appare come Bene: diventerete intelligenti. La caratteristica del male è mascherarsi e sovente, di mascherarsi come bene. La seconda caratteristica è di essere una forza negativa e distruttrice, una forza sovrumana che l’uomo non può vincere. Forse per questo non la può spiegare: perché è più grande di lui.

Note

 

1) H. Reverdin, Le problème du mal, in “Revue de Théologie et Philosophie” XXXVI (1948), p.132, citato da V. Subilia, Il problema del male, Claudiana, Torre Pellice 1959, p.9.

 

2) Per tutto il discorso su Epicuro mi sono servito di Adorno-Verra, Svegary, Storia della filosofia, Laterza, Bari-Roma, I, 200 s.

 

3) Epicuro, Lettera a Menecco, in Epicuro, Scritti morali, BUR, Milano 2001 (8°), p.53 (Frammento 124).

 

) Ivi, Frammento 125 e 126.

 

5) Giorgio Foot Moore, Storia delle religioni, I, Laterza, Bari 1929 (2°) (1° ed. 1922), p.145.

 

6) F. Nietzsche, La nascita della tragedia ovvero Grecità e pessimismo, Laterza, Bari 1971, p.58 Piccola Biblioteca Filosofica 24.

 

7) F. Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., p.57

 

8) Cit. da Subilia, Il problema del male, cit. p.42 s.

 

Settimana Ecumenica

gennaio 2004

(dal 18 al 25 gennaio 2004)

Segnaliamo una bozza di programma che deve ancora esser messa a punto:

Tema: “Io vi lascio la mia pace”

(Gv. 14, 23-31)

 

giovedì 15 gennaio presso la Sala Comunitaria di v. Manzoni, alle 18.30

incontro col rav Joseph Levi.

venerdì 16 gennaio alle 18 incontro con studenti della comunità islamica al Centro “La Pira” Sala Teatina (via de’ Pescioni 3)

domenica 18 gennaio presso la Chiesa Valdese, Via Micheli

Culto di apertura della settimana

lunedì 19 gennaio Sala Stensen, v.le Don Minzoni 25 A

proiezione e discussione del film “Monsieur

Ibrahim e i fiori del Corano”

mercoledì 21 gennaio ore 17 Incontro presso la Sala Luterana (Via de’ Bardi 20; ore 19 presso la Chiesa Americana (Via Rucellai 8) Serata giovani, con cena e dibattito.

giovedì 22 gennaio ore 18 nella Chiesa cattolica della “Sacra Fami glia” (Via Gioberti 33) incontro con messaggi del card. E. Antonelli, p. G. Blatinski, past. B. Rostagno.

sabato 24 gennaio Veglia ecumenica di preghiera presso la Chiesa Batti sta (Borgo Ognissanti 6)

 

 

XIII ASSEMBLEA F.C.E.I.

di Raffaele Florio

 

Sul versetto “nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno cerchi quello degli altri (I Corinzi, 10, 24) si è svolta a Torre Pellice (TO) dal 30 ottobre al 2 novembre 2003 la XIII Assemblea della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (F.C.E.I.).

Hanno portato il loro saluto il vescovo di Pinerolo Piergiorgio De Bernardi, rappresentanti della Arcidiocesi Ortodossa d’Italia, il rappresentante della Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOOI) Mohamed Nour Dachan, la Presidente del SAE Elena Milazzo Covini , rappresentanti della Conferenza delle Chiese Europee (KEC) e del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), e di numerose chiese evangeliche italiane ed estere.

Il lavoro assembleare, preceduto dal culto di apertura tenuto dal pastore luterano Alberto Saggese (predicazione del pastore Holger Milkau) e concluso dal culto nel tempio di Torre Pellice dal pastore Claudio Pasquet, è stato svolto per gruppi i cui elaborati sono stati successivamente discussi in plenaria.

Riportiamo una sintesi degli argomenti di particolare rilevanza discussi in Assemblea.

 

Ecumenismo e dialogo interreligioso

E’ stato auspicato l’avvio di una riflessione sulla convocazione del 3° Congresso Evangelico Italiano, allo scopo di confrontarsi tra le realtà evangeliche presenti in Italia e per rendere una testimonianza comune.

Sono stati valutati positivamente i rapporti in corso col cattolicesimo e con l’ebraismo, mentre sono stati sollecitati maggiori contatti con le chiese ortodosse presenti in Italia, sia per favorire la conoscenza reciproca che per concordare impegni diaconali comuni. E’stato sollecitato il dialogo con le realtà del mondo musulmano italiano a partire dalle situazioni locali e dalla adesione alla giornata del dialogo cristiano-islamico del 21 novembre 2003. E’ stata, infine, auspicata la promozione di un impegno comune tra le Chiese federate e le altre chiese cristiane al fine di favorire la riconciliazione e la pace tra i popoli e le religioni nell’area del Mediterraneo.

Rapporti con la società italiana

E’ stato approvato un documento che, a partire dalla definizione di laicità quale metodo di ricerca e definizione di un quadro di regole accettate da tutti per agire nello spazio pubblico senza privilegi, ha auspicato l’impegno per la costruzione di una scuola autenticamente laica e plurale;ha espresso preoccupazione per la riduzione dei finanziamenti delle politiche sociali, per una distorta politica fiscale che avvantaggia categorie già privilegiate. Inoltre, considerata la pervasività delle gerarchie cattoliche nella società e nelle istituzioni, si afferma che il servizio pubblico deve garantire il pluralismo della informazione e una visione corretta di tutte le realtà religiose.

Infine,si ritiene che il progetto di legge sulla libertà religiosa è stato sostanzialmente snaturato e che debba essere ritirato e sostituito con un nuovo progetto che deve ispirarsi ai principi della libertà di coscienza e di religione; e che venga attuato l’art. 8 della Costituzione, a partire dalle Intese le cui trattative sono già avviate.

A tal fine l’Assemblea ha inviato un “Messaggio a quanti hanno responsabilità politiche”, per un compiuto pluralismo religioso, per una politica di accoglienza e di riconoscimento dei diritti degli immigrati, per una convinta iniziativa di pace affinché non prevalga l’idea che la guerra possa servire alla democrazia e perfino alla pace.

Sul problema del Crocefisso l’Assemblea, rilevato che l’esposizione di simboli che richiamano ideologie politiche o fedi religiose nelle sedi istituzionali confligge con il principio

costituzionale della laicità dello stato e produce sentimenti di estraneità, ha rivolto alla CEI e alla Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia un appello per valutare ecumenicamente la materia.

Al termine dei lavori è stato eletto il nuovo Consiglio triennale e confermato alla Presidenza il giurista valdese Gianni Long.

 

 

dai documenti dell’Assemblea:

 

Messaggio a quanti hanno responsabilità politiche

 

“Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno cerchi quello degli altri “(1 Cor. 10,24)

Questo versetto della prima lettera dell’ apostolo Paolo ai cristiani di Corinto ha orientato i lavori della XIII Assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Si tratta di un appello importante per tutti coloro che, a prescindere dalla loro identità confessionale o culturale, hanno responsabilità politiche, di governo o di amministrazione della cosa pubblica.

Per questo, senza alcuna intenzione di interferire nella vostra azione politica, che riconosciamo e rispettiamo nella sua autonomia, vogliamo condividere alcune considerazioni e preoccupazioni sull’etica politica nel nostro paese.

Il vantaggio di tutti si esprime in una società democratica capace di tutelare le minoranze e i diritti dei più deboli e di garantire piena libertà di espressione alle diverse componenti culturali e religiose del paese. La nostra Assemblea esprime viva preoccupazione per la scarsa attenzione di ampi settori della classe politica riguardo a questi temi di grande valore civile. In particolare auspica che in tempi rapidi possano riprendere iniziative politiche e parlamentari che, nello spirito della Costituzione, possano garantire un compiuto pluralismo religioso.

Il vantaggio di tutti si esprime in una politica di accoglienza nei confronti di chi bussa alle nostre porte, spinto dalla situazione di estrema difficoltà in cui versa la maggior parte dei paesi del sud del mondo. Siamo ben consapevoli della complessità di questo problema e della necessità di cercare soluzioni adeguate, in una cornice europea. Tuttavia, siamo profondamente convinti che il nostro benessere non possa coincidere con la sofferenza di altri e che una politica di accoglienza e di riconoscimento dei diritti degli immigrati che vivono in mezzo a noi costituisca un dovere: oltre che per le ragioni della nostra fede, anche per quelle politiche della stabilità, della sicurezza, della cooperazione e della condivisione delle risorse tra paesi ricchi e paesi poveri.

Il vantaggio di tutti, infine, si esprime in una convinta iniziativa di pace. Nell’ultimo decennio l’area mediterranea, nella quale tanta parte ha la politica estera italiana, è stata segnata da gravissimi conflitti che hanno avuto radice anche nello scontro etnico e religioso. Come cristiani siamo chiamati ad essere attivi e creativi facitori di pace: per questo gli evangelici italiani hanno cercato di essere attivi nel campo dell’educazione alla pace, della mediazione dei conflitti, della partecipazione a iniziative di riconciliazione. Ma questo non basta. Alla classe politica, anche a quella italiana, chiediamo infatti un impegno più diretto ed esplicito a salvaguardia della pace: si tratta di investire di più nel campo educativo, nella cooperazione allo sviluppo, nella mediazione diplomatica, nel sostegno alle Nazioni Unite, affinché non prevalga l’idea che la guerra possa servire alla democrazia, alla giustizia e perfino alla pace.

Vi affidiamo queste osservazioni e preoccupazioni perché siete uomini e donne chiamati ad operare per il vantaggio “degli altri”: alcuni di voi sono “ministri”, servono cioè come governanti della cosa pubblica, di una società sempre più complessa ed articolata. Su di voi pesa una grande responsabilità per la quale non dimentichiamo di pregare il Signore. Le chiese evangeliche italiane, radicate nella storia spirituale, culturale e civile del nostro paese, auspicano fortemente che l’etica pubblica, in uno spirito di laicità (cioè di rispetto e di dialogo fra tutte le culture), possa ispirarsi all’idea guida del “vantaggio non per sé ma per gli altri”.

Esposizione del crocefisso

 

L’assemblea... ritiene necessario intervenire nel dibattito culturale e politico relativo all’esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici contribuendo ad affrontare la questione in termini meno emotivi e teologicamente più ponderati, osserva che il crocifisso e la croce richiamando il sacrificio di Cristo e la sua resurrezione, sono simboli che esprimono indiscutibilmente la fede cristiana, rileva che l’esposizione nelle sedi istituzionali e nei luoghi pubblici di simboli che richiamano ideologie politiche o fedi religiose, confligge con il principio di laicità dello Stato, cui è informato l’ordinamento giuridico italiano.

L’uso di tali simboli introduce, peraltro, sia in una parte di coloro che vi si riconoscono, sia in quelli che si sentono esclusi, sentimenti di estraneità che contrastano con la costruzione di una collettività solidale, tesa ad includere tutti coloro che rispettano i fondamentali principi posti alla base della civile convivenza.

Addolora profondamente che, per legittimare l’uso pubblico del crocefisso, strumentalizzandolo a fini di parte, organizzazioni politiche o religiose lo abbiano definito come oggetto di semplice arredamento che richiama meri valori culturali, o addirittura civili.

 

L’Assemblea osserva che, allorché la croce o il crocefisso sono stati usati come strumenti di identificazione nazionale, sociale o politica, ne sono derivati sanguinosi conflitti nei quali, anche in nome di Dio, sono state perpetrate incredibili nefandezze.

In tale contesto, circa la valutazione delle forme appropriate perché la croce o il crocefisso costituiscano effettivo riferimento all’amore di Dio, alla fraternità, all’eguaglianza ed alla dignità delle creature umane, l’Assemblea rivolge vivo appello alla Conferenza Episcopale Italiana ed alla Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia perché si valuti congiuntamente l’opportunità di affrontare la materia nell’ambito di un aperto confronto ecumenico fondato sull’ Evangelo.

 

Il naso tra i libri

Katrine Kressmann Taylor, Senza ritorno, Rizzoli, 2003, 16€

 

Profilo dell’autrice: cenni biografici

Katrine Kressmann Taylor (1903-1997), americana di origine tedesca, studia lettere e giornalismo, ma dopo il matrimonio con un agente pubblicitario si dedica completamente a scrivere. Sconvolta per l’atteggiamento antisemita dei suoi amici tedeschi ed amareggiata per la simpatia che Hitler e la sua filosofia incontrano in larghe fasce della società statunitense, decide di fare qualcosa e cioè di scrivere libri di denuncia del regime nazista.

Il primo libro, Sconosciuto a questo indirizzo, rivela la tragedia dell’olocausto. L’editore lo ritiene “una storia troppo forte per essere stata scritta da una donna” e così, d’accordo con il marito della scrittrice, sopprime il nome Katrine per sostituirlo con il cognome da ragazza che può passare per maschile. Da quel momento la scrittrice si firmerà Kressmann Taylor. Il libro viene pubblicato nel 1938 e viene subito accolto con grande successo.

Nel 1941 viene dato alle stampe il secondo libro, Senza ritorno, ispirato alla storia vera di un giovane pastore luterano fuggito dalla germania nazista e rifugiatosi sotto falso nome negli Stati Uniti. Nel 1940 l’autrice incontra Leopold Wilhelm Bernhard con la mediazione dell’FBI, ne raccoglie le testimonianze, i ricordi, le esperienze drammatiche vissute, le elabora in modo da proteggere il giovane da un eventuale riconoscimento e scrive il libro che grida al mondo i misfatti del nazismo, ma che rivela anche la capacità della Kresmmann di intuire la tragedia che di li a poco coinvolgerà il mondo intero.

Questa scrittrice, rimasta praticamente sconosciuta per sessanta anni, viene oggi riscoperta, rivalutata ed apprezzata grazie all’editore Henry Dougier che iniziò nel 1998 a pubblicare la sua opera. In Italia Rizzoli nel 2000 pubblica Destinatario sconosciuto e, sull’onda del successo registrato, nel Febbraio 2003 esce Senza

ritorno.

K.K.Taylor, insegnante titolare presso l’Università di Gettysburg in Pensylvania, venuta in pensione nel 1966, si trasferisce a Firenze dove vivrà la drammatica esperienza dell’alluvione che descriverà nel suo terzo libro Diary of Florence in Flood .

Senza ritorno

Il libro è preceduto da una introduzione del figlio di K.K. Taylor datata Gennaio 2002 e si chiude con tre brevi capitoli che potrebbero fungere da postfazione: Il vero Karl Hoffmann, Dall’autobiografia incompiuta di Leopold Bernhard e Curriculum vitae di L.Bernhard. Proporrei, per maggior chiarezza, di leggerli prima di iniziare il romanzo perché la vicenda è così coinvolgente, drammatica, pregnante e i vari protagonisti così veri, nitidi, ben costruiti che una volta terminata la lettura è difficile staccarsene per avvicinarsi al personaggio realmente esistito ed accettare l’idea che Karl, Erika, l’anziano pastore Franz siano frutto della fantasia dell’autrice.

Karl, l’io parlante, nasce nel 1912, è figlio di un pastore luterano, vive in un’epoca di grande travaglio per la nazione tedesca, assiste all’ascesa di Hitler, rifiuta senza esitazione la dottrina nazista, si oppone all’avvento e consolidamento di un regime che si impossessa non solo dello stato ma anche delle coscienze, frequenta la facoltà di teologia di Berlino ed è testimone della metamorfosi della chiesa protestante sotto le dure imposizioni dei nazisti, ma assiste anche agli entusiasmi dei tedeschi che vedono in Hitler colui che riscatterà la Germania umiliata dai trattati di pace della seconda guerra mondiale e la renderà forte e potente. Karl parteciperà con convinzione ad ogni tipo di resistenza che alcuni credenti cercano di opporre al dilagare della tirannide nazista e gioirà all’annuncio della costituzione della Chiesa Confessante.

L’autrice si è documentata molto bene su quello che accadeva a quel tempo in Germania.Certo i colloqui con il vero Karl l’avranno illuminata ed informata ampiamente, ma dalla lettura del libro si evince che deve aver fatto un attento lavoro di ricerca. Il libro, aldilà della parte romanzata, è senza dubbio un piccolo ma lucido trattato storiografico. Leggendolo si viene a conoscenza di una infinità di episodi ed avvenimenti realmente accaduti, si hanno notizie sulla Germania di quel tempo, sulle persecuzioni, i soprusi, le violenze fisiche e morali e se ne resta stupiti e sconvolti. È il passato che ci viene incontro e che ci aiuta a completare un mosaico a cui mancavano numerose tessere,

Ma Kressmann Taylor del suo libro ne fa anche un’opera di testimonianza cristiana, di fede vera e profonda ben radicata nello spirito e nella mente. Quel citare sovente la parola di Dio che è proprio della cultura protestante e quel riportare brani di inni cari al cuore di noi tutti ci fa sentire partecipi della vicenda. Sono certa che la lettura di Destinazione sconosciuta gioverà specialmente oggi che siamo così lontani da quei terribili eventi e che ci siamo assopiti ed adagiati nella nostra quotidianità non contrassegnata da timori, angosce, limitazioni ed impedimenti. Siamo persone libere di esprimere le nostre idee, il nostro credo religioso ed anche di dissentire ed obiettare. Ripensando a quel tragico periodo, al dolore ed al sangue che è costato riecheggiano in me le famose parole di Primo Levi: “Voi che vivete sicuri nelle vostre case …”.

Sara Pasqui

 

 

FRIDA MALAN, PARTIGIANA COMBATTENTE

 

Piera Egidi Bouchard, Frida e i suoi fratelli. Il romanzo della famiglia Malan nella Resistenza, prefazione di Alessandro Galante Garrone

“Liberta’ e giustizia” n. 4 – pp. 237 + 29 ill. f.t. – euro 12,50

 

Da ragazza, Piera Egidi incontra l’ex partigiana combattente Frida Malan nel movimento delle donne torinese e, negli anni, il rapporto politico diviene amicizia.

Un’amicizia autentica, che travalica il divario generazionale, avvicinandola alla storia di Frida e della sua straordinaria famiglia pastorale evangelica – i fratelli Roberto e Gustavo, la madre e il ricordo del padre, pastore valdese prematuramente scomparso –, famiglia impegnata, in modi e luoghi diversi, nella lotta di Resistenza in “Giustizia e Liberta’”.

La loro storia si amplia fino a includere quella del popolo valdese, delle sue Valli e della sua Chiesa, della Torino operaia e antifascista fino all’impegno civile e politico della ricostruzione nel dopoguerra, diventando insomma storia di un’epoca.

Tramite interviste, documenti e fotografie, il libro trasforma il rapporto concreto tra due donne in vera e propria narrazione di un percorso di vita, di una soggettivita’ e della sua storia, personale e collettiva, restituendoci un passato troppo prezioso per venire dimenticato.

 

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di Firenze

 

Per i vostri regali di Natale offriamo:

 

libri: Bibbia, Teologia, Storia della chiesa, Riforma, Cattolicesimo, Ebraismo, Islam, Meditazione e Spiritualità, Ecumenismo e dialogo interreligioso, Bibbia ragazzi e famiglie

 

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Giochi per bambini dai 3 anni in poi: puzzle, memory, scacchi, dama, shangai, gioco dell’oca ecc. ecc. a partire dai Euro 6,00

 

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In dicembre, fino a Natale

Apertura domenicale

orari

10:00 – 13:00 / 16:00 – 19:30

Per Informazioni: Tel. 055.28.28.96

libreria Claudiana -Borgo Ognissanti 14/R

 

 

Calendario delle attività

dicembre 2003

 

giovedì 4 Via Manzoni alle 18 Laboratorio Biblico Ecumenico animazioni di Serena Noceti su “Sara e Agar”.

sabato 6 Via Manzoni ore 10: incontro del gruppo ecumenico di preparazione della Giornata Mondiale di Preghiera delle donne. Alle 17: Conferenza del prof. Giorgio Spini su “Storia dell’ Evangelismo Italiano nel primo Novecento” per il Centro “Vermigli”.

sabato 13 Bazar di Amnesty International in v. Manzoni dalle 9 di sabato 13 alle 13 della domenica 14.

venerdì 19 Festa di Natale del Centro Sociale Evangelico in v. Manzoni alle ore 15.30; Festa di Natale del Ferretti alle 16.30 in Via S. Pellico 2.

domenica 21 presso la Chiesa Battista, culto con Festa della Scuola Domenicale, a chiese riunite con agape e canti e recite e giochi nel pomeriggio presso il Gould.

martedì 23 Festa di Natale multietnica in Via Micheli 26, con canti e cori a partire dalle ore 19; Concerto del Coro Coreano alle 19.30; cena con scambio di specialità dalle varie tradizioni nazionali.