Diaspora evangelica

Mensile di collegamento, informazione ed edificazione

Anno XLI – numero 2 - febbraio 2008

 

 

6 luglio 61

di Dag Hammarskjöld*

 

Stanco

e solo.

Stanco da dolerne l’anima.

Giù per le rocce

filtra l’acqua del disgelo.

Intirizzite le dita,

tremano le ginocchia.

È proprio ora,

ora che non puoi cedere.

 

Il cammino degli altri

ha soste al sole

dove si incontrano.

Ma questo è il tuo cammino,

ed è proprio ora,

ora che non puoi tradire.

 

 

 

* 1905-1961, luterano, diplomatico svedese, segretario generale dell’Onu, morto in un oscuro incidente aereo nel pieno della crisi congolese. Il brano è tratto dal suo diario, intitolato Tracce di cammino.


 

In questo numero:

-        Meditazione biblicadi Pawel Gajewski

-        Giovanni Diodati - traduttore della Bibbia di Emidio Campi

-        Il naso tra i libri di Sara Pasqui Rivedi

-        Sugli scaffali della Libreria Claudiana di Pasquale Iacobino

-        Diritto di morire di Roberto Davide Papini

-        Dalla Radio Voce della Speranzaa cura della Redazione RVS

-        Notizie dalle associazioni e dalle Chiese evangeliche fiorentine

-        Archivio della DIASPORA: Diversità riconciliata? di Gino Conte

-   Dalla nostra agenda

 

 

Editoriale

Per motivi di spazio il nostro editoriale è ridotto allo stretto necessario.  È una soddisfazione avere abbastanza materiale da sfruttare tutto lo spazio disponibile; è sintomo di una notevole vivacità delle nostre piccole chiese.

Abbiamo riservato uno spazio congruo al tema dell’ecumenismo. Riteniamo che sia più indicato fornire alcuni spunti di riflessione anziché presentare una mera cronaca della settima di preghiera per l’unità dei cristiani che si è appena conclusa.

Il mese di febbraio invece sarà segnato da un altro tema di grande importanza: la libertà religiosa. Nella nostra agenda ci saranno almeno due appuntamenti importanti: la mostra dedicata a Martin Luther King e la giornata della libertà religiosa. Nel prossimo numero cercheremo di trasmettere i principali contenuti di questi due importanti eventi.


Misericordia, compassione e unità nella fede (Romani 9,14-16)

 di Pawel Gajewski

Questi pochi versetti fanno parte di un grande (e grandioso!) discorso di Paolo dedicato al Popolo d’Israele (capitoli 9-11). È un discorso di capitale importanza per tutta la teologia cristiana. Oggi, in questa domenica che cade a metà della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, possiamo anche dire che si tratta di un discorso particolarmente ecumenico. Qual è la sua tesi? Chi conosce superficialmente gli scritti di Paolo potrebbe pensare che egli voglia mettere da parte l’Israele con i 613 precetti della Torah, con la sua ritualità, affermando che i cristiani hanno preso il posto degli ebrei nella storia della salvezza. Ricordiamo qui la dura polemica con i sostenitori della circoncisione le cui testimonianze si sono conservate nell’Epistola ai Galati.

La tesi di Paolo non è però questa. Dio non ha respinto il suo popolo. La fede tuttavia vale più dei precetti della Torah e quindi Abraamo è il padre di tutti, degli ebrei, sì, ma anche dei non ebrei che credono che in Gesù si compie la Torah (legge). Questa seconda categoria però non è più sottoposta ai precetti rituali perché l’innesto nella discendenza di Abraamo avviene esclusivamente grazie alla misericordia di Dio.

Questa, in estrema sintesi, è la teologia di Paolo, ma il breve testo che stiamo analizzando ci permette di allargare la nostra riflessione. Il centro del brano è una citazione tratta dal libro dell’Esodo 33,19: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione». Entrambi i concetti ebraici, misericordia e compassione, fanno riferimento alle relazioni di famiglia; la misericordia allude ai rapporti tra fratelli (fraternità) la compassione fa pensare al seno materno e quindi a un rapporto particolarmente forte. Tutto questo contrasta abbastanza con la grammatica della frase che fa pensare a un sovrano assoluto che pronuncia una sentenza.

La bellezza del testo è da cercare proprio in questo contrasto, in questo stupendo paradosso: da un lato la tenerezza materna e la solidarietà fraterna, dall’altro la sua sovranità assoluta. Paolo tuttavia, da buon maestro, aggiunge una spiegazione: «Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia» (v. 16). La frase si riferisce a Giacobbe ed Esaù. Conosciamo bene questa storia: Dio elegge Giacobbe e non Esaù, il primogenito dei due fratelli e questo non avviene in base alle opere o al merito conseguito ma esclusivamente grazie a una sovrano atto di misericordia. Questa riflessione biblica ha suscitato un dibattito plurisecolare sulla cosiddetta predestinazione, da Agostino a Calvino, da Giovanni Diodati a Karl Barth.

Ma la predestinazione non è l’argomento di questa meditazione. Questa domenica siamo chiamati a riflettere sull’unità dei cristiani. Esattamente un secolo fa è nata, in alcuni ambienti dell’anglicanesimo e del protestantesimo anglosassone, l’idea di pregare per l’unità dei cristiani; è successo molto prima dei grandi colloqui teologici. Era un’epoca in cui ogni chiesa cristiana riteneva di avere il monopolio della verità. Le cose che per noi oggi sono ovvie: la piena comunione con le sorelle e i fratelli metodisti in Italia, la concordia di Leuenberg che sancisce una simile comunione tra luterani e riformati in tutti i paesi dell’Europa, la nostra collaborazione con i battisti, il Consiglio ecumenico (mondiale) delle chiese, il quale, nonostante tante difficoltà, da sessant’anni unisce (anche visibilmente) tutte le chiese cristiane, tranne quella romana; sono passi da giganti che non erano immaginabili allora. In questo processo conciliare tuttavia bisogna riconoscere, prima di tutto, l’azione della Grazia, legata alla preghiera incessante di tante persone credenti.

La situazione del cristianesimo oggi è senz’altro diversa rispetto a un secolo fa; le divisioni in ogni caso non mancano. Da un lato c’è il papato. L’anno scorso il nostro sinodo ci ha ricordato, la triste verità che il papato costituisce il più grande ostacolo istituzionale per l’unità dei cristiani. Ci sono anche frange estreme dell’evangelismo nell’America del Nord o dell’ortodossia orientale che rifiutano qualunque idea di dialogo con altre denominazioni cristiane non riconoscendole affatto come chiese di Gesù Cristo.

L’invito alla preghiera per l’unità dei cristiani è dunque oggi ugualmente valido. Dobbiamo però fissare bene l’oggetto della nostra intercessione. Per che cosa preghiamo? Ho la sensazione che anche tra coloro che in questi giorni si riuniscono per pregare le intenzioni non saranno proprio uguali. Qualche cattolico zelante pregherà senz’atro affinché gli ortodossi e i protestanti si sottomettano al potere del papa. Qualche evangelico fervente pregherà affinché il papa si converta e accolga tutte le istanze della Riforma protestante.

Lo scrittore polacco ottocentesco Henryk Sinekiewicz, noto in Italia grazie al suo romanzo Quo vadis, fu anche autore di brevi racconti di edificazione cristiana. In uno di questi racconti egli parla della preghiera, paragonandola a tante colombe che si alzano in volo per raggiungere il cielo. Solo che a una certa altezza tutte le colombe si trovano in una specie di mischia, impigliandosi le ali a vicenda e azzuffandosi per cadere alla fine in terra. In certo momento, nel bel mezzo di questa confusione una colomba bianca spicca il volo e senza alcun intoppo, in pochi istanti raggiunge il cielo per posarsi serena e tranquilla sul seno dell’Eterno. La parabola è facile da interpretare: le colombe che cadono sono le preghiere che si contrastano, che in fondo pensano al proprio vantaggio a discapito dell’altro; il contadino invoca un raccolto abbondante, il commerciante invece chiede che diminuisca la quantità del grano sul mercato per rivendere con profitto le sue scorte.

Che cosa significa in questo quadro la colomba bianca? È la preghiera di un bambino che non chiede nulla per sé, ma semplicemente loda Dio per la sua bontà e per la sua compassione. Traendo spunto da Sienkiewicz, vorrei terminare la predicazione, affermando che quando dai nostri cuori purificati dallo Spirito si alza la preghiera di lode e di adorazione, proprio in questo momento si manifesta visibilmente l’unità dei credenti in Gesù Cristo che è già in atto, che è stata sempre reale e che dipende esclusivamente dalla misericordia di Dio.

 

Giovani Diodati e la sua traduzione della Bibbia in italiano

  di Emidio Campi (seconda parte)

Intervento al convegno del 2 dicembre 2007 al Centro polivalente avventista sui 400 anni della Bibbia del Diodati

 

La Bibbia del 1607: i presupposti teologici

Nell’estate del 1607, la traduzione preparata dal Diodati fu messa a stampa con il titolo: La Bibbia, cioé i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nuovamente traslatati in lingua Italiana da Giovanni Diodati di nation Lucchese. L’edizione conteneva gli apocrifi posti tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Era corredata, salvo gli apocrifi, di note esplicative molto brevi, contenute nei margini, mentre ogni libro ed ogni capitolo erano preceduti da una breve introduzione-sommario. Si tratta di una bella edizione in quarto grande, con capolettera silografici, fregi, e nitido carattere. Noi sappiamo oggi che fu stampata a Ginevra, per i tipi della tipografia di Jean de Tornes, ma sul frontespizio non compare né il luogo di stampa, né lo stampatore; viceversa, ampio rilievo viene dato all’incisione raffigurante un seminatore intento a seminare un campo, evidente allusione all’omonima parabola evangelica.

Non si stenta a riconoscere nell’illustrazione un eloquente atto di accusa contro il cattolicesimo post-tridentino, quando si pensi all’ assoluto divieto, allora vigente, di tradurre e leggere la sacra Scrittura in volgare, né è difficile intuire che l’omissione del luogo di stampa e dello stampatore è deliberata Del resto, una lettera di Diodati allo statista e storico francese Jacques-Auguste de Thou del 13 luglio del 1607, fuga ogni dubbio e riflette puntualmente i sentimenti del giovane traduttore, ossia il suo ardente desiderio di „aprire la porta ai nostri italiani per la conoscenza della celeste verità“. La Bibbia Diodati del 1607 doveva servire ai bisogni del culto della comunità degli esuli di lingua italiana sparsi in Europa, e al tempo stesso favorire il diffondersi delle idee evangeliche in Italia. In parole povere, è stata concepita come strumento di edificazione e di battaglia. Direi che chi voglia celebrare l’opera del Diodati ignorando questi due aspetti, o evidenziando magari unicamente quello letterario, magari tirando in ballo la veneranda accademia della Crusca, si prende con la storia delle libertà davvero grosse. E direi che non rende omaggio neanche alla memoria delle gerarchie ecclesiastiche post-tridentine che osteggiarono duramente la Bibbia Diodati. Perché nemmeno di costoro si ha il diritto di ignorare le ragioni e la coerenza, anche se si ha il dovere di dire che impedendo la diffusione in volgare della Bibbia sbagliarono sotto ogni punto di vista, compreso quello stesso dell’avvenire del cattolicesimo.

Noi possiamo essere rispettosi della verità storica soltanto prendendo atto della drammaticità di quegli anni e dell’estrema serietà dei motivi che portarono gli uni a combattere contro gli altri. Perché mai la Chiesa Cattolica si trincerò dietro la Vulgata e rifiutò la traduzione della Bibbia in volgare? Essa era convinta di poter battere così le manipolazioni del testo sacro da parte degli ebrei, degli eretici, dei greco-ortodossi e dei musulmani (ormai padroni incontrastati dei patriarcati di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli). Del resto, il testo latino della Vulgata, pur datato e con i suoi limiti, non era per nulla disprezzabile, trattandosi di una versione ottenuta da Girolamo utilizzando i testi originali greci ed ebraici. Ha creduto quindi, in contrasto con tutta la mentalità critica dell’ umanesimo, di poter evitare errori e imprecisioni attribuendo a quella versione una autorità normativa “nelle lezioni accademiche, nelle dispute, nella predicazione e spiegazione”, col risultato certo di ristabilire l’ordine nelle proprie fila, ma anche di sottrarre la Scrittura alla critica, all’ interpretazione, alla discussione fra i teologi, e tanto meno tra il popolo dei credenti. Tanto più abbiamo il dovere di affermare con pacata sobrietà che Diodati, sulla scia dei Riformatori, partiva non da un discorso di opportunità contingente, ma da una convinzione teologica di fondo, che solitamente condensiamo nella formula sola scriptura. Detto molto semplicemente, egli riconosceva nella Scrittura il vaso d’argilla nel quale Dio ha nascosto il tesoro dell’ Evangelo. La via della reale appropriazione di quel tesoro passa, secondo Diodati, attraverso un continuo e personale confronto, difficile eppure fiducioso, con la parola biblica che ci è stata trasmessa e in cui siamo chiamati a “dimorare” con perseveranza.

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La Bibbia del 1607: lo sfondo storico

La questione se la Bibbia dovesse essere relegata sulla sfondo della vita e della cultura di un paese o se viceversa dovesse essere resa accessibile ai più vari strati sociali divenne di scottante attualità con la faccenda dell’ interdetto di Venezia. Come è noto, nell’aprile del 1606 il papa Paolo V lanciò l’interdetto contro Venezia. La repubblica reagì decretando l’espulsione dei gesuiti e impugnando brillantemente la giustificazione dottrinale dell’ azione del papa attraverso fra’ Paolo Sarpi. Fu questa la crisi più grave che il cattolicesimo abbia conosciuto in Italia in epoca protomoderna. Tra coloro che nutrivano umori antipapali e antispagnoli vi era anche lo scaltro Sir Henry Wotton, l’ ambasciatore d’ Inghilterra presso la Serenissima, il quale svolse un’azione missionaria tendente ad introdurre in Venezia la Riforma. A tal fine, egli si rivolse al Diodati, chiedendogli dapprima di aiutarlo a trovare una persona adatta alla propagazione della fede evangelica, poi sollecitandolo ad intervenire direttamente.

 

 

Il naso tra i libri: Baby Halder, storia di un riscatto sociale

di Sara Pasqui Rivedi

 

Baby Halder è una giovane donna indiana che ha trascorso buona parte dei suoi ventinove anni a pulire e riordinare le case altrui, oggi è una scrittrice di successo. Lo è diventata scrivendo la storia della sua vita che ha incontrato il favore della critica più progressista del suo paese con la motivazione di essere una autentica testimonianza della discriminazione sociale di cui sono vittima le donne in India.

Baby Halder in Una vita meno ordinaria narra di sé, delle sue tristi e dolorose esperienze rievocando un’infanzia infelice, un’adolescenza violata, una giovinezza sottratta e frodata. I primi anni di vita sono segnati dalle frequenti e prolungate assenze del padre il quale si allontana per lavoro e regolarmente si dimentica di provvedere alla famiglia. Ogni tanto fa ritorno a casa e si ferma per brevi periodi, ma è un uomo irascibile e collerico che batte sovente i figli per cui questi lo temono e lo evitano. La madre aspirerebbe ad una maggiore sicurezza economica invece è costretta a privazioni ed umiliazioni poiché il piccolo cosmo in cui vive è regolato da norme alle quali le donne non possono sottrarsi senza subire l’ostracismo di tutta la comunità. Un giorno, colta da disperazione, si allontana dalla casa e dal villaggio senza lasciare traccia di sé, portandosi appresso il figlio più piccolo e abbandonando al loro destino gli altri tre.

Ben presto Baby prende coscienza delle difficoltà a cui deve far fronte per provvedere ai fratelli e a se stessa, il ritorno del padre le procura sollievo, ma di breve durata, poiché l’uomo non ha alcuna intenzione di occuparsi dei figli, anzi si prende una nuova moglie che mal li sopporterà.

Baby è una bambina tranquilla, giudiziosa, intelligente, ma ha una gran voglia di uscire, correre, giocare, invece deve restarsene in casa, vivere appartata, non fraternizzare con i coetanei, poiché alle femmine non è concessa alcuna libertà. A dodici anni, viene data in moglie ad uno sconosciuto, un uomo assai più anziano di lei che si rivelerà violento e brutale, ma il padre vuole liberarsi della figlia e così, senza informarsi e senza consultarsi con i parenti, concorda il matrimonio. La fanciulla ingenua ed inesperta subirà ogni genere di violenze, il marito rozzo ed insensibile, la schiavizzerà e tormenterà con maltrattamenti ed abusi sessuali. Darà alla luce tre figli affrontando ogni volta i lunghi mesi della gravidanza nel più totale abbandono priva di attenzioni e di cure adeguate, soprattutto senza ben capire cosa sta accadendo nel suo corpo. I parti si presenteranno con complicazioni e difficoltà tali da richiedere l’intervento del medico ed il ricovero in ospedale, ma il disinteresse, la negligenza e i pregiudizi del marito non permetteranno solleciti soccorsi mettendo così a rischio la vita della giovane madre. Tuttavia le sofferenze che Baby esperimenta cooperano a maturarla ed in breve tempo prende coscienza della sua infelice condizione, sa di non poter confidare nell’aiuto di nessuno se non di sé stessa e capisce anche che deve appropriarsi della sua vita e gestirla nella maniera più confacente al bene dei figli. Malgrado l’opposizione del marito decide di cercarsi un’occupazione prestando la sua opera come domestica. Vuole guadagnare qualche rupia da spender per i bambini, aspira a far loro frequentare la scuola affinché abbiano una prospettiva di vita migliore. Da questa aspirazione ha inizio il riscatto della scrittrice, si rifiuta di sottomettersi alle imposizioni di un marito che non ha mai avuto alcun rispetto per lei calpestando la sua dignità di donna. Si ribella ad un sistema che da secoli annulla la personalità femminile, reclama il diritto all’autodeterminazione ed infine decide di abbandonare il villaggio per trasferirsi in una grande città per liberarsi da ogni tabù.

Baby non è una donna fragile, ma padrona delle proprie azioni e decisioni, ben determinata a realizzare il suo progetto, lavorare non la spaventa né la scoraggia. Raccoglie le poche cose che possiede, prende i suoi tre figli e parte per la città di Delhi alla ricerca di un’occasione favorevole. La giovane è veramente coraggiosa perché va verso l’ignoto, non ha alcun punto di riferimento o prospettive certe, confida solamente nella sua determinazione e volontà. L’inizio sarà veramente faticoso e difficile, qualche notte si ritrova a bivaccare sui marciapiedi insieme ai bambini, è costretta a separarsi dal figlio maggiore per collocarlo a lavorare, si arrangerà a vivere in luoghi squallidi, dei veri tuguri, tirando avanti come può. Troverà da sistemarsi come domestica, ma i padroni la sfrutteranno costringendola a lavorare dalla mattina presto fino a tarda sera. Infine viene assunta da una famiglia un po’ speciale, tutti la trattano con umanità, non pretendono l’impossibile ed il padrone in breve tempo si rivela un uomo dai modi gentili e di buon cuore che Baby chiamerà Tatush cioè padre con un nomignolo tenero ed affettuoso. Tatush è Prabodh Kumar professore emerito di antropologia. Un giorno sorprende la giovane a spolverare i libri della sua biblioteca con gesti così delicati ed amorevoli da stupirlo ed incuriosirlo. Chiedendo alla donna il motivo di tanto rispetto ed attenzione scopre che sa leggere, che si rammarica di non aver terminato la scuola e che desidera ardentemente dare una buona istruzione ai suoi figli. Tatush con la sua magnanimità contribuirà a dare una svolta decisiva alla vita di Baby. Apprezzando il suo amore per il sapere le permette di attingere alla biblioteca guidandola nella scelta dei libri e conosciuta la sua storia la incoraggia a scriverla. Il racconto è valutato positivamente da alcuni eminenti personaggi, amici del professore, che si adoperano affinché venga pubblicato. Sarà un vero successo che Baby Halder condividerà con la famiglia che l’ha adottata come una figlia.

 

Baby Halher, Una vita meno ordinaria, Bompiani editore, 2007, pp.235, € 15.50

 

 

Sugli scaffali della Libreria Claudiana di Firenze

Di Pasquale Iacobino

 

Ancora una volta nella narrativa contemporanea ricompare la sanguinosa vicenda degli anabattisti rivoluzionari del 1534 e l'utopia di Münster, la Gerusalemme Celeste governata da un pugno di millenaristi visionari capeggiati da Jan Beukels (o Bockelson) da Leida, un sarto olandese divenuto Profeta, Re, nonché redivivo Kristus.

Schneider ne racconta la vicenda, i successi e le degenerazioni, in un romanzo avvincente, ironico e drammatico come paradossale e tragica fu la storia dell'esperimento di governo teocratico instaurato a Münster dall'ala estrema dell'anabattismo olandese e tedesco. Da leggersi tutto d'un fiato.

Sarti e massaie, panettieri e borgomastri, fabbri e ragazzini, mercanti di stoffe, falegnami e contadini convertiti alla nuova fede, asserragliati nella cittadella, combattono contro cattolici e luterani (alleati per estirpare l'eresia anabattista), sorprendendo a più riprese i mercenari lanzichenecchi. Ma l'avversario più temibile e invincibile si annida all'interno delle mura di Münster, tra le pieghe del cuore degli uomini e della loro sete di verità.

Per chi volesse approfondire sul piano storiografico richiamiamo l'insuperata e monumentale opera del compianto Ugo Gastaldi, Storia dell'Anabattismo (Claudiana, 1972-1981) in particolare all'ultimo capitolo del primo volume.

 

Robert Schneider, Kristus, Neri Pozza Editore, Vicenza 2006, pp.550, € 18,50

 

Libreria Claudiana di Firenze

Borgo Ognissanti 14/R

dal lunedì al sabato dalle ore 10 alle 13 e dalle 16 alle 19:20

tel. 055.28.28.96

libreria.firenze@claudiana.it

 

 

 

Diritto di morire

di Roberto Davide Papini

 

Non si può che concordare con Marco Ricca, presidente del Centro culturale protestante “Pietro Martire Vermigli” nel dire che quella dedicata al dibattito sul “Diritto di morire” è stata «Una serata all’insegna dell’umanità». Già, umanità e confronto a tutto campo, senza schematismi o chiusure sia da parte dei relatori (volutamente scelti come espressione di diverse sensibilità sull’argomento) che da parte degli interventi venuti dal pubblico che ha affollato la sala di via Manzoni. Il “Vermigli” ha chiamato a discutere Carlo Casini (deputato al Parlamento Europeo, fondatore e leader del Movimento per la vita); Mario Melazzini (medico cattolico affetto da Sla, sclerosi laterale amiotrofica), Mina Welby (vedova di Piergiorgio Welby, malato di Sla che del suo diritto a morire ha fatto una battaglia politica) e il pastore valdese Pawel Gajewski.

Il tutto moderato da Ricca, che ha messo nel dibattito spunti e riflessioni stimolanti, anche a partire dalla sua esperienza di medico. Dopo un paragone piuttosto avventuroso con il tema del suicidio, Casini ha insistito sul fatto che «la vita è un bene indisponibile e pertanto non esiste un “diritto di morire”». Casini ha ripreso le parole di Giovanni Paolo II per dire che «tutte le vite sono uguali in dignità e la vita stessa rappresenta un valore irrinunciabile per tutte le condizioni».

Diversa e originale l’impostazione dell’intervento di Gajewski che è partito dal pensiero di Hans Jonas, per sottolineare come il diritto alla vita sia alla base di tutti i diritti, compreso quello di morire. Per Gajewski «è il concetto di vita non quello di morte che governa la questione del diritto di morire. Il diritto di vivere — ha detto Gajewski — come fonte degli altri diritti, compreso quello di morire. Il diritto di morire con dignità, serenamente, in fondo non è altro che il diritto di vivere». D’altronde, proprio un libro di Jonas ha “prestato” il titolo al dibattito fiorentino. Gajewski ha sottolineato l’esaltazione del «Dio che rinuncia consapevolmente alla sua onnipotenza per calarsi nella sofferenza umana per viverla fino in fondo».

Molto stimolante è stato anche l’intervento di Mario Melazzini, che ha spostato la discussione su un piano diverso: il diritto fondamentale di chi decide di andare fino in fondo nel percorso della malattia a essere sostenuto e accompagnato. Secondo Melazzini, il problema non è tanto il diritto di morire («In tanti anni di attività come oncologo non ho mai trovato malati terminali che volessero morire») quanto quello di essere assistiti: «Quanto si fa per quelle persone che versano in condizioni patologiche e di disabilità? Il problema è l’abbandono assistenziale» ha detto Melazzini.

Emozionante è stato l’intervento di Mina Welby che ha ripercorso con tenerezza e intensità la vicenda di Piergiorgio Welby, la sua battaglia per i diritti dei malati terminali. Anche per il diritto a dire basta con le cure quando la sofferenza è l’unica prospettiva: «La vita è qualcosa di più grande del cuore che batte o dei polmoni che respirano. È la nostra coscienza, la nostra libertà. Non è un meccanismo di organi che è fragile. Noi uomini siamo diventati vitalisti: vita ad ogni costo, anche se è solo sofferenza e oltraggio alla persona. Cioè accanimento terapeutico fatto di cure inutili che non danno più nemmeno sollievo. Credo che in un frangente simile una persona possa ben accettare la morte e che le debba essere dato atto».

Considerazioni che non possono che ricollegarsi con la conclusione proposta da Gajewski, rivolta ai credenti e alle chiese: «Quale immagine di Dio trasmettiamo? Un Dio pieno di compassione, che rinuncia volontariamente alla sua potenza per farsi partecipe delle nostre sofferenze o un Dio minaccioso che tiene l’essere umano prigioniero delle sue leggi? E quale immagine di chiesa? Una chiesa capace di parlare ai cuori e formare le coscienze alla libertà e alla responsabilità o una chiesa che ha bisogno di un potente braccio secolare dello Stato per assicurarsi l’adempimento delle proprie norme etiche?». Ogni riferimento all’attualità e alle ingerenze vaticane appare evidente e (a mio modesto parere) opportuno.

 

 

 

 

 

Dalla Radio Voce della speranza: il bilancio di una scommessa

a cura della Redazione RVS

 

Con questo numero iniziamo per i lettori di Diaspora Evangelica una breve presentazione di alcuni programmi trasmessi con cadenza settimanale da radio Voce della Speranza (92,4 Mhz). Il primo di cui vorremmo parlarvi va in onda in diretta nazionale ogni venerdì dalle 11 alle 12 dalla “stazione” radio di Firenze e si chiama “L’altrobinario”, domande , testimonianze e percorsi da condividere insieme”. E’ condotto da una strana coppia, il”pasionario” Claudio Coppini e il pastore avventista Davide Mozzato, una coppia apparentemente male assortita, e invece molto affiatata (non so se ricordate la serie televisiva “Attenti a quei due”). Come si legge nel sito internet www.radiovocedellasperanza.it, l’altrobinario nacque in modo del tutto “casuale” venerdì 13 settembre 2004. Claudio si trovava per “caso” negli studi di RVS praticamente da ascoltatore (colpito dal messaggio del Cristo) quando Davide gli rivolse l’invito a fargli compagnia in diretta. Si sviluppò immediatamente un bel dialogo fra loro e con gli ascoltatori, in un contesto tra  lo scherzoso e il serio. Questo convinse “lupo grigio” (alias Claudio Coppini) a ripetere l’esperienza. Ricorda Claudio: “Sin da quel giorno abbiamo provato a dare un taglio sempre fresco alla trasmissione, guardando alla vita e alla sua complessità, attualizzando il messaggio evangelico alle nostre storie di uomini comuni. Tutto ciò immaginando la stazione e lo scompartimento di un treno come luogo ideale per incontrare l’altro, gli altri e infine noi stessi. “L’altrobinario” vuole provare a percorrere con questo scompartimento di 2a classe (un po’ datato, ma reale) altri binari, quelli più anonimi e a volte invisibili delle nostre tratte quotidiane. (...) Ascoltiamo esperienze lontane dai clamori e dalle luci del virtuale,  scopriamo la dignità e l’umanità delle persone che incontriamo, e tutto ciò avviene senza paura di arrossire, senza il bisogno di mettere una maschera”.

Ormai sono quasi quattro anni che questa rubrica arriva nelle case dei fiorentini, e non solo. Molti sono i temi fin qui trattati ispirati all’attualità o che sono stati suggeriti dagli ospiti più o meno noti che “hanno viaggiato” in questo “scompartimento speciale”. L’invito rivolto a tutti lettori di Diaspora è quello non solo di ascoltare il venerdì mattina la diretta radio, ma di partecipare a questo “viaggio” metaforico (ma poi, mica tanto), telefonando allo 055-414040. Nel provare a confrontarsi su domande, idee, emozioni e percorsi, è possibile costruire legami di solidarietà, di fraternità e di speranza fra tutti gli uomini di buona volontà. Il programma prende in considerazione le tante difficoltà della vita (non dimenticandosi, però, delle cose belle e di quelle buffe!) sempre alla luce della speranza cristiana. All'interno dello “scompartimento” può succedere che ci apriamo ad una maggiore disponibilità di relazione e ascolto, scoprendo durante il “viaggio” che dedicandoci reciprocamente un po’ più tempo e attenzione (del solito), impariamo a conoscerci e ci rendiamo conto che certe diversità non ci fanno più paura, semplicemente perché abbiamo scelto di parlare “guardandoci negli occhi”.

Se avete da suggerire temi, portare delle testimonianze, richiedere informazioni e quant'altro o per contestare i conduttori, potete scrivere a scrivici@radiovocedellasperanza.it o telefonare durante la settimana al numero: 055 414040.

E allora, cosa dire se non BENVENUTI A BORDO tutti i venerdì in diretta radio dalle 11 alle 12! E' possibile ascoltare il programma in replica (salvo eccezioni) il sabato alle 18.10. oppure sul sito www.radiovocedellasperanza.it si può riascoltare o scaricare l'ultima puntata in formato mp3.

 

 

Dalle associazioni e dalle Chiese evangeliche fiorentine

 

Centro culturale protestante “Pier Martire Vermigli”

Nel mese di febbraio il Centro culturale protestante “Pier Martire Vermigli” in collaborazione con il Comune di Firenze promuove una “Giornata per la libertà religiosa”. L’appuntamento è il 15 febbraio, dalle 9 alle 13 nel salone dei Duecento del Palazzo Vecchio.

Il convegno sarà introdotto da Giovanni Gozzini, assessore alla cultura del Comune di Firenze. In seguito i due ospiti della giornata, Massimo Salvadori e Paolo Ricca presenteranno l’argomento della libertà religiosa da due punti di vista: filosofico- giuridico e teologico.

La seconda parte della giornata sarà dedicata al dibattito che coinvolgerà i rappresentanti delle confessioni cristiane e delle comunità di fede presenti sul territorio del Comune di Firenze.

 

Chiesa Evangelica Battista

Sito web – http://chbattistaborgognissanti.interfree.it

Il culto domenicale è alle 11. Alle 9.30 prosegue il corso di introduzione alla teologia cristiana curato dal pastore Raffaele Volpe. Da mercoledì 16 gennaio è iniziato uno studio biblico su Giobbe curato dalla sorella Patrizia Sciumbata.

Domenica 6 gennaio il fratello Renzo Ottaviani ha curato liturgia, predicazione e Cena del Signore.

Epifania con doni per i bambini e le bambine della scuola domenicale e per il gruppo giovanissimi. Domenica 13 gennaio è stata offerta una simpatica performance teatrale da un gruppo di fratelli e sorelle della comunità coordinato da Gian Paolo Ruffa.

Prosegue il progetto di adozione a distanza nato nell'ambito dei rapporti tra UCEBI e Convenzione Battista dello Zimbabwe: Maureen Mateer è la nostra referente.

Altre iniziative sono in cantiere soprattutto sulla figura di Martin Luther King: per maggiori informazioni rivolgersi al Consiglio di Chiesa o al pastore Volpe.

Hanno continuato la loro attività i gruppi nelle case Biagini-D'Angrò, Baconi-Magherini, Brandoli-Tonarelli e Gloriana Innocenti.

Un affettuoso saluto a chi, per le ragioni più diverse, è impossibilitato a frequentare il culto domenicale.

 

Chiesa evangelica luterana

La Chiesa evangelica luterana invita alla celebrazione della Giornata mondiale di preghiera delle donne cristiane “La saggezza di Dio dona nuova comprensione”. L’appuntamento è fissato per venerdì, 7 marzo, alle 18; in Lungarno Torrigiani, 11; seguirà un piccolo rinfresco. Ogni anno donne provenienti da un paese diverso preparano una liturgia e invitano alla preghiera. Quest’anno della Guyana. In più di 180 paesi e in diverse lingue, cristiani delle diverse confessioni celebrano una liturgia. Così si forma una catena di preghiera di 24 ore intorno al mondo.

Il 5 marzo, alle 17, nel nostro centro comunitario saranno presentati il paese e il popolo di Guyana.

Continuano inoltre i nostri appuntamenti settimanali, ogni mercoledì alle 16.30. Ecco il programma del mese di febbraio:

6 febbraio: Madre Teresa

13 febbraio: Dieci comandamenti

20 febbraio: Correnti del giudaismo

27 febbraio: Immagini di un viaggio in Namibia.

 

Chiesa Evangeliche Valdese e Metodista

Sito web della Chiesa valdese di Firenze: www.firenzevaldese.chiesavaldese.org

 

Continuano anche nel mese di febbraio i culti congiunti nella Chiesa metodista in via de’ Benci. Per quanto riguarda il tempio di via Micheli, tutto dipende ora dalle burocrazie coinvolte nel rilascio dei permessi necessari per l’esecuzione dei lavori.

Intanto l’esperienza di condivisione è indubbiamente un fattore di arricchimento per tutte e due le comunità. Desideriamo ringraziare la sorella Lisa (Ko Myung-San) della Chiesa metodista per il suo contributo di canto che ogni domenica rende il nostro culto particolarmente intenso.

Siamo particolarmente vicini alla sorella Mirella Sabatini che alla fine dell’anno scorso ha vissuto l’esperienza di lutto legata alla morte del marito Davis Ottani. In questa circostanza desideriamo esprimere il nostro affetto e la nostra solidarietà a Mirella e a tutta la sua famiglia.

 

Dal concistoro valdese

Il concistoro della Chiesa valdese di Firenze, nella seduta del 15 gennaio ha deciso di aderire all'invito del concistoro della Chiesa battista per una seduta congiunta che si terrà il 5 febbraio prossimo alle 2O. In questa occasione si faranno e si discuteranno proposte e idee per una testimonianza comune nella città di Firenze.

Nel corso della riunione sono stati ammessi come membri elettori Andrea Panerini e Rita Lucia Vianello.

È stato fatto il punto delle celebrazioni per il 17 febbraio, che vedranno tre momenti centrali: uno pubblico-istituzionale venerdì 15 febbraio nel Salone dei Dugento di Palazzo Vecchio, organizzato dall’assessorato alla cultura del Comune di Firenze e dal Centro culturale protestante “Pietro Martire Vermigli; il tradizionale falò a Casa Cares nel pomeriggio di sabato 16 e il culto domenica 17 a cui seguirà l’agape in via Manzoni con un pomeriggio di musiche e canti.

Il concistoro ha assicurato il suo appoggio alla veglia di preghiera contro l'omofobia (che si svolgerà il 4 aprile nel tempio valdese) e al ritiro della Refo (Rete evangelica fede e omosessualità) in programma a Casa Cares il 12 e il 13 aprile.

Il Concistoro ha confermato l’invito al Gruppo Teatro Angrogna che verrà a Firenze il 12 aprile per presentare il lavoro di Giorgio Tourn e Jean-Luis Sappè “Fina e l’inquisitore”, auspicando che questo evento diventi un occasione per intensificare la nostra testimonianza nella città di Firenze.

Si è deciso inoltre di mettere in atto nei primi mesi del 2008 il progetto di catalogazione della biblioteca del Centro comunitario di via Manzoni.

È stata accolta anche la richiesta della Comunità liturgica cattolica “Pietre Vive” di svolgere insieme, nel nostro tempio, i vespri ecumenici nel periodo della quaresima e fino all'ascensione.

Per quanto riguarda i lavori nel tempio, visto lo stato delle procedure burocratiche, questi dovrebbero consentirci di tornare in via Micheli probabilmente tra la fine di febbraio e i primi di marzo.

 

Casa Cares

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Dall’archivio: Diversità riconciliata?

di Gino Conte (†) - testo pubblicato nel 1999

 

Diversità riconciliata?

Come si fa a sostenere che la varietà e diversità effettivamente presente all'interno di ogni chiesa, anche nella nostra, è analoga alla diversità che ci distingue e divide, ad esempio, dal cattolicesimo, romano e non? L'intossicamento “buono”, tenerissimo, causato dall'andazzo che l'ecumenismo ha preso, sta proprio nel fatto che sembra non si vedano più o non si vogliano più vedere le alternative, ma solo delle diversità e il panorama ecumenico diventa una splendida serra, un giardino policromo in cui eucaristia e cena del Signore, sacerdote e laico ministro della Parola, indulgenza penitenziaria e confessione di peccato, struttura gerarchica e struttura presbiteriano-sinodale, chiesa “madre e maestra” e chiesa testimone e così via si riducono semplicemente a “cultivar”, varietà compatibili. (...) Di Valdesi “riconciliati” ce ne sono già stati, anche se minoranza, all'inizio del XIII secolo; se fosse dipeso da loro non saremmo qui. Per parte mia, e spero e credo di non essere solo fra noi, rifiuto recisamente di vedere in questa pretesa “diversità riconciliata” un valido “modello d'unità”. Detto senza iattanza arrogante, anzi con sincero dispiacere che così stanno le cose. Non stanno forse così? Io, comunque, questa lezione non la “imparo”, non mi “abituo”. Con molti altri, spero. (…)

Ho fieri dubbi che la chiesa primitiva e le testimonianze neotestamentarie nelle quali essa si riflette siano un modello di diversità riconciliata. Ad Antiochia Paolo dice di essere stato costretto a “resistere in faccia” a Pietro che deviava e sviava gravemente (Galati 2,11), “aveva torto”. Nel libro degli atti, Luca tace e sorvola, in base alla sua teologia irenica e conciliatoria che gli fa stendere un resoconto del cosiddetto “concilio apostolico” di Gerusalemme, nel quale resoconto mi domando se Paolo si sarebbe ritrovato. Di certo, il fatto di Antiochia non è stato un incidente irrilevante, dovuto a intransigenza biliosa e settaria di Paolo. Così, pure, la chiesa antica ha insegnato au pair, nel canone, l'epistolario di Paolo e la lettera di Giacomo; ma anche qui non penso che Paolo avrebbe sottoscritto quello scritto, anzi, se avesse ancora potuto leggerlo, lo avrebbe discusso apertamente e del resto anche 'Giacomo', anche se con formale gentilezza... ecumenica, non lesina attestati di stima al “caro fratello Paolo”, di fatto afferma il contrario di quanto sostiene Paolo, sul tema non marginale della giustificazione. Non mi si faccia dire quel che non dico, non voglio fare la “Selezione del Nuovo Testamento”. Ma è certo che nella chiesa primitiva, e fino in certi aspetti nel canone neotestamentario, non troviamo un’unità in diversità riconciliata, ma tensioni e scontri belli e buoni (mi correggo, duri e penosi). C’è diversità, ma per nulla riconciliata; e una certa unità si mantiene perché non c’è ancora alcuna struttura generale, ‘ecumenica’ e si procede ancora molto in ordine sparso. La tesi della chiesa neotestamentaria come modello unitario di diversità riconciliata mi pare una forzatura storica e teologica e ricordo il giudizio di Ernst Käsemann (teologo luterano, ndr), secondo cui il nuovo testamento non fonda l'unità della Chiesa, ma la diversità delle Confessioni.

In ogni caso, mi pare, ancora, storicamente e teologicamente contestabile, inaccettabile applicare alla situazione dell'ecumene cristiana odierna, dopo secoli e talvolta millenni di divaricazione, un preteso “modello unitario” tutt'al più valido, anche se zoppicante, per l'ecumene del I secolo. Pur nella diversificazione forte e nelle tensioni considerevoli, all'epoca della stesura dei testi del Nuovo Testamento non si delineava certamente la ricostituzione del sacerdozio, un rinnovamento (sia pure incruento) del ‘sacrificio’, una visione ‘sacramentale’, un episcopato (e men che meno un papato) di tipo cattolico (romano e non romano), una mariologia, una venerazione di ‘santi’... e si potrebbe continuare a lungo. Ecco perché, quand'anche ci fosse, chiaro, un ‘modello neotestamentario’ (e, ripeto, con molti ritengo che non ci sia), non sarebbe assolutamente applicabile all'oggi (e alo ieri): le diversità, ma si deve dire le divergenze confessionali, non sono manifestazioni attuali della diversità dei 'carismi' dello Spirito, anche se a sostenerlo (e non sono mai riuscito a capirlo) è stato un esegeta della Chiesa antica della taglia di Oscar Cullmann, al quale del resto sono stato molto affezionato e al quale sono anche largamente debitore, in tante altre direzioni.

Ecco perché per me, come per molti altri, penso, mentre è possibile e anche doverosa una diversità riconciliata come programma e modello di unità con le altre chiese evangeliche, sia pure a volte con qualche limite (segnato ora da noi, ora da altri) non penso si possa, allo stato dei fatti, parlare di “diversità riconciliata” con il cattolicesimo, romano e non. Una cosa è il confronto, l'ascolto reciproco, il dialogo, certi aspetti di ricerca (anche e anzitutto biblica) comune, a condizione di essere chiari, espliciti, di non rimestare sempre “quello che già ci unisce” rimandando alle calende greche quello che ci divide (...); altra cosa è l'unità. Come protestanti (il cattolicesimo è altrimenti onnivoro nella sua tendenza alla sintesi degli opposti) restare convinti che lo Spirito, attraverso l'Evangelo, non può dire e animare cose opposte, non può volere e una chiesa testimone e una chiesa mediatrice, e una chiesa fraterna di discepoli e una chiesa madre e maestra, e una chiesa laica (non laicista) e una chiesa clericale, e una chiesa paritaria di fratelli e una chiesa gerarchica, con padri e figli, e una chiesa della Parola e una chiesa dei sacramenti; preti e pastori non sono semplici e ugualmente legittime (biblicamente) varianti; nelle varie confessioni si può parlare ugualmente di sinodi, ma sono realtà del tutto diverse e contrastanti. Questo, e molto altro, perché il modo di vivere il rapporto con Dio è diverso e contrastante: i solus, sola della Riforma continuano a evidenziarlo, a porre degli aut-aut, delle alternative (...).

 

 

 

Dalla nostra agenda

 

4 febbraio – Presentazione della bibliografia completa degli scritti di Giorgio Spini, a cura di Daniele Spini; alle 17, nella sala verde del Palazzo Incontri (via de’ Pucci, 1).

8-15 febbraio – Inaugurazione della mostra fotografica sul tema: Martin Luther King, storia e attualità, l’8 febbraio alle 17 nella sala Cerretani nel Palazzo della Regione in Piazza dell’Unità, alla presenza di un rappresentante istituzionale, la presidente dell’Ucebi (Unione delle chiese evangeliche battiste in Italia) Anna Maffei e il segretario del Dipartimento di Teologia dell’Ucebi Massimo Aprile, interventi, intervallati da canti spiritual del duo Spuri Crabb e da proiezioni video di Paolo Biagini.

9 febbraio - Concerto Gospel alla Chiesa Battista in Borgo Ognissanti alle 20.

10 febbraio - Culto domenicale tenuto da Massimo Aprile sul tema della pace alla Chiesa Battista in Borgo Ognissanti alle 11. Durante la settimana, lunedì, martedì, mercoledì e giovedì la mostra sarà visitabile durante la giornata.

15 febbraio - giornata della libertà religiosa, promossa dal Comune di Firenze e dal Centro culturale protestante “Pietro Martire Vermigli”, dalle 9 alle 13 nel salone dei Duecento del Palazzo Vecchio.

15 febbraio - Chiusura della mostra dedicata a Martin Luther King, alle 17; interverranno il consigliere regionale Severino Saccardi, direttore di “Testimonianze” e il professore Carlo Catarsi.

16 febbraio – Pomeriggio comunitario e falò a Casa Cares (Reggello), dalle 17, per ricordare i 160 anni dalla concessione dei diritti civili ai valdesi.

17 febbraio – Culto congiunto di ringraziamento nel tempio metodista di via de’ Benci, alle 10.30 con la predicazione di Davide Mozzato, pastore della Chiesa Avventista di Firenze.

21 febbraio – Inizia a Pistoia, alle 21, nella saletta ‘Vincenzo Nardi’ del Palazzo provinciale di Pistoia (Piazzetta S. Leone, 1) un ciclo di incontri dedicati ai principali temi inerenti alla fede e alla cultura protestante; il tema del primo incontro: “Una spiritualità biblica”.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Diaspora evangelica

 

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