La Vita attende

di Manuela Sadun Paggi

A vent’anni lottare è gioco, 
si contesta con le idee,
parolare è semplice,
prevalere è scopo,
non importa la coerenza.
L’impegno è sulla bocca
un abile esercizio dell’intelletto.

A trent’anni ai fatti
ci si attiene, non è più
d’uopo contrastare
convien darsi da fare,
per conformarsi.

A quarant’anni non conviene
manipolare, dominare e separare;
lo scopo è la sintesi e l’unione;
in agguato è la disintegrazione:
l’anima reclama la sua condivisione
alle parole e ai fatti.

A cinquant’anni se non si cammina
sulla via della consapevolezza
alle spalle ci afferra
e ci aggredisce la vecchiezza.


A sessant’anni
O si è vivi o si è zombi.

A settant’anni, se non si vive
nel qui e ora e si batte
il sentiero dei Saggi,
ci si trova congelati
nella preistoria.

Non c’è età per chi vive
ogni giorno come
un giorno nuovo.
Andare dove
porta il cuore pensante
e non dove l’intelletto ci travia,
con la sua bramosia.

Nascere alla Vita è
il grande disegno che
sempre, tutti attende.

(da “Guarire le ferite” , EMI 2005 p.49-50)

 

Giona

di Henning Goeden

La parola del Signore fu rivolta a Giona, figlio di Amittai (1,1), così comincia la nostra narrazione, “alzati, vai a Ninive…e proclama contro di lei…ma Giona si mise in viaggio per fuggire a Tarsis. “Giona” significa “colomba”; deve andare a Ninive, vuole andare a Tarsis; uno spirito insicuro, insomma, eppure è “il figlio della fedeltà di Dio”, perché questo significa il nome del padre, Amittai.

Il dovere ed il volere vanno spesso per strade diverse.

Giona fugge (“verso il basso” suggerisce la parola ebraica JRD) giù al prossimo porto. Giù verso una nave: il fuggire da Dio e dal compito che Lui ha assegnato è sempre un andare verso il basso. Giona paga il prezzo prima per una qualunque località, poi verso Tarsis. L’importante è togliersi al più presto di mezzo (Tarsis è una località al sud della costa spagnola). Solo: la cosa non funziona.

Dio si serve della sua creazione e ordina un “grande vento”.Le “navi di Tarsis” (espressione tecnica per indicare un preciso tipo di imbarcazione) sono navi da altura. Sulla costa nord della Germania le comunità evangeliche hanno un soprannome: “Navicelle di Cristo”. Le nostre comunità sono capaci di navigare in altura? A quale tempesta, a quale rovescio possono resistere? Che succede sul ponte? Sono sempre gli stessi che comandano? E come ci si comporta con i nuovi a bordo? Le comunità, come gli equipaggi delle navi, sono circoli a numero chiuso? Attenzione che i nuovi non caschino fuori bordo! Ed il carico? Il peso è disposto in modo equilibrato? Altrimenti la nave si inclina su un lato! Che cosa si può gettare, come zavorra, fuori bordo?

Nel nostro racconto si butta parecchio (ebr.: TWL). Per cui anche nelle nostre comunità si può almeno provare a gettare qualcosa . Dopo che Dio ha “scaricato” la tempesta sul mare, i marinai scaricano, inutilmente, il carico fuori bordo; solo dopo che Giona ha confessato di essere lui il colpevole e chiede di scaricare lui in mare, il mare si calma.

Ma le onde sono ancora sferzanti, i marinai hanno paura e perciò sono gli dei a dover aiutare: “invocarono ciascuno il proprio dio… “ dice il testo (1,5).

Un’immagine meravigliosa per una preghiera ecumenica: saldati assieme dalla paura, ognuno inginocchiato davanti al proprio dio. Abbiamo visto qualcosa di simile durante la guerra in Iraq.

Ma sembra che la preghiera non basti, la tempesta continua. “Pregare come se l’intero lavoro non valesse nulla, lavorare come se ogni preghiera fosse inutile” dice Martin Lutero.

I marinai sembrano saperlo. “invocarono ciascuno il proprio dio, tuttavia remavano con forza per raggiungere la riva…” (1,13). Pregare e lavorare, ora et labora.

Ma su questa nave, stranamente, le cose vanno in maniera diversa dall’abituale: i pagani lavorano e pregano, il profeta del popolo di Dio, nel frattempo, è sceso nella stiva a dormire, sempre più in basso. JRD, JRD si va sempre più giù...

(Può essere per noi di consolazione che Dio chiami al suo servizio quelli che sono arrivati in basso. Ma, attenzione, non tutti quelli che sono scesi in basso agiscono per ordine di Dio…).

Il contrasto fra Giona ed i pagani è sottolineato in modo grottesco: mentre Giona cerca di scappare da Dio, i pagani cercano il cammino verso Dio. Giona dorme, mentre i marinai si sforzano allo stremo, pregano, mentre Giona non si sente per nulla portato alla preghiera. Giona cerca la morte (come ultima discesa), i marinai la vita.

Così è testimoniato nella Scrittura:”Io sono stato ricercato da quelli che prima non chiedevano di me, sono stato trovato da quelli che prima non mi cercavano.” (Isaia 65,1).

Una comunità cristiana troppo occupata con se stessa può ricevere una grossa sorpresa. Ma, come è certo che i pagani qui sono le persone più umane, attive e pie, è certo che Giona è un fallito: ma solo lui può dire ai pagani a chi si devono rivolgere durante la tempesta.

Nel Nuovo Testamento è Pietro, quello che fugge, che viene dichiarato “pietra”.

 

Giona, così in basso: eppure è lui che comunica, tramite la sua conoscenza, chi è la causa della tempesta, l’unico Iddio vivente. “Qual è il tuo Dio?” chiedono i marinai, visto che né il lavoro, né la preghiera hanno portato risultati, visto che le loro possibilità tecniche e religiose si sono esaurite.

“Chi è il tuo Dio?” E Giona risponde: “L’Iddio del cielo che ha creato il mare e l’asciutto” Dio è colui che ordina alle onde e crea il terreno asciutto sotto i piedi (cfr. Esodo)!

Dio crea il terreno sotto i tuoi piedi e ti porta in salvo attraverso le onde. E’ la sua promessa!

Anche Giona se ne rende conto: Prendetemi e gettatemi in mare, perché io so che questa tempesta vi piomba addosso per colpa mia. (1, 12).

I marinai lo gettano fuori bordo. E “la furia del mare si calmò” (1, 15)

Dopo che la colpa è stata confessata, si calma.

 

E Dio? Di nuovo si serve di una sua creatura, questa volta chiama un “grosso pesce” che porta Giona, in tre giorni, nuovamente indietro, là da dove veniva. Che ironia!

Giona tenta di scappare, va a spese proprie sul mare e vi trascorre dei mesi (un viaggio a Tarsis poteva durare un anno!) ed in tre giorni Dio lo riporta, gratis e sotto le acque, al punto di partenza.

La nostra storia narra in maniera ironica chi è Dio: il Signore sovrano del creato, che porta l’essere umano là dove Lui vuole che egli vada.

Dopo tre giorni Giona viene vomitato, come qualcosa di indigesto, sulla terra. (ebr. QJA: vomitare)

Che prova? Prova ciò che si sente quando si vuole sfuggire alla volontà di Dio. Ma ora si mette in cammino per Ninive e predice alla città la sua distruzione. Ma accade l’inatteso: Re, popolo e addirittura le bestie (lo capiscono cani e porci) fanno penitenza ed indossano abiti a lutto.

Dio vide …che si convertivano dalla loro malvagità, e si pentì del male che aveva minacciato di far loro; e non lo fece (3, 10). Giona ne provò gran dispiacere e ne fu irritato. Allora pregò e disse: … sapevo che tu sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira e di gran bontà…

Perciò ti prego, riprendi la mia vita, perché per me è meglio morire che vivere. (4, 1-3).

Meglio morire che vivere, perché la catastrofe non avviene. Il dolore di Giona dipende dal fatto che Dio non resta coerente col suo giudizio, anzi è misericordioso con gli spietati nemici di Israele. Che Dio sia misericordioso è, per Giona, un problema esistenziale.

“La perdita di certezze distruttive ha conseguenze autodistruttive” (K. Heinrich).

Si tratta di un fenomeno anche del nostro tempo: il tenersi stretti ad avvenimenti mortali ed a volontaria autodistruzione.

Aumenta la violenza fra i giovani (Erfurt è stata acme di questo fenomeno), aumento dei suicidi, droga, alcool. Temo – ed il nostro racconto ce lo suggerisce – che questa tendenza dipenda dalle esperienze di perdita dei valori e di frustrazioni.

La perdita dell’immagine del nemico (Ninive rappresenta il nemico), la perdita di scopi e le frustrazioni per un lavoro insoddisfacente (dopo aver adempiuto al suo compito Giona non ha più alcuno scopo, ed inoltre, il suo lavoro è stato insoddisfacente perché senza il risultato atteso). E se si perdono l’immagine del nemico o gli scopi, si ricade su se stessi.

Perdita dell’immagine del nemico: se non posso più immaginare che l’altro sia il male ed io il bene, l’immagine del mondo non è più in ordine e questo può portare alla disperazione.

Perdita degli scopi: non si ha una meta, una prospettiva e questo può portare al desiderio del suicidio. Disoccupazione: oppure insoddisfazione nel lavoro.

La quota dei suicidi aumenta perché non vi sono più scopi (nell’immediato dopoguerra i suicidi erano meno che oggi), non c’è più nulla per cui valga la pena di vivere.

Da questo punto di vista il lavoro della chiesa, specialmente con la gioventù, mi appare molto importante. Nella promessa: Dio non abbandona l’essere umano a se stesso.

Ed ora torniamo alla nostra storia. Dio vede Giona scoraggiato ed irritato, ed agisce: subito! Si serve di una pianta di ricino (Rizinus communis, se c’è qualche botanico in mezzo a noi), e Giona si accomoda, rilassato, alla sua ombra. Ma purtroppo la gioia non dura a lungo: Dio invia un verme che rode il cespuglio ed il sole brucia di nuovo sulla testa di Giona. Così è: appena ci si allontana dalle pene della giornata e si cerca un po’ di sollievo, ecco che arriva un miserabile verme e ti rovina il piacere!

Giona è irritato, fino alla morte! Fa pena a se stesso e si lamenta.

Ed il Signore disse: tu hai pietà del ricino per il quale non ti sei affaticato…e io non avrò pietà di Ninive, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la destra dalla sinistra?

Giona non risponde, forse ha capito che cosa è la grazia libera di Dio.

Amen.

 

(Predicazione tenuta al XIX Sinodo della CELI,

Seiano di Vico Equense, 29. aprile 2004)

 

La Bibbia nella Chiesa - La Bibbia fuori della Chiesa

 

La Bibbia fuori della Chiesa

di Monsignor Gianfranco Ravasi

 

(conferenza tenuta il 12 febbraio insieme a quella di Paolo Ricca pubblicata nel numero di aprile 2005, ringraziamo Michele Bonsignore per la fedele sbobinatura e trascrizione)

 

Vorrei prima di tutto fare una premessa, una premessa che in un certo modo ricambia, e non per cortesia, quanto ha detto il professor Ricca all’inizio. Io sono un suo lettore e sono suo ammiratore e lui lo sa, perché una volta gliel’ho testimoniato anche pubblicamente; vorrei aggiungere al di là di quel tema dell’alleanza, che mi è molto piaciuto, che interporre tra noi e le nostre chiese, la Bibbia, può allargare la dimensione dell’amicizia; cioè una dimensione umana, che di sua natura però fa parte già dell’incarnazione stessa e quindi diventa anch’essa teologica, anch’essa santa.

Vorrei anche dire, che proprio come abbiamo ascoltato da lui, ascoltato con grande passione devo dire, abbiamo sentito quella dimensione che pure lui attribuiva a me, ma che egli riesce a incarnare davanti a tutti noi: cioè la dimensione dell’ardore. Cristo era il grande maestro in questo, mentre camminava in quel pomeriggio da Gerusalemme a Emmaus facendo ardere nel cuore quei due compagni di viaggio; la dimensione profonda che non è semplicemente la dimensione dell’emozione, è la dimensione quasi dell’eros, che vuol dire sentimento, passione, sì; ma vuol dire anche volontà, tensione; fa parte della conoscenza della parola. Questo tema è un tema a me molto caro e devo dire che una buona parte del mio ministero della parola non si svolge nell’interno delle chiese, ma si svolge nei teatri, nelle piazze, in contesti molto diversi e quindi è proprio la Bibbia fuori della Chiesa.

Ebbene, io vorrei ora far passare idealmente davanti a voi prima alcune testimonianze. Sono alcune voci che penso di citare quasi alla lettera. Sono persone della piazza, che danno la loro definizione della Bibbia; e poi noi cercheremo di andare nella piazza e in qualche modo scoprire come questa parola della Bibbia riesce ad incidere nell’interno della storia di queste persone molto diverse.

Faccio passare un nemico della Bibbia, prima di tutto . Ha cercato di fare di tutto per demolire questa eredità ebraico cristiana per fare eventualmente brillare di più quella greco romana: Nietzsche..

Nietzsche, nei materiali preparatori ad Aurora, scrive: «tra ciò che noi proviamo alla lettura di Pindaro o di Petrarca e alla lettura dei Salmi, c’è la stessa differenza tra la terra straniera e la patria». E’ vero egli era protestante e quindi aveva ascoltato la lettura della Bibbia. Vedete, Pindaro e Petrarca ci affascinano, però sono esterni a noi, sono estrinseci. «La Bibbia – lui diceva – è come se fosse la conchiglia dentro il nostro orecchio, che ha sempre dentro l’eco del mare, che è l’eco della scrittura. I salmi sono la nostra patria».

Facciamo passare un'altra persona, e questo è un credente però anch’egli è nel mondo, nel pensiero, è uno dei grandi pensatori, cattolici in questo caso. Pascal, in uno dei suoi pensieri: «La scrittura ha passi, atti a consolare tutte le situazioni e ha passi atti ad inquietare tutte le situazioni». Ecco, questo duplice mondo della Parola egli lo scoprì. La Bibbia è al tempo stesso sicuramente miele, è sicuramente pioggia che feconda, è dolcezza; ma non dimentichiamo mai che è proprio Geremia che ci dice che la Parola di Dio è il martello che spacca la roccia, è quasi una lava ardente che consuma l’interno delle persone; e, come ci dice la Lettera agli Ebrei è la spada che non si accontenta di trapassare soltanto la superficie, ma penetra fino al midollo, all’essere profondo.

Ancora, facciamo passare un’altra persona. In questo caso un artista, ebreo: Chagall. Marc Chagall, a proposito della Bibbia, annotava: «I pittori, per secoli, hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato della speranza, che era la Bibbia». Ed è vero questo, ed è quello che vorrò poi anch’io rappresentare: Hanno ininterrottamente intinto il loro pennello in un alfabeto che, però è un alfabeto della speranza. E anzi, proprio in parallelo, se volete, Claudel diceva: «la Bibbia è il nostro grande lessico, a cui continuamente attingiamo.»

Non è solo un arsenale iconografico, ma è anche, per molti versi un vocabolario del nostro pensiero, del nostro ethos, del nostro comportamento e, anche, delle nostre scelte morali.

E infine, l’ultimo che voglio far passare idealmente davanti a voi in questo momento, è un mio amico molto caro, molto più famoso di me, che voi tutti conoscete: Umberto Eco; il quale si sta battendo perché la Bibbia entri nella scuola. Non nell’ora di religione, ma entri nella scuola tout court. Ebbene, nella piazza lui faceva serpeggiare questa domanda: Perché i nostri ragazzi devono sapere tutto degli eroi di Omero e non devono sapere nulla del Cantico dei Cantici o di Mosè? Fermo restando che poi senza la Bibbia non riuscirebbero neppure a capire quel Petrarca o quel Dante che devono studiare.

Ecco, abbiamo fatto passare queste testimonianze, che dimostrano come senza la Bibbia, senza questa lampada, comunque la si consideri, anche solo lampada culturale, non si possa del tutto essere veramente uomini; e uomini della nostra cultura d’occidente.

Ebbene, io vorrei, a questo punto, quasi idealmente dipingere davanti ai vostri occhi un dittico, fatto di due tavole. Prima tavola: la Bibbia può essere portata fuori nel mondo come grande testimonianza di cultura. Di cultura non soltanto di un popolo, ma di cultura tout court. E lo fa in una maniera che è, per molti versi, sconcertante, paradossale. Da un lato è un testo povero; è un testo che si presenta come parola e la parola, per sua natura, è fragilissima; una volta detta si spegne. Eppure si presenta così. Noi possiamo dire che l’incipit dell’Antico e del Nuovo Testamento è proprio con la celebrazione della Parola che risuona. E’ quasi un Evento sonoro: Dio disse sia la luce e la luce fu. E prima c’è il silenzio del nulla, c’è il silenzio di Dio anche.

E prima c’è il silenzio del nulla, c’è il silenzio di Dio... Una parola; una parola che però comincia ad avere in sé la sua efficacia. Nel Nuovo Testamento è l’archè: En archè en ò logos…

In principio c’era la parola, senza la quale nulla esiste di ciò che esiste. Però, se scaviamo ulteriormente, ci accorgiamo che questa parola ha in sé una sua esilità. Pensiamo subito a Israele, che sente fortemente il bisogno dell’immagine. Eppure, ancora una volta, la Bibbia ricorda, in quelle dieci fondamentali parole, che tu non ti farai immagine alcuna di ciò che è nei cieli o di ciò che è sulla terra, né di ciò che è sotto terra. Via gli occhi dal vitello d’oro, devi affidarti solo a questo suono. C’è, al proposito un versetto bellissimo del Deuteronomio, cap. 4 versetto 12, nel quale Mosè riassume tutta l’esperienza del Sinai: «Voi, lassù, ascoltaste suono di parole, non vedeste alcuna immagine, solo una voce”. Tutta l’esperienza del Sinai, germinativa, generatrice d’Israele, è una voce, una parola.

 

Ma peggio ancora, questa operazione, che chiameremmo di KENOSIS della parola che sempre di più si umilia, si spoglia, s’impoverisce, si annichilisce, arriva al punto di affidarsi ad una lingua come la lingua ebraica o il greco arcaico del Nuovo Testamento. La lingua ebraica, pensate, è fatta soltanto di 5750 vocaboli; una lingua misera pietrosa, di uomini del deserto, della steppa. Il Nuovo Testamento non è il greco di Platone, così sontuoso; è un greco popolare quasi, ibridato di forme dialettali semitiche.

E ancora, una religione non ha forse nel nome di Dio la sua manifestazione più solenne? Ebbene, la tradizione giudaica, per quanto riguarda la lettura della Bibbia, quando deve dire il nome di Dio lo affida a quattro consonanti impronunciabili: YHWH. Anzi, si va oltre; questa povertà della parola di Dio non dovrebbe minimamente incidere alla fine.

Così esile, così misera, così debole, così chenotica, arriva a quella esperienza, a mio avviso folgorante, del monte Horeb di Elia, Quando Elia sale vuole vedere l’epifania, la teofania; il Dio del trionfo; il Dio che possa appunto essere come il vitello d’oro: stare nelle piazze e generare danze e feste; cioè visibilità, spettacolo.

Ebbene, egli scopre che Dio non è nel fuoco che incendia gli alberi; Dio non è nella folgore; Dio non è nel terremoto che sommuove la terra; né Dio è nel vento che spacca la roccia del Sinai; Dio, invece, è un mormorio di vento leggero. Così è detto nella traduzione cattolica, però, se noi lo prendiamo alla lettera, il testo ebraico è fatto di tre parole: voce, silenzio, sottile. Ecco: Dio è una voce di silenzio sottile; alla fine si è così compressa questa parola, da essere ridotta a silenzio. E si comprime poi anche nello scritto; perché nello scritto la parola sembra quasi morire. Come diceva Goethe nel Faust: «la parola muore già sotto la penna».

Eppure questa parola è entrata nella piazza, è entrata nel mondo e vi è entrata in maniera sontuosa, gloriosa. Pensiamo come questa parola abbia affascinato, quanto sia stata efficace; e lo è già per definizione, perché è la parola creatrice. Io citavo poco fa il Faust di Goethe. Goethe probabilmente non sapeva tutte le questioni connesse alle categorie della semantica semitica; però intuisce: In principio era il verbo, come si deve tradurre?

E Goethe incomincia: in principio era la parola. Però c’è qualcosa di più, e allora traduce: in principio era il significato. E alla fine traduce anche: in principio era l’atto. Ecco allora che noi scopriamo che questa parola, così misera, ha però in sé la sua energia. E questa energia la manifesta anche a livello culturale, anche a livello letterario.

Pensiamo che cosa significano quelle trentacinque o settantadue parabole di Gesù nei vangeli. Quelle parabole, quei simboli, come ci rappresentano il Regno di Dio. Come lo rappresentano già a noi credenti, con tutta la sua forza; ma come riescono a conquistare anche colui, che per una volta segue questo racconto. Me lo diceva un mio amico, che forse anche voi conoscete; oggi un po’ malandato di salute, ma che una volta scriveva quotidianamente su Repubblica, Beniamino Placido. Lui diceva: “io non riesco a capirvi voi preti, perché io entro in chiesa, di solito, quando ci sono le nozze o i funerali e ascolto la lettura della Bibbia. Non riesco a capire come voi riusciate a relativizzare dei testi che sono così drammatici e vi accontentiate di circonfondere queste parole con le solite considerazioni; senza coglierne il fremito; che noi scopriamo sentendole per la prima volta”.

Gli Ebrei chiamano la Bibbia La lettura. Ecco noi dovremmo far sì che questa parola così ricca, così effervescente, sia anche letta, proclamata in maniera incisiva, ma purtroppo questo non accade. Quando si dice, per esempio, la parabola del buon samaritano, tutti sanno come va a finire eppure c’è sempre attenzione; l’attenzione dell’ascolto che è legato a questa forza intrinseca alla parola.

E passo dall’altra parte, all’altra tavola. Nella seconda tavola vorrei mettere tre registri, esemplificandoli; cioè partendo proprio dal mondo della cultura, dal mondo laico, che ora reagisce. a questa parola, debole e gloriosa.

La Bibbia entra nel mondo della cultura ed è accolta in forme diverse; anche respinta, equivocata. A questo punto io vi propongo tre modelli di questa ricezione, di questa presenza.

 

I. Il primo modello è il modello che chiamerei della attualizzazione. La Bibbia entra nella cultura e, spontaneamente, la cultura la strappa dal suo passato, dall’essere un testo apparentemente remoto, e la declina nuovamente per la quotidianità, per l’oggi, per la domanda, per le interrogazioni del presente. Vi faccio un esempio e in questo caso prenderò la pittura. Sceglierò un’opera poco nota, che ho scoperto per caso. Durante un congresso a Edimburgo ho trovato un dipinto molto piccolo di Gauguin. Questo dipinto è del periodo bretone ed è intitolato “Dopo il sermone”.

E’ una piazza. In primo piano voi vedete le cuffie tipiche delle donne bretoni. Sono appena uscite dalla chiesa dove hanno ascoltato il sermone. La piazza è diventata all’improvviso color rosso sangue; c’è lo scenario delle case, cioè della quotidianità. Al centro di quella piazza, però, c’è un essere misterioso alato, che sta afferrando e scotendo un uomo malvestito. Una lotta. Tutti capiscono che si tratta di Genesi 32. Una pagina di grande bellezza. Questo ci riporta al discorso di prima: lingua povera, ma trascinante. Pensiamo a cosa è stato, dieci capitoli prima, il cosiddetto sacrificio di Isacco, nella storia della cultura, nell’arte e persino nella psicanalisi. Ebbene, hanno ascoltato questa parabola notturna della lotta del patriarca contro un Dio, che però ti lascia uscire indenne. Tu non riuscirai a conquistare il Suo nome.

Egli però ti cambia il nome: «tu non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele». Quindi il tema della vocazione; la parola vocazione, trasforma l’esistenza, anzi, ti colpisce nel fisico, nel nervo sciatico.

Quando sorge il sole ed è l’alba Giacobbe zoppica.

Ebbene, che cosa ha fatto Gauguin? Ha immaginato che queste donne, dopo essere state impressionate da questo racconto, escono e vedono che esso si materializza nella vita di tutti i giorni, cioè incontrare Dio è una questione ardua perché deve essere continuamente misurata nell’interno delle contraddizioni quotidiane. Vedete allora come questa attualizzazione ha avuto la sua rappresentazione.

 

II. Il secondo modello è un modello di contrasto. La Bibbia è stata, o rigettata, o deformata. E’ quello che io chiamerei un modello degenerativo; ai nostri giorni vi sono romanzetti che prendono la Bibbia, la usano, la impastano e, alla fine, la riducono in poltiglia, bassa poltiglia. E’ il caso di questo ultimo romanzo, che tutti comprano, “Il codice da Vinci”. Ebbene io, invece, prenderò una cosa nobile, all’interno di un settore particolare della cultura dei nostri tempi, la psicanalisi, la psicologia. Prendo come punto di riferimento Giobbe, il quale è un equivoco permanente all’interno della cristianità; a partire da San Giacomo, uno dei primi interpreti, che l’ha letto come libro della pazienza.

Tutti lo dicono; nessuno però osserva e nota che la pazienza di Giobbe è nei primi due capitoli, mentre, per quaranta capitoli, Giobbe continua a urlare e a protestare, soprattutto a far saltare tutti gli schemi pacifici dei suoi amici. Diceva Kierkegaard: Giobbe ha sopportato persino la perdita dei figli ma, quando però sono arrivati tre teologi per cercare di spiegargli che Dio aveva ragione, allora perse la pazienza.

Ebbene, noi vediamo che in quel testo vi è già l’equivoco, perché è un testo, invece, di urlo, di protesta. Se noi leggiamo certe pagine riusciamo a capire perché, dal punto di vista redazionale, questo libro è stato sicuramente manipolato. Fra le varie possibilità, ce n’è arrivata una sola, che è quella che possediamo. Questo perché il grido di Giobbe diventava sempre più violento, sempre più blasfemo: rappresenta Dio come un arciere sadico che punta al cuore, ai reni, al fegato; ti fa piombare a terra e poi è sopra di te, come un generale trionfatore che ti sfonda il cranio. A prima vista questa non è più un’invocazione.

Ebbene, che cosa dice Jung nella sua risposta a Giobbe?

Egli rappresenta da un lato Dio, che è presente con tutta la grandezza della sua onnipotenza, che decide tutto ciò che è bene e tutto ciò che è male; dall’altro l’uomo, atterrito, che deve essere solo esecutore e adoratore della volontà di Dio. Senonché, c’è un uomo solo – egli dice – che osa chiedere ragione a Dio, perché il suo comportamento non è giusto. Questo uomo è Giobbe, che si rivolta. E Dio, che potrebbe incenerirlo, s’incuriosisce, vuole sentire le ragioni di quest’uomo e allora manda il Figlio, Gesù, che diventa uomo, quindi alla pari con Giobbe. E quando si scatena l’ira di Dio, il Giudizio di Dio, l’azione di Dio, egli capisce sì le ragioni di Dio, ma capisce pure le ragioni dell’uomo, le ragioni di Giobbe, e tutte le volte che sta per scatenarsi la collera di Dio, ora non c’è più un uomo qualsiasi come questo emiro dell’oriente che era Giobbe, che si leva a protestare; ora c’è il Figlio, che ferma la mano del Padre e ne blocca l’ira, ne blocca l’azione; c’è l’azione di moderazione del Cristo, “il mediatore”. Questo non c’entra nulla con Giobbe, è, infatti, un esempio di modello degenerativo. Perciò capite come la Bibbia, anche quando genera deformazione, è preziosa.

 

III. Il terzo modello è il modello trasfigurativo La cultura laica riesce ad essere conquistata dalla Paola, dalla Bibbia, e riesce a farla fiorire in una maniera che, forse, neppure noi predicatori sapremmo fare. Per fare un esempio tratto dalla musica, si potrebbe prendere la “Passione secondo Matteo” di Bach. Pensate soltanto che cos’è quel corale finale, quella sorta di ninna nanna al cadavere di Cristo nella tomba; e se voi l’ascoltate bene, vi accorgete che, in realtà, non è assolutamente la pur fondamentale celebrazione luterana della croce, della morte, ma ci fa sentire i brividi della resurrezione. Tra parentesi, proprio qualche tempo fa, ho scoperto che Bach aveva solo tre libri di teoria musicale; tutto il resto della sua biblioteca era costituito da testi religiosi, Bibbia, testi pietistici, testi di spiritualità varia; solo testi religiosi.

E ora io voglio invece prendere un laico; sceglierò quindi un musicista come Mozart, che dal punto di vista religioso, non è che avesse una particolare sensibilità esplicita. Ebbene, io prendo i versi solenni di una sua opera, I vespri solenni di un confessore. Si tratta di salmi commentati da lui musicalmente. C’è però fra questi un salmo, che è chiamato dagli esegeti “il punto del salterio”. E’ un salmo fatto solo di diciassette parole, delle quali nove sono importanti e due fondamentali. E’ una specie di Gloria Patri, come si usa nel culto cattolico, una dossologia trinitaria.

E’ il salmo 117. Dal punto di vista letterario il salmo è inesistente. è una giaculatoria tradizionale, però ci sono due parole che sono fondamentali. Quelle due parole sono tradotte dalla vulgata con veritas et misericordia. L’ebreo le sentiva con un fremito. Anche se si traducono tradizionalmente con verità e misericordia, queste due parole non sono traducibili; sono la descrizione delle relazioni che intercorrono tra due persone che si amano. E’ un complesso di cose indefinibili, che comprende: tensione, passione, tenerezza, amore, e così via. Ebbene, Mozart non sa nulla di tutto questo, eppure comincia con un soprano, solista; quando però arriva a quelle due parole, ecco che il soprano cade, cade ed entra nell’assemblea. Perché la lode si può affidarla anche ad una voce solitaria, ma l’amore è una realtà che appartiene a tutti noi; ed ecco allora che da quel momento in avanti comincia a muoversi tutto il coro. E tutto il coro, insieme, conclude, sugellando questa realtà fondamentale che è la veritas et misericordia.

In questo caso lui, senza nulla sapere, è riuscito a farci cogliere il cuore di questo salmo, a trasfigurarlo anche quando, apparentemente, l’annotatore lo definisce un testo di basso profilo.

(qui purtroppo bruscamente per noi finisce la nostra registrazione, che l’autore non ha potuto rivedere; ve la diamo ugualmente in lettura anche incompleta, perché val la pena in ogni caso…!)

Animali al Gignoro

di Esther Amrein


Da tempo al Gignoro è in corso un ripensamento sulle attività di animazione, affinché queste si differenzino in relazione alle diverse caratteristiche dell'utenza (di quella che vi risiede e di quella che vi passa solo alcune ore al giorno).

Il progetto "Animali al Gignoro" vuole essere un' alternativa alle animazioni tradizionali, che non sempre e non per tutti costituiscono la risposta migliore. L'utenza del Gignoro, per lo più affetta da diverse disabilità, è spesso caratterizzata da difficoltà di dialogo, è demotivata o poco collaborativa. Colmare il disagio e motivare la partecipazione degli ospiti non sempre risulta essere un compito facile. La presenza degli animali al Gignoro potrebbe, oltre che rappresentare una novità interessante, avere risvolti positivi sull'utenza, come sul personale impiegato nei diversi servizi.
Il progetto "Animali al Gignoro" vuole essere la prima fase di un progetto, che prevede la presenza degli animali in struttura e le Attività e Terapie Assistite con Animali (AAA/T) una costante piuttosto che eventi occasionali.

In questa prima fase sono previsti diversi interventi dove il coinvolgimento degli animali si limita al fare compagnia agli anziani, escludendo per il momento l'applicazione vera e propria delle AAA/T. Gli interventi previsti sono: visite di gruppo al canile dell'ASL di Pratolino, visite periodiche di cani in struttura e introduzione permanente di piccoli animali in stuttura. L'interazione con gli animali può stimolare il dialogo, creare aspettativa (tra una visita e l'altra), suscitare emozioni e interesse.

L'obiettivo è quello di ottenere dei risultati positivi in termini di partecipazione collettiva, di attivazione della memoria remota, di una maggiore cordialità e disponibilità nei confronti degli altri. Si mira anche al miglioramento del tono dell'umore, a stimolare una maggiore reattività e socievolezza e a soddisfare il bisogno primario di affetto. In sintesi, l'obiettivo generale è quello di migliorare la qualità della vita e lo stato generale di benessere dei nostri utenti, attraverso la presenza degli animali e l'interazione con essi.

Le visite al canile dell'ASL di Pratolino hanno avuto inizio il 18 marzo scorso e continueranno fino al mese di giugno con una cadenza di una ogni dieci giorni circa. Il gruppo che partecipa alla visita è composto da sei anziani provenienti dalla residenza e dal centro diurno ed è accompagnato da almeno due operatori per volta. I partecipanti vengono individuati in base ad alcune caratteristiche: si tiene conto della presenza o meno di esperienze significative con cani nella storia personale degli ospiti, del desiderio di coinvolgimento in attività che prevedono la presenza di cani, della presenza di deficit comunicativi oppure competenze relazionali compromesse.

Arrivati al canile il gruppo viene accolto dall'operatore tecnico, la signora Rossana Azzini, che individua il programma da sviluppare insieme. Le visite hanno sempre riscosso molto successo, sia tra gli operatori che vi hanno preso parte che, soprattutto, tra gli anziani coinvolti. E' impossibile descrivere a parole le emozioni provate! Il gruppo che sta lavorando al progetto è impegnato in altri interventi. In particolare sta organizzando delle visite di un cane in struttura e l'accoglienza permanente di piccoli animali domestici al Gignoro. Nel primo caso gli anziani che lo vorranno, potranno godere della visita settimanale di un cane: un alano tigrato di nome Hertha, accompagnato dalla padrona, la signora Marianne Cini. Sono già iniziati i primi incontri, che sono serviti per organizzare il programma di visite settimanali che avrà inizio dopo il mese di agosto. Un veterinario dell'ASL avrà cura di garantire il cane e di fornire una consulenza periodica.

A partire dal mese di maggio sono invece arrivati due orsetti russi come ospiti fissi del Gignoro. Questa esperienza è nata come primo esperimento di accoglienza di animali in struttura. Per il momento gli orsetti "abitano" nell'ufficio del centro diurno e fanno timidamente conoscenza con quegli anziani che capitano nei loro paraggi. Nonostante si tratti ancora di una sperimentazione e considerando il fatto che non solo questi animali conducono una vita prevalentemente notturna ma sono spesso anche estranei alle abitudini dei nostri anziani, sembrano riscuotere un discreto successo.

Il gruppo che lavora al progetto (Esther Amrein, Giacomo Biagioli, Stefania Crescioli, Laura Giannoni e Melania Stanghellini) sta partecipando ad un ciclo di seminari sulla pet therapy organizzato dalla provincia di Modena e l'obiettivo che si è posto è quello di favorire e facilitare quanto più possibile l'interazione e la convivenza tra animali, operatori e ospiti del Gignoro.



Popolazioni e povertà

di Vera Petrosillo Velluto

 

Dalle Agenzie dell’ONU pervengono dati sempre più allarmanti sulla crescente povertà di parte del pianeta. E sono principalmente donne e bambini i più penalizzati da una situazione di sotto sviluppo sociale, culturale, economico.

Il Global Survey 2004 dell’UNFPA ( Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), il rapporto dell’ONU che valuta le azioni dei governi secondo gli impegni presi, informa che il divario fra i Paesi ricchi che “contano il 20% della popolazione mondiale responsabile dell’86% dei consumi privati complessivi” e i Paesi meno sviluppati che “consumano appena l’1,3% “, sembra incolmabile.

Per quanto riguarda le donne, si legge nel rapporto, nei Paesi meno sviluppati quasi un terzo delle malattie e morti tra donne in età riproduttiva “sono attribuibili a carenze nei servizi per la salute riproduttiva e sessuale”

Secondo stime dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nelle regioni in via di sviluppo nel 2000 ci sono state 527.000 morti materne su 2.500 nelle regioni sviluppate e 1.700 in Europa. Risulta evidente, rileva il rapporto, la “ connessione tra alti livelli di mortalità materna e povertà”.

Nelle regioni povere dove vi è mancanza di assistenza sanitaria o mancanza di assistenza sanitaria con personale qualificato per il parto e per il periodo pre-natale, il rischio di morire per parto è di 1 su 12, mentre nei paesi ricchi è di 1 su 4.000 e nelle zone rurali accade che una donna con complicanze di parto, per raggiungere il più vicino presidio sanitario, debba percorrere molti chilometri su mezzi di trasporto disagiati (spesso un carretto trainato da un asinello).

Cause di mortalità sono anche le infezioni dovute a trasmissioni di malattie sessuali e alla mutilazioni dei genitali femminili. Inoltre, a causa di aborti procurati a rischio, e quindi privi di assistenza sanitaria, muoiono ogni anno migliaia di donne. In molti di questi Paesi l’aborto è illegale e, per timore di essere denunciate alla polizia, le donne non si rivolgono ai medici per le complicanze dell’aborto. A 10 anni dalla Conferenza del Cairo, nei Paesi meno sviluppati “le ragazze sotto i venti anni rappresentano il 17% di tutte le partorienti”

Il rapporto osserva che ”le condizioni di svantaggio sociale ed economico che colpiscono le donne rendono queste ultime particolarmente vulnerabili alle infezioni a trasmissioni sessuali e all’HIV”. La “ femminilizzazione” dell’epidemia dell’AIDS è spesso dovuta all’impossibilità della donna di ribellarsi al partner che pretende rapporti non protetti, sia che si tratti del coniuge o altro, al rifiuto dell’uso dei contraccettivi per motivazioni socio-culturali e economiche, alla violenza dello stupro. Là dove sono in atto conflitti bellici la violenza sulle donne è triplicata.

Nella Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948, che tutti gli Stati hanno affermato di rispettare, venne dichiarato che” tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”. Durante la Conferenza del Cairo del 1994 e la Quarta Conferenza Mondiale sulle donne (Pechino 1995) i governi si impegnarono ad eliminare nei rispettivi Paesi e nel mondo tutte le forme di povertà e a promuovere la piena partecipazione delle donne alla vita della nazione.

Nel 2000 fu approvata la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) a cui nel 2001 aderirono 168 Stati, ma soltanto 21 ne ratificarono il Protocollo attuativo. Affermazione teoriche che ancora aspettano di essere tradotte in pratica.

Avendo la consapevolezza che alle aride cifre dei rapporti corrispondono situazioni di vita sub-umana, che “oltre un miliardo di persone non è in grado di soddisfare i propri bisogni primari come l’accesso all’acqua, all’alimentazione, alla sanità, ai servizi igienici, all’istruzione”, mentre il mondo capitalistico continua a coltivare i propri interessi sfruttando le risorse naturali dei Paesi meno sviluppati, possiamo noi cristiani restare indifferenti?

 

Il Padre Nostro a puntate

di Elsa Woods

 

“Sia fatta la tua volontà come in cielo

così anche in terra”

 

Vedete che il bastone ha ricevuto nuovi colori: quello di sopra è il cielo azzurro, sotto c’è la terra verde. Qui Gesù mi insegna a pregare perché avvenga un’invasione o penetrazione del cielo nella terra.

Quando siamo al mare o nella pianura padana vediamo che il cielo e la terra si toccano con una linea di demarcazione netta e chiara che chiamiamo orizzonte. Io sono olandese, provengo dal paese più piatto forse di tutto il mondo ed ho impressa nella mente l’immagine di quell’orizzonte.

L’orizzonte ha ispirato tante storie di eroi che vogliono scoprire quello che c’è dietro, l’ignoto. Non sono solo storie di avventure, ma ci sono anche avventure vere, come quella di Colombo. Quell’orizzonte dove il cielo tocca la terra ha anche ispirato quelli che hanno cercato il significato spirituale dell’avventura umana. E qui Gesù sembra usare quell’immagine di separazione di cielo e terra nella sua preghiera, ma è delineato un orizzonte abbastanza chiaro in questa preghiera-tipo.

Prima tutte le richieste hanno più a che fare con il cielo, poi bruscamente si atterra sulla terra ferma con la richiesta del pane. So bene che Lui propone se stesso come nesso fra i due, Lui, Dio venuto dal cielo per farsi uomo sulla terra. “Vai!” Sembra dirmi Gesù “Sono venuto dal cielo per fartelo conoscere anche qui sulla terra. L’orizzonte non è più una cosa irraggiungibile Prega con me e ti farò vedere. Prega che la volontà di Dio possa essere fatta su questa terra della quale fai parte”.

Spesso mi sono chiesta, perché Gesù ha messo questa frase che sembra dire un po’ la stessa cosa che la richiesta “Venga il tuo Regno”, ma poi penso di aver capito: il Regno di Dio potrebbe ancora star fuori dalla mia piccola volontà umana, ma non posso proprio pregare che sia fatta la volontà di Dio senza subito vederla invadere la mia volontà. Ho capito che Gesùaveva ben ragione di aggiungere questa frase per imprimere bene nella mia testa l’importanza del suo regno, dove vige la sua volontà.

 

Secondo me ci sono essenzialmente due ragioni perché la volontà di Dio non viene fatta. Una è che siamo volenterosi, ma non conosciamo la volontà di Dio, per ragioni varie. Questo era per esempio il caso di Giuseppe che pensava di far bene a divorziare da Maria. Possiamo in quel caso aver fiducia che Dio interviene per non farci fare grossi sbagli, ma la seconda ragione è molto più frequente ed è che non vogliamo proprio fare la volontà di Dio. In questo caso comincia una battaglia di volontà opposte. Vorrei dire alcuni pensieri miei su questa battaglia, ma lo farò la prossima volta.

 

Il naso tra i libri

a cura di Sara Pasqui Rivedi

 

Marguerite Yourcenar

Dalla storia al cosmo

Bulzoni 2004 pp. 231, 15 €

 

Nota biografica

 

Marguerite Yourcenar nasce nel 1903 a Bruexelles da padre francese e da madre belga, il suo vero cognome è de Crayencour che, per gioco e con la complicità del padre, sostituirà con uno pseudonimo simile al suo anagramma. Allevata nel nord della Francia ed a Parigi, ha vissuto all’estero quasi per tutta la vita viaggiando e soggiornando in Europa, in Oriente, in Africa e negli Stati Uniti dove ha insegnato letteratura dal 1942 al 1950 e dal 1952 al 1953. Si stabilisce definitivamente in questa nazione eleggendo a sua dimora un cottage (Petite Plaisance) nello stato del Maine, con esattezza a Mont Desert Island, sulla costa nord americana. Qui muore il 17 dicembre 1987. Il suo esordio letterario avviene nel 1921 con un dialogo in versi ispirato ad Icaro e ben presto inizia una rapida ascesa che la porterà ai versi della letteratura francese. Nel 1980 viene eletta membro della Accademie Francaise, prima donna a ricevere tale onore. La sua opera letteraria è vasta e diversificata: dai romanzi ai libri di memorie sulla propria famiglia, ai poemi in prosa, raccolte di versi, lavori teatrali, traduzioni e saggi. Fra le opere più note da citare Memorie di Adriano, L’opera al nero, Alexis, Il colpo di grazia, Il sogno e la moneta.

 

Dalla storia al cosmo (interviste sull’opera e il divenire 1971-1979)

 

L’editore Bulzoni, nel maggio 2004 offre agli estimatori della Yourcenar il dono prezioso di due serie di interviste, più appropriato chiamarle conversazioni radiofoniche, concesse dalla illustre scrittrice a Patrick De Rosbo (11-16 gennaio 1971) ed a Jaques Chancel (11-15 giugno 1979) che ebbero il privilegio di essere ricevuti nella sua casa a Mont Desert, raccolte da Camillo Faversani ora sono presentate al lettore che, accostandosi ad esse, può apprezzarne il valore ed avvertire ancora oggi tutta l’attualità del pensiero di Margherite Yourcenar. Da esse emerge la personalità della scrittrice la quale si rivela ospitale, cortese e disponibile a lasciarsi “scoprire”, ma al tempo stesso illuminano sulla sua profonda conoscenza del mondo classico, sulla sua concezione del romanzo storico, sulle sue riflessioni a proposito del tempo presente e degli eventi che lo segnano negativamente e che indicano la cecità del mondo in cui viviamo. Le risposte che M.Y. dà non sono mai ovvie, mai scontate, ma cariche di significato, costringono a pensare, a porsi delle domande sull’operato e le scelte dell’uomo, a chiedersi se mai sarà possibile che esso prenda coscienza di sé.

La prima raccolta di conversazioni verte sui temi di tutta l’opera della scrittrice soffermandosi sulla struttura, i personaggi dei romanzi e delle pièce teatrali. Patrick De Rosbo, con domande mirate, fa in modo che il dialogo segua un percorso ben preciso toccando gli argomenti della forma letteraria, della storia, della saggezza e del mito così importanti per la scrittrice. Grazie alle sollecitazioni intelligenti e stimolanti del suo interlocutore, non solo giornalista, ma anche critico letterario, la studiosa si apre spingendosi fuori dal territorio a lei abituale, quello della riservatezza, per confessare le proprie preoccupazioni sui problemi dell’età contemporanea, dunque della nostra epoca, avvertendo la necessità anzi il dovere, l’impegno per lo scrittore di prendere posizione al loro riguardo.

Le seconde interviste a cura di Jaques Chancel, avvenute nel 1979, hanno un tono colloquiale, direi confidenziale, e ci offrono, come una primizia, il disvelarsi di una donna non solo scrittrice, studiosa colta e raffinata, osservatrice attenta della realtà e del momento storico in cui vive, ma anche creatura sensibile, gentile, disposta a manifestare i propri sentimenti come la comprensione, la solidarietà, la simpatia, ma anche il disappunto, lo sdegno, la riprovazione. Ama la sua casa zeppa di libri, il giardino, il vecchio cane. Si diverte alla vista degli scoiattoli. Apprezza i cordiali rapporti con i vicini. Confessa la sua passione per Bob Dylan. Si lamenta del clima freddo ed umido, ma abbraccia con lo sguardo addolcito il paesaggio circostante: boschi di betulle, foreste di conifere, case di legno sparse qua e là, brevi radure verdi, il cielo di un azzurro intenso, l’immenso e sovente tempestoso oceano. Subito, al primo contatto con il giornalista, tiene a precisare che abita in uno stato che appartiene agli indiani (1) e ciò è indicativo del suo sentire, della continua sua battaglia contro le ingiustizie e le prevaricazioni, sempre in difesa degli emarginati, delle vittime, dei deboli e degli oppressi, siano essi uomini o animali. Accanto a lei vive la gentile “amica americana” la quale ha cooperato alla ricerca di un luogo dove vivere insieme con reciproca stima, fedeltà e rispetto. Un ritiro, quasi un eremo, ma non un rifugio, piuttosto un approdo dove sostare per immergersi nella natura, studiarla, osservarla, raccontarla e soprattutto difenderla dagli abusi stolti del “mondo civile”, meglio ancora salvarla dallo scempio dei “barbari”. Dunque la Petite Plaisance non è un luogo di passaggio, ma di sosta per la riflessione lo studio e la meditazione.

M.Y. confessa al giornalista che Mont Desert, dove un intero popolo fu massacrato, è un osservatorio da cui può cogliere i segni negativi dell’epoca cui appartiene, avvertire le minacce che via via si presentano sulla scena del mondo e riflettere sul percorso della storia sostenendo che la violenza, la barbarie, gli orrori restano sempre attuali e possono ripresentarsi. Oggi tutto questo ci suona come una profezia, dopo le tragedie che hanno segnato sanguinosamente l’inizio del nuovo millennio. Eppure l’8 giugno 2003, centenario della nascita della scrittrice, la Francia quasi ignorò la ricorrenza poiché la sua classe culturale accusa M.Y. di essere poco moderna, relegandola nel ghetto della letteratura ormai superata ed obsoleta, dimenticando oppure volendo ignorare la grandezza e l’attualità della sua opera e del suo pensiero. A questo proposito Gabriella Bosco, proprio in occasione del centenario, scrisse sul “Corriere della Sera” che l’Italia avrebbe fatto bene ad apprezzare la grandezza di questa scrittrice e a mantenere vivo l’interesse per il suo pensiero sollecitando la lettura della sua opera ormai interamente tradotta nella nostra lingua.

 

(1) Alcuni anni prima un avvocato aveva difeso la causa degli indiani superstiti costretti a vivere in riserve ed era riuscito a dimostrare che i tre quarti del territorio del Maine appartenevano a loro di diritto, ma niente da allora è cambiato. A questo proposito M.Y. ironizza perché sulle monete americane da 5 cents è rappresentata una testa d’indiano da un lato ed il profilo del bisonte dall’altro: due razze decimate ed in via di estinzione.

 

*******

(in previsione delle vacanze, ecco alcune segnalazioni di libri utili)

 

Libri Claudiana

Novità Claudiana

 

Walter Brueggeman, Introduzione all'Antico Testamento
"Strumenti - Biblica" n. 21 - pp. 472 - euro 35,00


"A mio giudizio, il punto d'incontro tra il canonico e l'immaginativo è esattamente il luogo in cui avviene l'interpretazione più fedele e responsabile. Mi aspetto che questo sia l'approccio interpretativo di quanti considerano la Bibbia come norma e parola viva di Dio".
Questa la filosofia dietro all'opera in cui Brueggemann - uno dei massimi esperti di esegesi veterotestamentaria - introduce i lettori all'ampio contesto teologico e cronologico dell'Antico Testamento.


Analizzandone i libri secondo l'ordine della Bibbia ebraica, Brueggemann illustra, senza inutili tecnicismi, le principali tematiche e metodi dell'esegesi veterotestamentaria contemporanea offrendo indicazioni per una lettura responsabile sul piano teologico e documentata dal punto di vista critico. Una lettura che invita inoltre gli interpreti contemporanei al dialogo con gli ebrei sulla forza creativa del comune patrimonio biblico.

AA.VV., Libera chiesa in libero Stato?, a cura di Elena Bein Ricco, postfazione di Valdo Spini
"Nostro tempo" n. 84 - pp. 160 - euro 9,50



Dopo l'11 settembre le religioni - spesso nella forma inquietante degli integralismi e fondamentalismi - sono tornate a occupare la scena della storia reclamando il riconoscimento del loro status pubblico, quasi che la secolarizzazione, giunta al punto culminante, si capovolgesse nel suo contrario.

Quella delle relazioni tra Stati e confessioni religiose torna così a essere questione di grande rilievo culturale e politico in stretta connessione con l'interrogativo di fondo: quale laicità per le odierne società complesse segnate dal pluralismo?
Ci si deve attenere al modello classico di laicità liberale che,
prospettando la separazione tra Stato e chiese, cancella le convinzioni morali e religiose dalla sfera pubblica confinandole in quella privata? O si deve invece scommettere su una nuova idea di laicità, da intendersi in positivo come strategia del confronto pubblico tra le differenze culturali e religiose?

Saggi di Elena Bein Ricco, Biagio De Giovanni, Mostafa El Ayoubi, Paolo Naso e Sergio Rostagno.


Elena Bein Ricco, docente di storia e filosofia nei licei di Stato, è
membro della Commissione ministeriale per l'educazione interculturale e della redazione di "Protestantesimo".


Stephen J. Patterson, Il Dio di Gesù. Il Gesù storico e la ricerca del significato,a cura di Aldo Comba "Theologica" n. 3 - pp. 366- euro 29,50


Il libro di Patterson è una presentazione, in termini accessibili ma
rigorosi, degli studi sulla ricerca del Gesù storico e di come tale ricerca sia da sempre collegata a quella su Dio: ignorare il Gesù storico significa infatti non comprendere la specificità della fede cristiana per l'esperienza umana. Patterson presenta così anche una "teologia di Gesù", fondata su quegli aspetti della sua vita e dei suoi insegnamenti che proclamano un Regno e un Dio
diversi da quelli attesi da molti.

Da qui alcune domande inestricabilmente collegate ai testi e alle tradizioni del cristianesimo delle origini: Cosa significa che Gesù si accompagnasse con poveri, prostitute e lebbrosi? Cosa ha significato la sua morte per i seguaci? Perché si disse che "Dio l'ha risuscitato dai morti"? Ignorare tali domande significa non capire la profonda ragion d'essere di quei documenti del passato e del nostro interesse per essi, interesse che discende proprio dal significato che un tempo ebbero per altri esseri umani

Stephen J. Patterson insegna Nuovo Testamento all'Eden Theological Seminary di St. Louis, Missouri (USA), collabora con la "Bible Review" e il "Jesus Seminar".


 

Daniel Marguerat, Uomo che veniva da Nazareth. Che cosa si può sapere oggi su Gesù "Piccola collana moderna - Serie biblica" n. 111 - pp. 112 - euro 8,00

Maestro di spiritualità, leader degli oppressi, profeta della fine del Mondo o rabbino ispirato? Insomma, chi era l'uomo chiamato Gesù? Attendeva la venuta immediata del Regno? Aveva previsto la propria morte? Sapeva cosa sarebbe divenuta la chiesa?
Queste e altre domande, che hanno attraversato i secoli, conservano una sorprendente attualità: emblema di ogni ideologia, la figura di Gesù non sfugge infatti ad alcuna interpretazione.
Alla luce delle fonti disponibili e delle più recenti ricerche, Marguerat ci propone un ritratto inedito, una ricostruzione affidabile e rispettosa nel contesto della Palestina degli anni 30, che restituisce alla figura di Cristo consistenza storica, spirito e verità.
Ne emerge un Gesù in tutta la sua irriducibile singolarità, senza
confusioni tra ciò che concerne la fede e ciò che riguarda la storia, avvicinandoci alla comprensione del suo enigma.

Daniel Marguerat è professore ordinario di Nuovo Testamento presso la Facoltà di teologia dell'Università di Losanna.
In Italia ha pubblicato Vivere con la morte, Risurrezione, Introduzione al Nuovo Testamento e Paolo di Tarso, Claudiana

 

Mario Miegge, Capitalismo e modernità. Una lettura protestante "Piccola collana moderna - Serie storica" n. 112 - pp. 74 - euro 5,00

Come si configurano nel mondo contemporaneo i rapporti tra l'etica del protestantesimo e l'"agire razionale" dell'impresa capitalisica? Il dibattito, avviato un secolo fa con il celeberrimo saggio di Max Weber, intitolato appunto L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, può essere ormai archiviato o rimane tuttora aperto? Possiamo ancora considerare "razionale" un sistema economico che nel suo inarrestabile sviluppo planetario mina l'ambiente vitale della Terra? È possibile ricostruire un "governo
politico" dell'economia in un'epoca in cui il capitalismo sembra tornare allo "stato selvaggio" delle origini? Una disamina delle interpretazioni del capitalismo e dei cambiamenti di atteggiamento rispetto all'economia alla luce dei dati odierni, rammentando - in
un'epoca storica in cui tutti i politici si dichiarano "riformisti" - che la Riforma del XVI secolo, così come ogni riforma, fu anche dura lotta contro l'inerzia culturale e mentale nonché contro il dominio della "superstizione".

Mario Miegge è professore emerito di Filosofia teoretica nell'Università di Ferrara.

 

Elsa Tamez, Qoelet ovvero il dubbio radicale
"Piccola biblioteca teologica" n. 67 - pp. 192 - euro 14,50

Per Elsa Tamez, il Qohelet - che a una prima lettura sembrerebbe offrire un tipo di saggezza avulso da questioni politiche, sociali e storiche - è opera di sorprendente attualità e grande rilevanza per la nostra epoca. Come nell'età ellenistica in cui questo libro biblico fu redatto, anche oggi, nell'epoca della globalizzazione, le speranze utopiche possono infatti apparire assenti e gli orizzonti chiusi.
In mancanza di precise prospettive di cambiamento, le massime di saggezza del Qohelet - che sottolineano come per tutto ci sia il suo tempo—riaffermano con forza la gioia di vivere, aiutandoci ad aprire, giorno dopo giorno, spazi di vita buona in un'epoca che a molti appare disumanizzante. Una lettura che esorta dunque ad affrontare con dignità e fede la sfida di vivere nel presente, conservando una certa apertura a un futuro diverso e riorientando il mondo verso il tempo di Dio.


Elsa Tamez, teologa messicana nota per i suoi studi di teologia femminista e di teologia biblica, è ordinaria di Scienze bibliche e presidente della UBL, Università Biblica Latinoamericana, di San José di Costarica.

 

Eberhard Jüngel, Possibilità di Dio nella realtà del mondo. Saggi teologici "Theologica" n. 4 - pp. 442 - euro 34,00
Eberhard Jüngel insegna Teologia sistematica e Filosofia della religione a Tubinga.

Nel panorama teologico degli ultimi decenni Eberhard Jüngel ha un ruolo di primissimo piano. Cresciuto teologicamente alla scuola di Gerhard Ebeling ed Ernst Fuchs da un lato e di Karl Barth dall'altro, Jüngel ha sviluppato una riflessione al tempo stesso originale e classica nella quale l'attenzione protestante alla
Parola di Dio come luogo della rivelazione entra in dialogo serrato con la tradizione filosofica occidentale.
In tale quadro, i saggi presentati in questa raccolta costituiscono una
sorta di summa del suo pensiero, un filo rosso per orientarsi all'interno della complessa articolazione dei suoi oltre trent'anni di elaborazione teologica. Si tratta di scritti densi e pieni di fascino, spesso severi nei confronti delle mode teologiche e sempre capaci di aprire orizzonti di pensiero insospettati: una scuola di riflessione teologica sia per quanti ne conoscono già le opere più ampie sia per quanti lo incontrano per la prima volta in queste pagine.

Notizie dalle chiese fiorentine

Dalla Chiesa battista di Firenze

1 giugno: il pastore Raffaele Volpe ha animato una conversazione sui temi della bioetica e della fecondazione assistita. Una ventina di presenti, di cui la metà era costituita (sorpresa!) da giovani “esterni” al nostro ambiente.

2 giugno: Partecipazione al raduno Regionale Acebt-X Circuito. L’organizzazione promossa dalla chiesa di Borgo Ognissanti ha curato la partecipazione di 48 persone (inclusi 7 bambini, 9 simpatizzanti, 3 dalla chiesa battista rumena e 12 fratelli e sorelle della chiesa battista francofona).

5 giugno: E’ cominciato il ciclo di seminari estivi della domenica mattina (ore 9:30) su temi biblici e teologici curati dal past. Piero Bensi. Il tema trattato per l’occasione: “La chiesa”.

Nel pomeriggio pic-nic alle Cascine per festeggiare la chiusura dell’anno di Scuola Domenicale. 25 partecipanti tra adulti e bambini, con partita di calcio e guerra di pistole ad acqua. Risate a volontà.

8 giugno: Incontro e Cena con Fred Anderson, storico battista della Virginia (Usa), nel quadro dello scambio in corso da qualche anno tra chiese battiste italiane e chiese battiste della Virginia. A breve scadenza 4 leggiadre fanciulle fiorentine da Borgognissanti voleranno verso gli USA (unendosi ad un gruppo di altri giovani battisti italiani). Mentre, a nostra volta, siamo in attesa di accogliere a Firenze 2 giovani sorelle battiste della Virginia.

12 giugno: Nell’ambito dei seminari estivi rivolti alla formazione degli adulti il pastore Bensi ha concluso la trattazione sul tema “La chiesa”.

 

19 giugno: Ore 9:30) Il seminario per gli adulti è proseguito con la trattazione del tema “Il battesimo”, ancora a cura del pastore Piero Bensi. Dalle 12:00 alle 18:00 si è riunito il Consiglio di Chiesa per la programmazione dell’anno ecclesiastico 2005/2006, ma anche per un incontro fraterno con i rappresentanti delle comunità di lingua rumena, latinoamericana e filippina con i quali condividiamo non solo gli spazi comuni ma anche la vocazione all’annuncio dell’Evangelo in questa città: oltre alla reciproca premura nella gestione dei locali e dei tempi di fruizione, si prevedono anche per l’anno prossimo occasioni di scambio sempre più intense, nella prospettiva dell’Essere chiesa insieme.

26 giugno: Il pastore Piero Bensi ha concluso i seminari estivi rivolti alla formazione degli adulti con l’ultimo intervento sul tema “La Cena del Signore”. Anticipiamo che con la stessa felice formula della domenica mattina (ore 9:30) partirà in Settembre un corso di omiletica sempre curato dal pastore Piero Bensi.

29 giugno: Incontro di preghiera in casa Brandoli-Tonarelli. Si consolida la composizione multiculturale del gruppo.

 

Durante tutto il mese il gruppo di Solidarietà ha proseguito la sua opera di sostegno a fratelli e sorelle in difficoltà di vario genere. Così come sono proseguite le visite domiciliari del gruppo Assistenza. Una piccola squadra di volontari ha effettuato nelle date del 13 Giugno (in serata) e Sabato 18 giugno (tutto il pomeriggio) 2 vigorosi interventi di pulizia generale dei Locali di Culto con un radicale “svuotatutto” di stanze e stanzine.

 

Dalla Chiesa Metodista di Firenze

 

Tempo di cambiamenti per la chiesa metodista di Firenze: il past. Bruno Rostagno con sua moglie Laura Micheletti stanno per trasferirsi a Brescia, per emeritazione Bruno e per lavoro Laura. Sono stati salutati già in più occasioni e in particolare lunedì 20 giugno si è trascorsa una serata insieme in forma di àgape con membri delle tre chiese (BMV) e anche dall’Esercito della Salvezza, in via Manzoni. Si è conclusa una felice serata con la visione di un filmato del vecchio spettacolo teatrale di Dario Fo “Il Mistero Buffo”.

Il past. Augusto Giron lo sostituirà nella cura della chiesa. E’ già arrivato insieme a sua moglie Mirna e ai suoi figli Gabriel e Debora. I lettori di Diaspora impareranno presto a conoscerli.

Prossimi appuntamenti: Domenica 3 luglio, ore 10.30: culto con S. Cena. Commiato del pastore Rostagno

Domenica 17 luglio: Ore 10.30: Culto con insediamento del pastore Giron.

 

Dalla Chiesa Valdese

 

Sabato 11 giugno si sono uniti in matrimonio Silvia Rossi e Gianluca Conti; la past. Dorothea Muller ha celebrato il matrimonio avendo così l’occasione per salutare molti vecchi conoscenti ed amici. Auguri agli sposi e auguri anche alla past. Muller che si trasferisce a Siena e dunque torna ad essere nostra vicina di casa.

Paola Reggiani ha tenuto il culto del 12 giugno mentre alcuni erano alla Conferenza Distrettuale.

Nel mese di giugno ci sono ancora state molte riunioni di collegamento e preparazione dei programmi per i prossimi incontri interreligiosi, che cominceranno il prossimo Ottobre. Anche il Comune di Firenze sta preparando una audizione dei rappresentanti delle diverse fedi per istituire una Consulta delle Religioni, per la quale il consigliere prof. Marco Ricca si sta adoperando.

Domenica 26 c’è stato un culto-concerto con la partecipazione del Coro americano di Lake Grove (Oregon).

Molte attività sono chiuse e la pastora va in ferie fino al 4 agosto. La sostituisce il past. Augusto Giron (393 920039203), mentre la chiesa Holy Trinity rimane chiusa nell’orario dei valdesi (continuano i culti in lingue straniere), che parteciperanno al culto della Chiesa Metodista di Via de’ Benci, sempre alle 10.30.

In agosto si chiuderà la chiesa metodista e riaprirà la chiesa valdese con culti in comune fra valdesi e metodisti. In agosto riprenderemo le simpatiche serate di agapi e films o giochi vari.

 

“Non perdiamoci di vista!”