Grazia segreta

di ALDA MERINI

 

 

Ogni mattina il mio stelo vorrebbe levarsi nel vento

soffiato ebrietudine di vita

ma qualcosa lo tiene a terra,

una lunga pesante catena d’angoscia

che non si dissolve.

Allora mi alzo dal letto

E cerco un riquadro di vento

e trovo uno scacco di sole

entro il quale poggio i piedi nudi.

Di questa grazia segreta

dopo non avrò memoria

perché anche la malattia ha un senso

una dismisura, un passo,

anche la malattia è matrice di vita.

Ecco, sto qui in ginocchio

aspettando che un angelo mi sfiori

leggermente con grazia,

e intanto accarezzo i piedi miei pallidi

con le dita vogliose d’amore

 

Un sogno di pace

di Alessandro Sansone

 

Sul luogo dove M.L. King è stato assassinato la moglie Coretta ha fatto affiggere una lapide che riprende una frase della Bibbia, della Genesi,: “Eccolo là il sognatore, uccidiamolo!”

Questa frase si riferisce a Giuseppe, figlio di Giacobbe, odiato dai suoi fratelli appunto perché sognatore e perché essi non riuscivano a capire i suoi sogni. I sognatori, infatti, sono pericolosi perché superano la razionalità funzionale al mantenimento dello status quo e portano nei recinti stretti del realismo immagini e visioni che rompono ogni barriera.

Sono pericolosi perché non si adattano, ma si intestardiscono a immaginare “altrimenti”. Anche quando sono costretti dalle condizioni storiche a vivere in una realtà che non li soddisfa, continuano ad immaginare, vedere, progettare un mondo ed una situazione altra, diversa.

Per questo ogni cambiamento se vuole essere vero, ogni rivoluzione, ogni alternativa non possono non partire da un sogno. Confessiamolo subito: vogliamo essere qui, siamo qui oggi, ci riuniamo di fronte al Signore, ci impegniamo nella chiesa e nella sua diaconia perché abbiamo un grande sogno, un grande sogno di pace!

Vogliamo essere qui perché abbiamo ancora la capacità di avere delle visioni: “E vidi un nuovo cielo ed una nuova terra…..e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né pianto perché le cose di prima sono passate” (Ap. 21: 1-4).

Mi domando: perché dobbiamo dare per ineluttabile che il male continui, che la guerra vada avanti, che le armi siano indispensabili alla difesa, che non ci possa essere altra soluzione ai conflitti che la violenza?

Perché non pensare che sia possibile costruire un mondo su basi diverse?

Perché non cominciamo ad agire ed operare come se questo “nuovo mondo” che – almeno potenzialmente – è nelle aspirazioni di tutti già fosse totalmente presente?

Sappiamo come credenti di essere in cammino verso quello che chiamiamo Regno di Dio: che è già presente, anche se non ancora realizzato. La sfida che ci è posta nella storia è proprio quella di vivere a partire da quel “già” che sta continuamente in tensione con quell’altro “non ancora”.

Analogamente la pace.

Non è realizzata ancora totalmente, anzi, pare lontana, molto lontana. Eppure è presente, almeno nei sogni, nell’impegno, nella vita di tanti: la sfida che è posta a chi crede veramente nella pace è proprio quella di porre dei gesti, di fare delle azioni che si situino in questo “già” anche se è continuamente in tensione con un drammatico “non ancora” che sembra continuamente smentirlo.

Se interrogo Gesù come uomo mi accorgo che potrei definirlo l’incarnazione della nonviolenza in un mondo violento. E’ apparso in lui un progetto di vita non basato sulla volontà di potenza. Infatti il momento della sua piena manifestazione è stato la croce.

Ma si può assumere la croce in modo ideologico, facendone uno strumento che può andare bene persino a Costantino “In hoc signo vinces”. La croce diventa in questo modo strumento di guerra, di oppressione, sviando così il mistero di colui che disse: “rimetti la spada nel fodero”.

La croce del Signore, la sua morte, è invece la manifestazione che la vera potenza di Dio si manifesta là dove, secondo la mentalità dell’uomo, vi è l’impotenza ed il fallimento. Attraverso le cose deboli Dio vince le cose forti.

Il mondo dei tempi di Gesù era violento, come lo è il nostro. L’Evangelo ce lo presenta bene: fin dall’inizio quando Erode vuole uccidere Gesù, anzi, fin quando Maria e Giuseppe non trovano posto nell’albergo. Gesù è nato fuori dalla città, così come è stato ucciso fuori dalla città. E’ nato come un poveraccio è morto come un delinquente, un indegno.

La croce rappresenta la rivelazione radicale del mondo violento che scaccia la donna e l’uomo secondo il criterio dell’arbitrio politico, del potere economico, della cultura sopraffattrice.

L’alternativa che essa presenta è la scelta di coloro che nel mondo non contano. Ecco allora che il discorso della montagna è l’esegesi vera della croce: “avete udito che fu detto, amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi perseguitano”.

Gli spazi che come credenti siamo chiamati ad occupare nel mondo sono allora là dove si divarica il mondo tra il solco della volontà di potenza ed il mondo della non volontà di potenza.

Ma c’è di più.

La croce di Gesù ci dimostra che Dio non fa pace perché l’uomo è diventato buono, non perdona perché ci si è convertiti. Fa pace! Punto e basta: perdona, punto e basta. UNILATERALMENTE.

Dice Paolo nella lettera ai Romani: “Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore per noi perché, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5: 6-8).

Chi crede sa che il solo suo scudo è il Signore e che ogni arma in cui pone la propria sicurezza è espressione di idolatria. Dio non è il Dio degli eserciti. All’espressione veterotestamentaria che definisci Dio così, Paolo oppone la definizione di Dio come Dio della pace. Colui che rompe l’inimicizia, facendo, sempre lui, il primo passo. Sempre in modo unilaterale.

Come sarebbe bella una chiesa che proclamasse, come chiedeva il past. Gollwitzer, di non accettare mai, in nessuna maniera di essere difesa dalle armi, che non accampasse diritti o privilegi, che non accettasse di presenziare alle parate di coloro che esprimono volontà di potenza, che fosse nel mondo segno della nonviolenza radicale della croce.

E’ un compito che tutti noi che di queste chiese facciamo parte dobbiamo assumerci senza paura di difficoltà di sorta. Certo, occorre resistere alle lusinghe ed ai privilegi che il potere dà a chi si prostituisce a lui: “tutto questo io ti darò, disse Satana a Gesù, se prostrato mi adorerai”. In questo senso mi viene in mente una frase di Bonhoeffer che rimproverando i silenzi della sua chiesa durante il nazismo scriveva: “oggi non ci è chiesto di resistere facendo la confessione di fede, ma di fare la confessione di fede resistendo”.

 

Per questo sorelle e fratelli:

Io scelgo di identificarmi con i bisognosi, scelgo di identificarmi con i poveri. Scelgo di dare la mia vita per gli affamati. Scelgo di dare la mia vita per coloro che sono stati esclusi dalla luce delle opportunità. Scelgo di vivere per e con quelli che si trovano a vedere la vita come un lungo e desolato corridoio senza un segno che indichi l’uscita. Questa è la strada che seguo. Se significa soffrire un po’, seguo questa strada. Se significa sacrificarsi, seguo questa strada. Se significa morire per loro seguo questa strada, perché ho sentito una voce che diceva: “fai qualcosa per gli altri”. Amen

L’AMORE DI DIO

Come una spiaggia, verde prateria,

vento e rifugio è di Dio l’amor.

Ci ha posti liberi nel vasto mondo

per accettarlo o per risponder “no”.

Come una spiaggia, verde prateria,

vento e rifugio è di Dio l’amor.

 

La libertà di essere noi stessi,

viver poter, sognar, crear, servir.

La libertà, un fertile terreno

che si trasforma in splendido giardin.

Come una spiaggia, verde prateria,

vento e rifugio è di Dio l’amor.

 

Ma alti muri ancora ci separan

e tra le sbarre ci dobbiam guardar:

sono prigioni le nostre paura,

una catena lega il nostro cuor.

Come una spiaggia, verde prateria,

vento e rifugio è di Dio l’amor.

 

Giudica, Padre, e al giudicar perdona,

nel tuo perdono abbiamo libertà.

non c’è frontiera che il suo amor non passi

per liberar la nostra umanità.

Come una spiaggia, verde prateria,

vento e rifugio è di Dio l’amor.

 

(canto sudamericano)

Etica come dignità della coscienza

di Mario Affuso

 

Questo che segue è il testo della conferenza come presentato sabato 14 gennaio u.s.; pertanto è privo di note, di bibliografia e di annotazioni che appariranno in una prossima pubblicazione ampliata e definitiva.

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Nel cumulo dei miei ritagli da giornali e riviste mi trovo circondato da una serie di titoli che inesorabilmente richiamano e trattengono l’attenzione. Eccone alcuni con i relativi incipit:

- L’etica che non basta, Donna di Repubblica, 23 luglio 2005

«Sono una neolaureata in ingegneria ambientale che crede ancora di poter cambiare il mondo. Etica e tecnica un tema affascinante e anche complesso, vero? (…) Durante i miei studi, l’aridità dell’analisi e di alcuni docenti mi hanno fatto sentire un vuoto, la mancanza della filosofia, della letteratura, dell’arte. (…) A Stoccolma … presso l’Università Kth ho visto come esistano numerosi esami su etica e scienza, etica e tecnologia … Eh sì, l’etica, … In sette sparuti amanti dell’argomento ci stiamo dando da fare con le nostre forze per organizzare un percorso di etica aperto a tutta la cittadinanza! (…) Ma quando sarà il tempo dell’etica? (…)». (Simonetta Rubol)

- Etica: la nuova questione italiana, Repubblica 23 agosto 2005

«Diffidare dell’etica è la nostra etica, l’etica del principio di responsabilità, la morale dell’eleganza, della relatività che impone la conoscenza e il rispetto dei codici etici, ma non la loro supina e acritica adozione». (Francesco Merlo)

- Etica: come la politica deve aiutare …, Repubblica 25 agosto 2005

«Qualsiasi teoria etica e in particolar modo qualsiasi teoria della giustizia, deve scegliere un proprio nucleo interpretativo. In altre parole, deve decidere su quali caratteristiche, su quali aspetti del mondo dobbiamo concentrarci dovendo valutare la giustizia e l’ingiustizia e allorché dobbiamo decidere che cosa sia necessario fare». (Amartya

)

- Etica e chiesa: Tutte le volte che la religione ha processato le idee dell’uomo, Repubblica 13 luglio 2005

«Pensiero e vita morale sono eventi artificiosi: moderne tecnologie li dissolvono; fino a quando rinasceranno? Lo stato più probabile E' il mimetismo: ordine da termitaio e guerra endemica …: è un lusso pensare, obsoleto e pericoloso. (…) Che l’etica sia valore umano … l’ammette anche qualche teologo». (Franco Cordero)

- Chiare predicazioni e scelte etiche appannate, Riforma 28 ottobre 2005

«Per etica non intendo per prima cosa la risposta regolativa a uno dei grandi dilemmi che la società o la scienza pongono all’uomo …, ma intendo la riflessione sugli atti e sui comportamenti miei che incidono sui miei rapporti con gli altri, soprattutto i vicini e sul processo di coerenza personale (…); in quale misura gioca nella scelta la volontà del Signore per me nel disegno complessivo della mia vita (…) in che misura vi gioca il riferimento alla parola di Dio (…). Lo ripeto, questa è una dimensione etica che sembra piuttosto oscurata». (Giorgio Girardet)

 

Sono solo alcuni tra i più recenti titoli che mi confermano nella convinzione di una esigenza profonda che da tempo cerco di affrontare a livello giovanile. Mi accompagna e mi sostiene nei miei attuali orientamenti di ricerca e di proposte programmatiche.

A coronamento di una giostra di titoli è apparso in italiano di Edgar Morin il sesto volume di una sua opera magistrale, Il Metodo. Quest’ultimo volume è dedicato a l‘ Etica e «prende avvìo dalla crisi contemporanea, propriamente occidentale, dell’etica» per proporre itinerari maggiormente in linea con «problemi caratteristici del nostro tempo». E' significativa la seconda delle citazioni che appone in apertura del primo capitolo; è un pensiero di Kostas Axelos: “L’etica (…) rimane problematica, cioè pone un problema che dà da pensare” (Per un’etica problematica, Napoli, 1974).

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Questi pochi riferimenti per segnalare la grande attualità del nostro tema che corrisponde ad una crisi di fondo del nostro tempo. E' tema che vediamo inscritto nel vortice di grandi cambiamenti che scorgiamo nel campo della morale come in quella della percezione di sé nel mondo ove la tecnologia va assumendo uno straordinario e invadente predominio che ha tutta la parvenza di volerci portare ad una comunicazione interumana fatta di effetti speciali.

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Nella distinzione già proposta tra morale ed etica possiamo osservare che la prima, la morale, quella vulgata, costituita dai «“buoni costumi” si è ben presto dissipata, come testimonia l’evoluzione del diritto. I buoni costumi costringono gli individui a obbedire a norme conformistiche (…) e il loro declino è legato al riconoscimento dei comportamenti individuali prima condannati come devianti o perversi» (E. Morin, Etica, op.cit. p 11).

Non si può negare che ogni individuo ha una sua dignità, ma nessuno può assegnarsi un valore assoluto tale da minare la dignità dell’altro. Nessuno esiste, diviene, opera da solo. Riconoscere la propria dignità e libertà è il più immediato risvolto di una reciprocità solidale per la quale nel riconoscere la dignità altrui prendo coscienza della mia propria. Probabilmente non si tratta di momenti cronologici, ma senz’altro distinti e tra loro reversibili.

Pertanto la crisi della morale corrente, prodotta da una instabilità di rapporti che produce solitudine ed isolamento, porta a irreversibili forme di individualismo e di egocentrismo che tendono ad imporsi come tentativi di emancipazione, emancipazione il più delle volte priva di fondatezza etica, cioè di quella capacità comportamentale per la quale, in quanto comportamento etico, non mi distacco dall’altro dispettandolo, ma da esso mi distinguo propositivamente e responsabilmente pensando sì alle intenzioni delle mie azioni ma soprattutto alle loro conseguenze. In altre parole, responsabilità etica quale fondamento e presidio di un comportamento, ethos, poggiato su un chiaro discernimento di ciò che è bene e di ciò che è male, semmai in vista di una prospettiva morale alla quale si propongono “migliori costumi” e, perché no?, nuove regole.

Esiste il fenomeno delle fughe dalla nostra cultura occidentale per

approdare a nuove forme di cultura e semmai di convivenza: ma altro non accade che il passaggio da certe regole note a regole spesso molto più rigide che, mentre infondono maggiore sicurezza a chi si sente in crisi, ne imprigiona la possibile libertà per i rapporti di dipendenza che vengono a stabilirsi.

E' dall’etica che si può sperare in una elevazione della morale, se è vero come è vero che l’etica per statuto suo proprio non cancella le regole ma ne produce delle nuove nello sviluppo dell’auto-nomia di ciascuno nella gestione della propria libertà.

Vi sono, però, regole più generali che vanno recuperate e salvate – ve ne sono molte da cancellare ed eliminare – se si vuole salvare la corretta coesistenza e ciò per la non infallibilità delle singole auto-nomìe. Si tratta del compito specifico dell’etica come scienza della morale, scienza che non si impone ma che è una risultante direi democratica delle nostre singole capacità comportamentali, quindi etiche.

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Purtroppo la nostra è epoca in cui l’individuo più che attore è piuttosto agito, strumentalizzato. E' parte insignificante di un grande gioco mondano. E' un pezzo sulla grande scacchiera: può essere spostato, scartato, eliminato. Oggi si ha bisogno di individui che non creino intoppi, «che non abbiano difficoltà a collaborare con gli altri in seno a gruppi numerosi, disposti a consumare sempre di più, dai gusti standardizzati e facilmente influenzabili e prevedibili. Ha bisogno di uomini che si sentano liberi e indipendenti, non soggetti ad autorità o principio o coscienza, eppure disposti a farsi comandare, a fare ciò che gli si chiede, a inserirsi senza attriti nella macchina sociale; uomini che si possano guidare senza violenza, comandare senza che ci siano capi, disponibili senza uno scopo che non sia quello di muoversi, di funzionare, di andare avanti. L’industrialismo moderno è riuscito a produrre questo tipo di uomo; egli è l’automa, l’alienato. E' alienato nel senso che le sue azioni e le sue forze gli sono diventate estranee; stanno sopra di lui e contro di lui, e lo governano invece di esserne governate (…). L’uomo alienato si prostra davanti all’opera delle sue stesse mani» (Erich Fromm, Dogmi, gregari e rivoluzionari, p 103, 104). Non posso cancellare dalla mia memoria le immagini della presentazione di una monoposto della Formula Uno, mi pare fosse denominata F1 G: si assisteva ad una sorta di liturgia pagana, che ancora continua quando si parla di un film culto, di un oggetto culto, … Eppure affermiamo di perseguire le finalità della tradizione giudaico-cristiana: l’amore di Dio e del prossimo. Ci dicono addirittura che stiamo vivendo un periodo di promettente risveglio religioso. Niente di più lontano dalla verità. Un individuo automizzato non può amare. L’automa non ama, non può avere interesse per gli altri, di qui la condizione di una pseudo-etica, ovvero un’etica-senza-coscienza.

Poiché non è l’uomo che contribuisce alle regole del mondo ma è il mondo che in qualche modo strumentalizza l’uomo, questi, nella sua coscienza, sente di avere o scarsa o nessuna capacità di iniziativa nei confronti del mondo in cui vive ed opera. E' questione che i comportamentismi hanno affrontato anche se non E' mancato il tentativo di convenire sul fatto che le circostanze ambientali possono sì causare certi comportamenti ma non è detto che li determinino necessariamente.

Occorre puntare ad una evoluzione della cultura che non può non partire da una nuova consapevolezza dell’etica o da un recupero di una corretta concezione dell’etica che, quale scienza della morale, intende rendere l’uomo creatore della vita morale e perciò arbitro della sua storia a partire da una nuova consapevolezza della propria dignità che mira alla rivendicazione di una libertà della propria coscienza che può a volte assumere anche il tratto della trasgressione.

In ogni caso non si deve mai perdere di vista il rapporto che necessariamente si ha con gli altri, il che ci evita il rischio di fare dell’etica una questione personale e privata. Una coscienza viva è quella che sa con-vivere, co-esistere con gli altri. Si tratta di una condizione che si sottende anche a coerenti ottiche ecumeniche che non permettono di operare e di pensare come se gli altri non ci fossero.

L’etica non è una questione astratta, statica ma si propone come disciplina o scienza che mira alla crescita ed alla graduale plasmazione della persona che saprà porsi con atteggiamento critico di fronte alla morale vulgata e corrente. Impegno etico è educazione, e-ducere, dirozzamento della nostra condizione umana il cui merito sarà il far emergere in ciascuno le migliori e forse inimmaginabili possibilità, innanzitutto quelle volte a dare un nuovo orientamento alla propria personalità. In un tale processo formativo si è educatore ed educando.

Istinti, sentimenti, aspirazioni con cui ci si affaccia alla vita sono viste da una certa morale come negative e da una certa predicazione come l’uomo vecchio che deve morire. Certo non si può negare che le tendenze naturali si propongono come ambigue: possono esprimere amore ed elevazione ma anche passioni degradanti. Si tratta di un insieme indefinito al quale solo il soggetto, nel corso del suo divenire ed a cominciare da qualsiasi età può dare una fisionomia definita.

Eticità, come veniamo a dire, non è assecondamento pedissequo di correnti norme morali che si impongono al soggetto al di fuori della persona: è invece liberazione di intime possibilità di valorizzare ed amare quanto merita di essere amato e perseguito.

Una tale modalità formativa dell’eticità esige l’adozione di quell’importante criterio pedagogico che va sotto il nome di gradualità e al quale devono informarsi sia la catechesi tout court – per ragazzi, adolescenti ed adulti – sia la predicazione nel suo momento cultuale e culturale: Si tratta di portare in essere le possibilità di bene proponendo obiettivi possibili senza porre pesi insopportabili che chi li propone non osa toccarli neppure con un dito (Matteo 23:4; Lc 11:46). Le norme etiche devono essere fatte sorgere dal profondo della persona concreta seguendo una dinamica educativa, cioè, formativa di una coscienza sensibile e percettiva.

Il principio della gradualità non vuol dire gradualità dei principi: l’etica deve costituire quel plafond di base dal quale derivano e si sviluppano le diverse direttrici o traiettorie professionali o etiche professionali tutte mirate a conseguire e ad esprimere senso di responsabilità e rispetto dell’altro. La qualità etica del proprio rapportarsi con gli altri cresce nella misura in cui armonicamente si sviluppano le qualità dell’intera persona. Le principali sono quelle della consapevolezza e quella della libertà, i due fuochi di quella ellisse che definiamo dignità.

Per consapevolezza possiamo intendere quella facoltà acquisita di cogliere la ragionevolezza delle cose orientate al bene senza aver bisogno di ricorrere alla parola di altri. E' da una ragionevole consapevolezza che deriva il proprium della coscienza etica: quell’imperativo che merita di essere accolto ed obbedito. L’appello della coscienza è un “E' bene / E' male” che si traduce in un “devi / non devi”: sapersi muovere tra la percezione della verità ed il comando jussivo evidenzia ed esalta quella che mi piace definire dignità della coscienza etica.

Varrebbe porsi il tema o problema del bene o della polarità bene/male. E il pensiero non può non andare al capitolo 3 della Genesi ed alla figura o metafora dell’«albero della conoscenza del bene e del male» (Gn 2:9c). Molteplici sono le interpretazioni di questa metafora: (a) acquisizione delle facoltà umane circa l’utile e non utile, (b) dimensione etica: capacità di distinguere il bene dal male, (c) capacità di valutare le relazioni sessuali, (d) conoscenza di ogni cosa. Io mi vorrei fermare alla polarità di bene e male muovendo dalla indiscutibile testimonianza biblica per la quale Dio non vuole che il bene per la creatura umana: «…non è bene che…» (Gn 2:18) e ciò che non è bene non può essere altro che male. Azzardiamo una risposta: è bene ciò che promuove l’uomo e la sua condizione etica. Certo non dimentichiamo, anzi lo teniamo presente, che molti hanno compiuto i peggiori mali pensando di operare per il bene: la storia è piena di tragedie compiute persino nel Nome di Dio. Mi sovviene l’epitaffio tombale che sembra sovrasti la tomba del Cardinale Richelieu: “Il bene che fece lo fece male e il male che operò lo fece bene!”. E' confusione che ancora ci accompagna.

Mi distacco dal pensiero esclusivamente religioso dal momento che è proprio vero, anche a mio parere, che «la storia dell’umanità ci mostra continuamente che l’amore e la fraternità, espressioni supreme della morale, sono facili da ingannare. Nessuna religione è stata più sanguinaria e crudele della religione dell’Amore» (Morin, op. cit., p. 43).

Il Morin elenca alcune caratterizzazioni di ciò che è male e di ciò che è bene, le pone sotto il duplice atteggiamento del ‘pensare bene ‘ e del ‘pensare male’. Si richiama ad un pensiero di Blaise Pascal: “Lavorare a pensar bene, ecco il principio della morale” (p. 49) e “il lavorare a pensare bene” …

- collega (non fraziona);

- decompartimenta le conoscenze (non ignora i contesti);

- abbandona il punto di vista mutilato delle discipline separate e cerca una conoscenza pluridisciplinare o transdisciplinare;

- comporta un metodo per trattare le complessità (Il pensiero complesso nutre da sé l’etica);

- obbedisce a un principio che ingiunge nello stesso tempo di distinguere e di legare;

- riconosce la molteplicità dell’unità, l’unità nella molteplicità;

- supera il riduzionismo e l’olismo legando parti a tutto;

- riconosce i contesti e i complessi e permette quindi di inscrivere l’azione morale nell’ecologia dell’azione;

- inscrive il presente nella relazione circolare passato, presente, futuro;

- non dimentica l’urgenza dell’essenziale;

- concepisce una razionalità aperta;

- riconosce ed affronta incertezze e contraddizioni; concepisce la dialogica che integra e supera la logica classica;

- concepisce l’autonomia, l’individuo, la nozione di soggetto e di coscienza umana;

- formula le sue diagnosi tenendo conto del contesto e della relazione locale-globale;

- si sforza di concepire le solidarietà tra gli elementi di un tutto …;

- riconosce le forze di accecamento o di illusione della mente umana.

 

Se riflettiamo attentamente su questi aspetti significanti del pascaliano “pensare bene” possiamo scorgere in essi principii di grande spessore che potrebbero/dovrebbero essere trasferiti nell’ampio spazio ecumenico a cominciare da quello che inconsapevolmente e distrattamente si vive nelle comunità locali, segnatamente in quelle ove non si tende all’appiattimento delle persone ma si tengono in piena considerazione le prime grandi diversità che vi si vivono, quelle tra i membri che la costituiscono. La marcia in più che la realtà protestante può scorgere nel suo patrimonio culturale e spirituale sta nell’agàpe che, se rettamente compresa – e ne abbiamo parlato in una passata conversazione – è invito ed orientamento a “pensare bene” (1 Cor 13: 4-7).

L’agàpe è scuola di eticità e dovrebbe rientrare con forza in quei processi di evangelizzazione permanente promossi da una “fede che opera per mezzo dell’amore” (Gal 5:6b, αγάπης ενεργουμένη).

L’agàpe propone elaborazioni etiche che puntano alla liberazione, alla trasformazione ed alla rinascita dell’individuo in un clima di sicurezza comunitaria (o associazionistica) che in qualche modo ‘protegge’ ne’ riguardi del mondo esterno. Penso ad una concezione di appartenenza funzionale che fa essere fuori del mondo e nello stesso tempo nel mondo o, meglio, per essere nel mondo senza diventarne schiavo. All’interno di una tale appartenenza protetta si sviluppa una elaborazione etica che trova il suo centro nell’individuo rendendolo autonomo e non catturandolo nelle spire di assurdi vincoli. Ogni corretta elaborazione etica tende a demassificare il soggetto liberandolo da una morale corrente, vulgata e … ‘moralistica’.

Nel gruppo di appartenenza, associazione o, comunità locale per noi protestanti, si svolge e si articola la detta elaborazione etica che consente di apprendere nuove modalità di vita e di rapporti con gli altri, modalità che dovrà essere diffusa all’esterno con le parole, ma soprattutto con l’esempio, con scelte etiche non appannate ma illuminate ed illuminanti nei diversi ambiti operativi e professionali.

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Quanto fin qui ci è stato possibile dire scaturisce da quella relazione di aiuto che lo Spirito santo svolge nel cuore di ogni uomo adeguandosi ai suoi tempi, tempi storici e tempi di crescita. L’attenzione allo Spirito quale Dio presente imprime forza e coraggio di rimettere

continuamente in discussione i vari modelli etici senza irrigidirsi e senza assolutizzarli.

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Una sorprendente convergenza. In data odierna, 14 gennaio, su Adista p. 11, leggo: «il direttore della cattedra di Bioetica della Pontificia Università Comillas di Madrid, p. Juan Masiá Clavel, autore di un recente libro che analizza la realtà e la fede di una dinamica evolutiva mutuata dal Vaticano II e mostra notevoli aperture … in un articolo intitolato “Etica delle relazioni” … (dice) dobbiamo … rifondare un’etica delle relazioni umane, centrata sia sul rispetto della dignità… sia sulla responsabilità delle ripercussioni della relazione. (…) preferisce l’etica delle relazioni, che mostra un orizzonte molto più ampio. E sponsorizza il concetto di “compagnia degna” in qualunque genere di relazione (coppia, matrimonio, amicizia, comunità):».

Desideri

di Noemi De Cecco

Quest' anno non desidero giocattoli nuovi,

né computer per eccellenza,

non voglio cavalli alati,

non desidero animali che parlano.

Non voglio castelli nè ali.

Voglio qualcosa di più pregiato del caviale,

qualcosa di più prezioso dell' oro,

voglio qualcosa di più banale,

e che parlarne è solo moda,

moda sciocca ed egoista.

Che ci conquista e ci fa allontanare dalla serietà ,

con un prototipo floreale,

un profumo di menzogna,

inganno e fallimento, di promessa avvelenata.

È la promessa dei potenti,

e la gente che come il fido cagnolino ingenuo segue il padrone.

E la storia si ripete ancora a lungo.

È la pace nel mondo,

il significato del Natale,

la nascita della speranza, del nostro esempio da seguire,

della nostra unica speranza,

che non abbiamo saputo ascoltare.

È questo che voglio,

la PACE,

la pace per il mondo,

non sogno punizioni per gli ingannatori,

che si prendono gioco di noi.

Il naso tra i libri

di Sara Pasqui Rivedi

 

 

Amos Oz

D’un tratto nel folto del bosco

Feltrinelli 2005, pp.114, € 10

 

Cenni biografici

 

Lo scrittore israeliano Amos Oz è nato a Gerusalemme nel 1939, ha partecipato alle guerre del 1967 e del 1973, oggi vive ad Arad ed insegna letteratura all’Università Ben Gurion del Negev. È noto per il suo impegno politico teso alla realizzazione di una civile convivenza tra Israele ed il mondo arabo. Ha scritto numerosi romanzi, saggi ed anche libri per bambini, le sue opere sono state tradotte in numerose lingue ed hanno ottenuto vari premi letterari.

 

D’un tratto nel folto del bosco

 

Il nuovo libro di Amos Oz, pubblicato da Feltrinelli con l’eccellente traduzione di Elena Loewenthal, non è altro che una favola allegorica con finalità pedagogiche. È una favola per adulti che può essere apprezzata e capita anche dai bambini, godibilissima, scritta magistralmente con un linguaggio metaforico ed apportatrice di un messaggio, anzi di un ammonimento per gli uomini che hanno dimenticato i sentimenti più nobili come l’amore, la compassione, l’amicizia, la comprensione, la generosità e si sono chiusi in un mondo egoista, selvaggio, spietato. Agendo così hanno commesso un grave peccato e Dio li ha puniti privandoli degli animali e condannandoli a vivere un’esistenza cupa, insicura e carica di minacce.

Il villaggio di cui parla l’autore non ha nome né collocazione geografica ben individuabile, è solo un agglomerato di case situato ai margini di un bosco e circondato da alte montagne. I suoi abitanti sono tristi e malinconici perché una notte tutti gli animali se ne sono andati, spariti senza lasciare traccia alcuna e dunque il cielo sopra di loro è vuoto e muto, nell’acqua del torrente non guizzano i pesci né si ode più da tempo il gracidio delle rane. Anche il bosco non dà segno di vita animale e così il suo aspetto è tetro e l’atmosfera greve, si ode solo lo stormire sommesso delle foglie. Nei cortili delle case non zampettano indaffarate le galline, nelle stalle non ruminano le mucche, nei prati nessuna pecora bruca l’erba fresca e verde. Perfino i cani ed i gatti così affezionati a casa e padrone sono scomparsi. Sembra che un incantesimo abbia imprigionato il villaggio. Gli adulti non amano parlare di ciò che è accaduto ed ai figli che chiedono spiegazione rispondono evasivamente.

I bambini conoscono gli animali solamente dai disegni della maestra, ma sono semplici figure senza vita e senza voce. Tutto il paese vive come sospeso nel terrore. Guai ad attardarsi fuori dopo l’imbrunire! Guai ad inoltrarsi nel bosco! Ed i piccoli hanno logicamente paura del buio, temono la notte, le tenebre perché gli adulti invece di rassicurarli trasmettono loro i propri timori e così al calar delle tenebre tutti si rifugiano nelle case sprangando porte e finestre.

Ma perché tanto terrore ? E soprattutto di chi o di che cosa ? Si sussurra che durante la notte esca dal bosco uno spirito demoniaco di nome Nehi, il quale si aggira silenzioso ed avvolto in un mantello nero per le vie del villaggio soffermandosi presso le case a spiare attraverso le finestre ben chiuse. È lui che gli animali, molti anni prima, hanno seguito per non fare più ritorno ed è lui che i bambini hanno imparato a temere.

Ma tutti i fanciulli di questo luogo sono così tremebondi e anche così docili da accettare passivamente le spiegazioni strane e confuse degli adulti ? Oh no! Maya e Mati sono amici e compagni di scuola, durante il giorno giocano e trascorrono insieme il tempo libero. La bambina è intraprendente, volitiva e curiosa, vorrebbe indagare sul mistero che avvolge il villaggio, non è soddisfatta delle spiegazioni ricevute, non le trova convincenti. Mati invece è fragile,

incerto, timoroso, ma molto affezionato alla piccola amica e così cede facilmente accettando di buon grado le sue decisioni ed assecondandola nelle sue imprese.

Un giorno, durante una gita esplorativa al torrente, i due ragazzi scorgono un pesciolino dalle squame argentate che guizza veloce nel fondo. Ma è mai possibile ? La vitalità, l’armonia di movimenti, l’occhio rotondo e lo sguardo un po’ stupito del piccolo animale suscitano nei due amici meraviglia e curiosità, al tempo stesso tale scoperta accende la loro fantasia e suscita il forte desiderio di saperne di più perché hanno anche percepito in lontananza, oltre la cupa cortina degli alberi, dei suoni simili a latrati. Maya è decisa a scoprire cosa si cela nel folto del bosco. E se ritrovassero gli animali scomparsi ? E se si imbattessero nell’orribile mostro che tutti temono ? Mati esita, non è tanto coraggioso da affrontare l’ignoto, Maya invece vuole partire in esplorazione.

Così, dopo alcuni giorni di attesa e di dubbi, i due ragazzi si mettono in marcia dirigendosi verso il bosco, ne seguono il limitare e poi, fra mille timori, cominciano ad inoltrarsi nella macchia piena di ombre minacciose. Spesso sono tentati di tornare indietro, ma poi proseguono il cammino. Il viaggio di Mati e Maya attraverso il bosco non è altro che un viaggio iniziatico per ascendere al Bene. Lungo la via incontreranno Nimi, il bambino che, disprezzato da tutto il villaggio per la sua deformità e diversità, se n’è andato come hanno fatto gli animali ed ora vive felice e sereno cibandosi dei frutti della terra, il dileggio dei suoi simili non lo ferisce più. I ragazzi, dopo aver goduto della sua cordiale ospitalità, riprenderanno il cammino irto di difficoltà e di ostacoli, ma anche di ripensamenti ed esitazioni specialmente da parte di Mati che si rivela un po’ codardo. Alla fine giungono ai piedi di un alto muro oltre il quale odono strani rumori, Maya più intrepida del compagno non esita a varcarlo. Nello spazio che le si apre davanti agli occhi scoprirà gli animali, ma anche colui che gli abitanti del villaggio considerano un demone pericoloso cioè Nehi. In realtà è un bel vecchio dai capelli bianchi e fluenti e dallo sguardo dolce ed al tempo stesso penetrante il quale accoglie paternamente i due nuovi arrivati.

Ecco, finalmente il mistero si disvela davanti agli occhi innocenti dei due fanciulli. Questo luogo appartato e segreto raccoglie come in un’arca ogni tipo di animale, tutti quanti convivono pacificamente, la tigre gioca con i capretti, il lupo bada alle pecore. È un luogo di concordia e di pace, il vecchio saggio capisce il linguaggio degli animali e può dunque comunicare con ciascuno di loro. Il recinto scoperto da Maya e Mati non è altro che l’Eden, il Paradiso Terrestre che l’uomo ha perduto per la sua disubbidienza e Nehi è Dio che ha punito il genere umano a causa del suo cuore indurito dal peccato. Tuttavia Egli continua ad amare le sue creature ed allora, quando cala la notte, scende a valle e si aggira far le case del villaggio perché soffre a vivere lontano da loro. Non c’è alcun demone che vaga nella notte, è una creazione partorita dalla fantasia degli uomini i quali non sono in pace con la propria coscienza, ma Dio spera nel loro ravvedimento e nel ritorno al Bene. Affiderà ai due fanciulli dal cuore puro il compito di raccontare agli abitanti del villaggio ciò che hanno visto e di esortarli a non praticare più ciò che è male ai suoi occhi, solo quando essi apriranno il proprio cuore all’amore e al rispetto dell’altro Egli potrà riconciliarsi con loro e rimanderà indietro gli animali, così la vita tornerà a sorridere.

immagine febbraio 1

Il Padre Nostro a puntate

di Elsa Woods

Ma liberaci dal Male – Maligno

 

Che cos’è questo Male? Cosa fa? Come lo fa?

 

1. Secondo me, è meglio chiedersi chi è e tradurre come la TILC e la Nuova Deodati con Maligno. Il “Male” è troppo generico, ci tocca da lontano. E’ come parlare di Dio, come dell’Amore o del Bene, rimane una cosa troppo generica. Ma se parlo di Dio-persona che mi ama è tutta un’altra cosa! E’ per questo penso che la Bibbia ci parla, senza falsa vergogna, di Satana o Diavolo o Principe di questo mondo etc.

2. Cosa fa questo Maligno? Fa guerra contro Dio, Gesù e i suoi seguaci, che siamo noi. Certo è già vinta la guerra nell’evento della croce, ma va avanti lo stesso. Qualcuno menzionava l’altra volta le espressioni militaresche che Paolo usa per descrivere questo combattimento contro il Principe della Potenza dell’aria. Adesso ci è concesso solo di sperimentare degli assaggi della vittoria finale. Per il momento la guerra va avanti.

3. Quali metodi di guerra usa il Maligno? Attira! Mi ricordo bene che in un anno di insegnamento alla Scuola Domenicale si parlava del Credo, a fine anno quando abbiamo chiesto quale lezione fosse piaciuta di più, la risposta era a coro unanime quella sul diavolo. Il Maligno attira, attira anche perché ci pone davanti a problemi che ci tengono svegli, problemi che sono veri, del tipo: se Dio è onnipotente perché la sofferenza?

Circa un anno fa ci sono state in ambito evangelico delle conferenze sul Bene e sul Male, cinque sul Male ed una sola sul Bene. Mi domando perché viene sempre citato l’Inferno di Dante e molto meno il suo Paradiso? Perché un giovane di oggi sceglie un film horror invece di un film Heidi?

4. Oltre ad essere attraente, il Maligno si nasconde: anche questa era una cosa che aveva colpito quella classe di Scuola Domenicale, quel serpente che si nasconde così bene fra le erbe, si traveste da angelo di luce ed è il padre della menzogna, dice Gesù, e così riesce anche a nascondere la verità. Oggigiorno il Maligno si nasconde soprattutto dietro l’immaginario medioevale che dall’uomo moderno viene percepito come ridicolo e infantile. Ho avuto delle discussioni forti con due dei miei figli che mi concedono ancora di parlare di Dio, ma non vogliono sentirmi parlare del Diavolo, per la vergogna di avere una madre, che ancora non ha superato l’epoca medioevale!

Come affrontiamo un nemico così furbo e sfuggente? Anni fa con i bambini e una vecchia zia si cantava una canzoncina in inglese che diceva: “conta le tue benedizioni, nominale una per una e sarai sorpreso di quello che il Signore ha fatto per te!”

A volte per scovare il Maligno può essere utile usare quella canzoncina in negativo e nominare uno per uno i mali che ci assalgono. E non penso ai mali che si presentano già da sé come le malattie ecc., ma penso a quelli che Lutero raggruppava alla sua destra, quelli che vengono piuttosto da dentro di noi, fra i quali ci sono i cosiddetti “peccati di santuario”.

Nel chiedere perdono e nel prepararci per oggi e domani è necessario fare quel lavoro antipatico di auto-esame. Ci sono mali che si presentano attraverso tutti i secoli, come l’egocentrismo, il maschilismo, dei quali ognuno di noi è vittima in un modo o nell’altro, ma ci sono due mali che mi sono venuti in mente, che sono tipici di questo secolo: uno è la fretta! Nessuno quasi sa più camminare, lasciamo stare camminare con Dio; corriamo tutti, sempre facendo delle cose urgenti, senza aver tempo per quelle importanti. L’altro male è legato non solo a questo secolo, ma anche a questa parte del mondo, e si chiama “opulenza”. Siamo tutti vittime di questa opulenza vergognosa di questa parte del mondo cosiddetto civile; mangiamo sempre peggio e soprattutto troppo. Vestiamo seguendo mode assurde, inventate solo per fare girare soldi più in fretta.

L’ultimo stadio del lavoro del Maligno è che ci fa sentire bene nella sua trappola: tante volte senza accorgercene siamo intrappolati e stiamo proprio bene e a nostro agio. Forse viviamo qualche momento di lucidità che ci fa vedere la serietà della trappola. Cosa possiamo fare? L’unica cosa è di andare da Lui che può toglierci da quella rete quasi invisibile che ci tiene imprigionati; possiamo pregare: “Liberaci dal maligno”!

 

Casa Cares

FALO’ VALDESE

Sabato,18 Febbraio

Per la festa valdese, che commemora l’uscita dal ghetto nel 1848, siamo felici di offrire il seguente programma:

 

La chiesa, le chiese di domani

 

con Gianna Sciclone, Pastora valdese (Firenze)

e Peter Ciaccio, Candidato pastore metodista
(Forano e Terni)

 

Ore 17,30 – conferenza

Ore 19 – Buffet

Dopo il buffet: tradizionale falò.

 

Dal 1848 il falò fa parte della festa valdese, che ricorda la libertà religiosa nel nostro paese. E’ una festa per tutti i cittadini.

 

Per ulteriori informazioni: Antoinette e Paul Krieg, 055-8652001

 

A Fabrizio Comba Vacatello

nella sua nuova casa

di Vivian Lamarque Comba

Buon anno, buon anno ti avrei scritto in Via del Desco

Ma hai cambiato indirizzo, caro fratello.

Buon anno, ti avrei scritto e ti avrei mandato

Quel calendario con i foglietti da staccare ogni giorno

Ma lì ce ne sono di giorni? Ce ne sono di notti lì?

La pastora Gianna in piedi

Accanto a te sdraiato (e così fermo

E così fermo) ha detto che hai trovato

Un rifugio vero ora, di quelli accoglienti

Siete in tanti, Fabrizio, lì? Non sei più solo allora?

Li hai trovati tutti? Anche i nonni Emilio, Ernesto?

Hai guardato bene? E te l’hanno poi tolto

Quello smalto violanero dalle unghie, quel gelo dalle tue care mani? Avevi così freddo alle Cappelle,

Come quando anche noi certe notti

Pensiamo brrr ci vorrebbe una copertina in più

Ma non osiamo alzarci, ce la fai ora ad alzarti da lì?

Ci vedi che ti facciamo ciao come a una stazione,

Orietta, Marzio, Vivian, Giulio, Alba, Elisa, Valentina, Nicola, Francesca, ciao, come a una stazione?

Quando facevi un salto alla Coop

Scrivevi ‘torno subito’ su un foglietto che ora leggo

E rileggo, me lo tengo stretto.

Sai, all’uscita, al Commiato, sopra ilt uo carro volava un uccellino, un po’ più piccolo di un passero,

Eri per caso tu già così presto libero e leggero? Sì?

E dimmi, qualche volta lo puoi suonare ancora il flauto lì?

 

 

 

 

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Primavera di sangue

Scena drammatica

Sulle Pasque Piemontesi (1655)

A cura di Giorgio Tourn

 

Con

Carlo Arnoulet

Maura Bertin

Jean Louis Sappé

E il gruppo teatrale di Rorà

 

Sabato 4 febbraio alle 17.30

Nella Chiesa della Trinità

Via Micheli ang. Via La Marmora)

 

Ingresso libero

 

 

“The Bleeding Heart”

(ballata inglese)

 

Con il cuore che sanguina e lacrime meste

Sono costretto a dichiarare

Che storia più triste mai fu raccontata

Di questa che a voi sto per narrare.

 

Buoni cristiani, vi prego ascoltate

Queste notizie che riferirò,

La cui verità senz’altro farà

Tremar dal timore il vostro intimo cuore.

 

Questo argomento, ai nostri occhi strano,

Può giorno e notte strappare lamenti:

Piangete dunque con me, voi tutti in ascolto,

Per le crudeltà di cui parlerò.

 

Sotto il duca di Savoia orbene

Vivevano molti buoni cristiani,

Che con costanza la verità professavano

E suggellaron col loro sangue prezioso.

 

Al santo Verbo di Dio essi obbedivano,

e fu questo il solo motivo per cui

Tanto crudelmente uomini sanguinari

Fecer loro subire un glorioso martirio.

 

Una sanguinaria masnada di uomini empi,

Francesi e irlandesi, di tutto punto armati,

Si avventò contro questi buoni cristiani

Che mai avean loro fatto alcun male.

 

Tuttavia essi tutti furon sopraffatti,

Ed anche privati delle loro sostanze:

Alcuni perser gli arti, altri la vita,

Ed altri di fame furon fatti morire.

Ricordando Giorgio Spini

 

Sabato 14 gennaio si spegneva a Firenze la lunga e operosa vita di Giorgio Spini, illustre storico e militante evangelico metodista. Il suo funerale è stato celebrato lunedì 16 nella Chiesa della Trinità (Chiesa Valdese) per motivi di spazio alla presenza di oltre mille partecipanti, tra i quali molte autorità cittadine. Ecco alcuni dei discorsi:

 

Saluto della Moderatora Maria Bonafede

 

Cara Signora Anna, Cari Valdo e Daniele, cara Debora, insieme ai vostri cari ,

cara Comunità di uomini e donne dalle alte responsabilità civili, culturali e politiche, cari fratelli e sorelle delle chiese valdesi e metodiste di Firenze, di Roma, d’ Italia presenti qui così numerosi, cara comunità di credenti di ogni chiesa cristiana e di ogni credo,

 

sono qui a nome della Tavola Valdese e della chiesa nel suo insieme a testimoniare insieme a voi che la morte di Giorgio Spini lascia in tutti noi e in ciascuno un grande vuoto, ma anche una grande eredità. Voi perdete il marito, il padre, il nonno amorevole, noi perdiamo un fratello nella fede e un testimone dell’Evangelo di Gesù Cristo, un testimone intelligente, colto, libero, che ha saputo coniugare fede, cultura, politica e amore per la libertà in modo profondo e propositivo.

 

Ho avuto la fortuna e l’onore di entrare in un rapporto personale con Giorgio Spini negli ultimi anni della sua vita e non per merito mio, ma grazie alla capacità di Giorgio di cercare e in qualche modo “scoprire” le persone e di dar loro valore. In questo ultimo decennio, molte volte mi è capitato di ricevere la telefonata o la lettera di Giorgio Spini che mi interpellava su cose diverse e mi parlava delle persone con cui era in contatto in cui a suo avviso compariva un desiderio di credere e di una fede critica, o per offrirmi l’opportunità, come negli ultimi anni, di presentare i suoi libri.

In particolare la lettura del suo libro “La strada della liberazione” nel 2002, la sua autobiografia che in qualche modo vorrei considerare anche come testamento spirituale. Dalla prima all’ultima pagina si respirano amore e compassione per l’Italia e gli italiani durante la guerra, . Mi spiego: in questo libro c’è un respiro internazionale profondo, si respira cultura europea e britannica ad ogni piè sospinto, c’è ammirazione e profonda comprensione della democrazia e della libertà americana dell’epoca, ci si imbatte in soldati neozelandesi, sudafricani, inglesi e americani con i quali si intreccia la vicenda del sottotenente dell’VIII armata britannica Giorgio Spini, si avverte che la sua stessa cultura è impregnata di quella cultura “altra” che spessissimo è ricondotta ad una spiritualità altra, quella della fede e del pensiero protestanti e calvinisti, ma non si perde nemmeno per un istante la sensazione dell’amore grande di Giorgio Spini per l’Italia e per gli italiani fra i quali (ed emerge limpidamente) egli si onora di annoverarsi. Non soltanto per l’Italia degli anni 30 e 40, ma anche per l’Italia di oggi e per noi cittadini e cittadine che oggi in Italia viviamo e giudichiamo, e, che da questo libro siamo aiutati a guardare le vicende della nostra storia presente e a valutarle. Giorgio Spini in qualche modo ti accompagna per quella strada della liberazione di allora e mentre la percorri sei portato a interrogarti sulla strada che stai percorrendo e a discernere.

Ma, quella sua autobiografia, è anche, e mi preme ricordarlo in questo giorno che per Annetta, sua moglie, è particolarmente triste, una vera e propria dichiarazione d’amore di Giorgio Spini alla sua Annetta, ad Anna Petrucci, sua moglie.

immagine Giorgio Spini

Ci sono parole piene di tenerezza e di ammirazione per questa fanciulla al tempo stesso fragile e determinata che davvero emozionano e che lo portano a scrivere in suo proposito: “avevo una certezza d’amore che bastava a dare un senso alla vita”.

Spirito critico, fede evangelica testimoniata esplicitamente e una vera passione per la libertà è ciò che da Giorgio Spini abbiamo ricevuto. Ringraziando il Signore per la sua lunga vita, per la sua intelligenza viva e lucidissima, voglio ricordarlo associandolo ad una parola dell’apostolo Paolo: “Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi” (Galati 5,1).

 

Valdo Spini su La Nazione del giorno dopo

 

“La morte non ci coglierà inoperosi”, così aveva detto Benedetto Croce e così è stato per il nostro Babbo, reduce da poche settimane da un ciclo di conferenze effettuate in un seminario dell’Istituto Filosofico di Napoli dedicato alla figura di Eleonora Fonseca Pimentel (martire della rivoluzione partenopea del 1799). Tra le sue ultime parole, c’è stata l’indicazione di pubblicare queste conferenze. “Sono cinque capitoli, i primi due vanno riguardati, gli ultimi tre sono a posto”).

Il valore dello studio della storia come strumento fondamentale di formazione delle coscienze, sia spirituali che civili e politiche.

Questa è l’eredità che ci lascia dopo una lunga vita di studio e di azione.

L’otto settembre 1943 il giovane sottotenente Giorgio Spini, dopo aver aiutato a raccogliere le armi per i partigiani in Val Pellice,nelle valli Valdesi, torna a Firenze, nella sua città , e di lì si fa convincere a passare clandestinamente le linee, raggiunge l’esercito italiano nell’Italia liberata, viene aggregato all’VIII Armata Britannica, con cui risalirà tutta la penisola fino a Belluno. A Firenze,nell’agosto 1944, entra come primo ufficiale italiano. Con la sua stessa vicenda ci lascia una speranza per l’ Italia ,per tutta l’Italia , per la sua unità e per il suo riscatto. Sono vicende narrate nella “Strada della Liberazione” pubblicata nel 2003.

Un senso profondo di appartenenza all’Italia, ma in un quadro culturale non provinciale, europeo e internazionale. E’ stato grazie alla sua cultura protestante, (era membro della Chiesa Evangelica Valdese e Metodista) che ha potuto spiegare agli italiani le radici più profonde della formazione dell’Europa moderna, in particolare nei tre volumi “Storia dell’Età Moderna”. E’ quella cultura protestante che , nelle sue ricerche, gli ha fatto valicare l’Atlantico, e seguire i padri pellegrini dalla Gran Bretagna in America : è l’opera , degli anni sessanta, “Autobiografia della giovane America”. Negli Stati Uniti di America ha insegnato varie volte e alla storia di questo paese ha sempre dedicato molta attenzione. Sprovincializzare la nostra cultura, il nostro approccio ai problemi, è un altro degli aspetti della sua eredità.

Profondamente legato alla sua città e alla sua regione,dopo avere scritto “Cosimo primo e l’origine del principato mediceo”, scrisse anche una storia di “Firenze” nella seconda metà degli anni ottanta.

Nelle “Origini del socialismo” dimostrò l’esistenza di un socialismo degno di essere chiamato tale anche prima di Marx, legandosi alla sua militanza giovanile nel Partito d’Azione, lasciando così anch’egli la sua piccola pietra sul cammino di chi vuole realizzare in modo indissolubile i due ideali di “Giustizia e Libertà”.

 

 

Presentazione Sportello di mediazione sociale presso il Quartiere 1, a Firenze Centro

 

Dal 19 settembre sono riprese le attività dello Sportello di mediazione sociale presso la sede del Quartiere 1 di Firenze in P.zza Santa Croce 1 nei giorni di lunedì e venerdì dalle 9.30 alle 13.00 (Tel. 055 2767645).

Lo sportello è uno spazio di ascolto e gestione dei conflitti che sorgono in ambito familiare, scolastico e di vicinato. Si tratta ad esempio dei conflitti che coinvolgono genitori e figli, maestri e genitori, vicini di casa, ecc. Chiunque si può rivolgere allo sportello il cui servizio è gratuito e confidenziale. Lo sportello si impegna a contattare le parti in conflitto in modo da fissare dei colloqui preliminari individuali dove viene raccolto il consenso alla mediazione. Successivamente, se gli interessati sono disponibili, si fissa l’incontro di mediazione dove le persone in conflitto hanno la possibilità di confrontarsi ed esprimere il proprio punto di vista al fine di trovare una soluzione soddisfacente e condivisa.

Lo sportello nasce dalla volontà di prendersi cura in modo adeguato dei conflitti che sorgono dalla convivenza quotidiana nei quartieri della città. Il suo scopo è giungere ad una soluzione del conflitto che soddisfi entrambe le parti, seguendo una procedura che dia a ciascuna la possibilità di spiegare all’altra le sue ragioni, ma anche i suoi rancori e le ingiustizie che pensa di aver subito. Spesso questi conflitti trovano soluzioni, anche giudiziarie, che invece di risolverli li acuiscono: gli interessati continuano a covare al loro interno rancore e/o frustrazione. Situazioni che possono sembrare banali e inoffensive a volte, anche se casomai sanzionate dall’intervento di autorità pubbliche, finiscono per accrescere il malessere cittadino rischiando di sfociare in situazioni di grave insicurezza.

In definitiva lo sportello intende modificare la coscienza sociale in modo da passare da un modello contenzioso attualmente predominante nella risoluzione dei conflitti a un modello pacificatore che abbia come obiettivo principale il recupero del vivere civile. La mediazione si pone come finalità la costruzione insieme ai cittadini di un ambiente più sicuro e protetto dove le persone siano in grado di affrontare le situazioni problematiche in modo adeguato sulla base di approccio dialogico e di disposizione alla ricerca di una soluzione consensuale.

Notizie dalle chiese fiorentine

 

Dalla Chiesa Valdese

Siamo al momento ancora molto impegnati con la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che quest’anno ci vede impegnati a vari livelli. La colletta di Natale insieme ad altre offerte per un totale di 1365,92 E. sono state inviate alla Missione Evangelica che si occupa del Centro per portatori di handicap in Burkina Faso.

Sono stati malati: Vincenzo Sciclone, ora al Gignoro in buone condizioni; Kiung Yu Kim, per la quale chiediamo preghiere da parte della comunità; lo stesso per il past. Gino Conte! Molte persone sono state raffreddate e influenzate, in particolare Sara Sansone fatica a tornare alle consuete attività. La sorella Lidia Dozzani ha una vertebra incrinata, mentre suo fratello è da lungo tempo in ospedale. La famiglia Spini è stata colpita dal lutto, come si può leggere in altre pagine. A tutti dedichiamo un pensiero commosso e li raccomandiamo alle cure dello Spirito di Dio.

Lo studio biblico del sabato comincia un nuovo ciclo su “La violenza nel Nuovo Testamento” con scadenze alterne (chiedere alla pastora il calendario). Due volte al mese si incontra in via Manzoni il gruppo Kairos, per studi biblici autogestiti che vogliamo anche accompagnare (orientativamente il 2° martedì sera e l’ultimo sabato di ogni mese).

Prossimo incontro del Concistoro: martedì 31 gen. alle 18.15.

Sabato 4 febbraio: recita del gruppo teatro di Rorà accompagnato dal past. Giorgio Tourn, che farà anche la predicazione di domenica 5 febbraio.

Per le predicazioni domenicali è cominciato un nuovo ciclo sul Vangelo di Matteo (passi scelti); si può segnalare testi e porre domande alle quali la pastora tenterà di rispondere.

Attenzione alle banconote false! Di recente la pastora, portando in banca le offerte di domenica 22 gennaio si è trovata a

portarne una di 50 E. , che ha dovuto esser requisita con tanto di verbale! Le contribuzioni risulteranno decurtate di questa somma: pazienza, ma sarebbe veramente imbarazzante se la cosa dovesse ripetersi.

 

 

Dalla chiesa battista di Firenze

 

Sono riprese tutte le attività con alcune novità: lo studio biblico sull'Apocalisse si tiene la domenica mattina dalle 9:15 alle 10:30. La partecipazione è così salita a 35 presenti.

Culto, predicazione e santa cena del 8 gennaio sono stati curati da 2 predicatori locali: Susanna Enriques (liturgia e predicazione) e Renzo Ottaviani (cena del Signore). Il martedì successivo il gruppo dei predicatori ha discusso insieme a loro i contenuti e le modalità del sermone di Susanna: molto apprezzata.

Il 15 gennaio il gruppo giovanile ha offerto un bel culto e una predicazione “corale” alla comunità: grazie dunque ad Annalisa, Carlotta, Elisa, Stella ed Eddy. Il gruppo curato dal pastore Volpe continua a vedersi ogni sabato pomeriggio alle 17:00

Venerdì 20 gennaio nell'ambito della Settimana Ecumenica si è tenuto in Borgo Ognissanti un bell'incontro con la Parrocchia di Santa Lucia al Prato: i circa 60 partecipanti alla fine erano tutti contenti.

Domenica 22 gennaio grande festa interetnica con i battisti della Costa d'Avorio e il nuovo pastore Richard Blai! Un agape comunitaria ha coronato la bella giornata.

Giovedì 26 gennaio si è tenuta in casa Brandoli Tonarelli il consueto incontro di preghiera.

Per tutto il mese è proseguita la raccolta per l'offerta d'amore a sostegno delle missioni battiste della Federazione Battista Europea nei vari continenti. Per saperne di più contattare Serena Innocenti e/o il consiglio di chiesa.

 

Prossimi Appuntamenti:

Mercoledì – 1 febbraio ore 17:00 – Serena Innocenti parlerà sul tema: “Il protestantesimo come orizzonte dell'identità femminile”. Ingresso libero.

 

Sabato 11 febbraio 17:00 - “V'è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” con la partecipazione delle chiese battiste della Costa d'Avorio e Rumena. Partecipazione straordinaria del past. Italo Benedetti (Roma). E' il 2° incontro di un ciclo compreso nel programma della chiesa 2005/2006.

 

Domenica 26 febbraio a Grosseto, Assemblea dell'Associazione delle chiese battiste della Toscana.

 

 

 © Chiesa Evangelica Valdese di Firenze